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TECNICHE DELL'ARGOMENTAZIONE

 

 

Bene, allora le tecniche dell'argomentazione. La volta scorsa abbiamo visti alcuni aspetti dell'argomentazione, quelli che in quel momento più ci parevano interessanti. Tecniche, qui nell'accezione antica del termine, come arte, quella che gli antichi chiamavano retoriké tekné oppure eristiké tekné, argomentazione eristica. Voi sapete che una argomentazione, così come era intesa fino dagli antichi muove, se deve giungere a qualcosa di certo, di vero, da premesse che occorre che siano almeno vere, però abbiamo visto della difficoltà di potere stabilire una premessa che ci mostrasse questi requisiti, e dunque di fronte alla difficoltà di reperire questa condizione, ci siamo chiesti se fosse mai possibile reperirla in qualche modo e abbiamo visto che ci saremmo dovuti munire di un criterio per poterla stabilire, questa premessa vera, e questo ci ha creato qualche problema. Non soltanto a noi ovviamente, lo ha creato a tutto il pensiero occidentale, il quale pensiero occidentale ha avuto la necessità, e l'ha a tutt'oggi, di trovare una tecnica che consenta, se proprio non possiamo raggiungere "il vero", cioè stabilire esattamente come stanno le cose, almeno ci consenta di avvicinarci il più possibile. Solo che di nuovo sorge il problema: avvicinarci a che cosa? Se non sappiamo esattamente dove dobbiamo andare.

Ciononostante la questione della tecnica dell'argomentazione ha avuto e ha una portata fondamentale, già dagli antichi. Per quanto riguarda l'aspetto persuasivo per esempio dell'oratoria, era importantissimo trovare quali elementi in quel momento, rispetto a quel pubblico, risultassero persuasivi, non persuasivi in assoluto, questo è compito, almeno per Aristotele, è il compito della scienza, per l'oratore no, non occorreva tanto, occorreva che giungesse a qualche cosa di verosimile, di credibile e una verità, adesso usiamo queste categorie in accezione molto banale, una verità talvolta può risultare incredibile, ma se è costruita ad arte no, perché è costruita apposta per essere credibile e quindi non sarà mai incredibile, ma come costruire un discorso del genere? Sapete che gli antichi, tra cui Cicerone, per esempio, erano abilissimi in queste operazioni. Pensate soltanto all'esordio, forse a una delle più celebri arringhe, quella contro Catilina dove incomincia chiedendosi, come voi sapete, prima ancora di dire qualunque cosa, si chiede, e chiede al pubblico che lo ascolta "fino a quando Catilina abuserai della nostra pazienza? per quanto tempo ancora la tua follia si farà gioco di noi? fino a quale punto spingerai la tua audacia sfrenata?" ecc. che è un esordio che è rimasto celebre nella storia dell'oratoria, nella tecnica oratoria, in quanto fa una cosa che generalmente non si dovrebbe fare e cioè muovere non da un'accusa circostanziata, ma tutto sommato da una sensazione. Il fatto che Cicerone fosse spazientito dall'atteggiamento di Catilina, di fatto non è un accusa, né mostra un crimine, semplicemente, come si direbbe oggi, getta del fango su Catilina, così, intanto per disporre l'uditorio. Questa è una tecnica, sarebbe, come la chiamerebbero gli antichi, un argomentum ad hominem, infangare l'uomo, per demolire le sue tesi. Questo è un procedimento che oggi viene utilizzato con grande ricchezza di mezzi, sapete benissimo, ciascuno di voi legge i giornali, ciascuno di voi sa come funziona, quindi avete già sotto gli occhi una delle tecniche dell'argomentazione, quella nota come "argomentum ad hominem". Adesso non sto ad illustrarvi come funziona la cosa ma... o devo illustrarla? Volete che la illustri? Allora ve la illustro: supponiamo che il mio gruppo, economico o politico, come preferite, abbia in Caio un pericolo, una minaccia, economicamente o politicamente e quindi mi farebbe molto comodo che Caio si togliesse di torno. Ora, posso ucciderlo, certo, però è un sistema retoricamente poco accolto, poi può creare qualche problema e allora c'è un altro sistema non meno efficace, ma più legale. Dunque sapete che per esempio la magistratura è lottizzata da partiti, cioè ciascun partito punta a mettere dei suoi uomini nelle posizioni più importanti, e allora è sufficiente che il mio gruppo faccia certe pressioni sui magistrati, perché questi incomincino ad indagare su Caio. Ora, io per esempio, so benissimo che Caio è totalmente innocente rispetto alle accuse che gli vengono mosse, però intanto la macchina, cosiddetta della giustizia, è partita. Ora, fra i miei amici ci sono anche dei giornalisti, questi funzionano da cassa di risonanza e hanno parte importantissima in questa operazione, perché il fatto che Caio sia indagato, per reato di concussione tanto per restare nell'ambito di cose frequenti, potrebbe, a causa del vincolo a cui dovrebbero essere tenuti i magistrati, essere coperto dal segreto d'ufficio e quindi nessuno lo saprebbe. Non sia mai. Tutta questa gente che io muovo, chiaramente, fa parte di un gruppo in cui io sono inserito, se ne sono a capo meglio ancora, e quindi per un loro personale o no, tornaconto, faranno grosso modo ciò che io chiedo loro di fare e quindi un magistrato indagherà, per altro è suo dovere di farlo. Laddove c'è un'accusa, laddove c'è l'eventualità che ci si trovi di fronte a un reato deve indagare. E il giornalista cosa farà? Semplicemente informerà di ciò che sta avvenendo, e cioè che Caio è indagato e ha ricevuto un avviso di garanzia. Ora questa persona, e cioè Caio, si troverà immediatamente sulla prima pagina di tutti i giornali, come indagato per il reato di concussione, tutti noi sappiamo che è totalmente innocente, ma questo è marginale. Essendo indagato cosa succede? Che questa persona, per quanto riguarda il suo lavoro, cioè l'aspetto sia economico che politico, mettiamo sia anche connesso con la politica, riceverà un danno non indifferente, chi ha a che fare con lui economicamente cercherà di sospendere tutti gli affari che ha in corso perché se quello finisce in galera e io ho affari con lui, se viene arrestato chi mi pagherà? Ragionamento legittimo, d'altra parte anche il suo gruppo politico preferisce non essere compromesso con questioni poco piacevoli, e tenderà a isolarlo. Se l'operazione è ben congegnata, Caio viene cancellato dal panorama politico ed economico, in perfetta legalità. Chiaramente poi la magistratura segue il suo corso e questa persona risulterà, almeno c'è qualche probabilità che accada, risulterà anche innocente, forse, ma in quel caso la constatazione della sua innocenza e la chiusura del caso verrà mostrata, pubblicata in un trafiletto in settima pagina, dandogli talmente poco rilievo che la più parte delle persone sarà indotta a pensare che comunque questa persona è colpevole ma, attraverso le sue aderenze, le sue amicizie, il suo potere è riuscito comunque a farla franca. Oltre al danno anche la beffa. A questo punto abbiamo eliminato Caio, attraverso che cosa? Attraverso una procedura legale, certo, che è anche un'argomentazione, un "argomentum ad hominem" per l'esattezza. Eliminando la persona abbiamo eliminato tutto ciò che questa persona avrebbe potuto dire o fare. Ora questo tipo di tecnica argomentativa è meno infrequente di quanto possa apparire, anche se forse spesso non arriva a configurarsi in un modo così elaborato.

È un modo di argomentare dicevo, molto frequente, quando si vuole convincersi, per esempio, che qualcuno non è interessante, o le cose che dice danno fastidio per un qualunque motivo. La soluzione più rapida e più efficace è quella di trovare un qualche cosa che riguarda quella persona (non quello che dice) in modo da potersi persuadere che se questa persona, che dice queste cose, è fatta in quel modo, così poco edificante, allora è ovvio che anche ciò che dirà sarà altrettanto poco interessante e quindi prevalentemente falso. Adesso io, un po' per gioco, ho elencato, raccontato di un modo, di una tecnica, sicuramente non la più nobile, anche se occorre conoscerla molto bene, occorre conoscere molto bene ciascuna di queste tecniche argomentative, non tanto per potere o sapersi difendere di fronte ad attacchi che possono essere talvolta rivolti a voi, in vario modo e a vario titolo, non soltanto questo dicevo, ma anche e soprattutto per la facilità e la rapidità con cui accade di eliminare dei discorsi che ciascuno può trovarsi a fare fra sé e sé ma che per qualche motivo creano del disagio o del fastidio, per esempio un argomento "ad hominem" per eliminare un discorso, un proprio discorso. Facciamo il caso più semplice, quello di un sogno fastidioso che ha inquietato, un incubo per esempio, è dirsi che la sera si è mangiato pesante. Questo è un "argomentun ad hominem",- ho mangiato pesante e quindi la sera la digestione... e ho fatto un sognaccio, se avessi mangiato solo dell'insalata avrei sognato prati verdi... -. Ecco, la tecnica argomentativa dunque ha due funzioni in prima istanza, una è quella di confermare una posizione e l'altra ovviamente è quella di eliminarla, toglierla di mezzo. Ora non ci interessa tanto fare un'analisi di tutte le varie tecniche argomentative, delle partizioni della retorica nelle sue cinque parti eccetera, ma piuttosto considerare con maggior attenzione quella che abbiamo indicata come tecnica eristica.

L'eristica è quella tecnica argomentativa (qui usiamo "tecnica" nell'accezione antica dei retori, cioè come arte), è quell'arte che consente di costruire una serie di proposizioni, quindi un'argomentazione in modo tale che questa argomentazione risulti, per esempio, inconfutabile. Quando un'argomentazione risulta non confutabile? Questo, per esempio, è un argomento eristico? Quando è inserita all'interno di un gioco, che tra le sue regole prevede che tale conclusione non sia confutabile. Molto semplicemente. In ciascun altro caso sì, è confutabile perché non si accoglie quella regola. Ciascuna argomentazione compie un gioco, un gioco linguistico, compie anche una strategia: ho delle premesse, posso pensare che queste premesse siano vere, posso anche non pensarlo, però posso non avere di meglio in quella circostanza, e allora come utilizzare al meglio queste premesse in modo tale che ciò che così risulti sia credibile, sia verosimile, che questo poi è l'obiettivo, se proprio non vero almeno verosimile. Allora occorre che sfrutti non soltanto le premesse, ma anche altri modi, per renderle più persuasive, ma gli umani di che cosa si persuadono generalmente? I maligni direbbero di ciò di cui vogliono essere persuasi, ma non soltanto, ma c'è una cosa di cui desiderano perlopiù essere persuasi ed è questo: che sia possibile una gestione, un controllo sulle cose. A questo difficilmente rinunciano, ora qualunque argomentazione che riesca a costruire, per esempio, una spiegazione, una giustificazione che sia plausibile, che sia verosimile, sarà sempre fortemente persuasiva. Come si suole dire, conclude in questo modo, cioè è logico che sia così. Logico, cioè cosa vuol dire? Che ha seguito un percorso inferenziale che è risultato soddisfacente, non è autocontraddittorio, almeno apparentemente, e tutti, ciascuno di questi elementi sembra consequenziale uno all'altro. Poi ci sono altri elementi, che apparentemente sembrano marginali e invece sono importantissimi, per esempio la rima, una cosa banalissima come la rima o l'assonanza, hanno un potere immenso, pensate a tutta la pubblicità. Ma prima ancora della pubblicità pensate ai proverbi, molti dei quali sono composti se non proprio in rima, almeno con assonanze e hanno sempre e comunque una forte analogia, sono analogici. Un proverbio funziona se e soltanto se viene accolta quella analogia. Per esempio se dico: (suggerimento dal pubblico) eccolo lì "Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino", questo proverbio funziona per due motivi, uno è che è immediatamente comprensibile attraverso l'analogia che mostra, ciò che il proverbio dice è facilmente traducibile in un'atra proposizione, che afferma che se qualcuno insiste a lungo su una certa cosa, prima o poi gli capiterà qualcosa di brutto, una cosa che non deve fare, l'altra è che questa proposizione, "Tanto va la gatta al lardo ecc.", ha la virtù di non essere esposta a nessun criterio verofunzionale. Di fronte a un proverbio nessuno si chiede se è vero o falso, o se dice un qualche cosa che abbia qualche interesse oppure dice nella migliore delle ipotesi un non senso, viene accolto così com'è, sic e sempliciter, non chiede per definizione di essere interrogato. "Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino", sì ma anche "la fortuna arride agli audaci", e allora come la mettiamo? In effetti il proverbio come qualunque altra forma di questo tipo funziona perché non è, come dicevo prima, esposto a nessuna interrogazione, è come se implicasse, questo gioco linguistico che si fa pronunciando un proverbio, implicasse una regola che vieta assolutamente di interrogare il proverbio, una volta interrogato il proverbio si dissolve in nulla e perde la sua forza, la sua portata. Ora inserire un proverbio o comunque un'analogia in una argomentazione può avere un certo effetto, può avere una certa forza a meno che l'interlocutore non accolga l'analogia, non accogliendola l'analogia o il proverbio rimane lì, così, sospeso nel nulla, perde totalmente la sua efficacia. Si può considerare anche che in moltissimi casi un qualunque discorso ha più o meno consapevolmente la struttura di un proverbio e cioè di una proposizione o di una sequenza di proposizioni che non devono essere interrogate. Ci sono giochi linguistici che vietano alcune cose, dicevamo tempo fa, non ricordo quando ma recentemente: se una fanciulla chiede al suo innamorato di provare che l'ama, il gioco in cui tutto ciò è inserito vieta che il fanciullo prenda carta e penna e inizi a mettere giù una dimostrazione. Non è esattamente questo ciò che la fanciulla gli sta chiedendo, e cioè di costruire un teorema, come dire che in quel gioco linguistico esiste un'altra regola rispetto alla nozione di prova. Di questo, chiunque si trovi ad argomentare, occorre che tenga sempre conto, tenga ben salda la differenza, che interviene, o che può intervenire fra l'accezione che lui indica rispetto ad un certo termine e l'accezione che altri possono dare a quello stesso termine. Occorre dunque tenere conto, in primissima istanza, intanto di ciò che si vuole ottenere, poi del pubblico e poi del momento, intendo dire questo, che tutto ciò che si dice in una argomentazione, avendo come scopo di ottenere la persuasione, qualunque essa sia (anche un teorema matematico in definitiva punta a questo anche se è una persuasione particolare, punta a una persuasione universale, Perelman la chiamava convinzione, in questo caso), dicevo dunque di tenerne conto, come per altro ciascuno fa. Ciascuno parla continuamente con le persone e utilizza tecniche argomentative differenti, a seconda della persona con cui parla, del momento in cui sta parlando, delle circostanze in cui parla, questo è ovvio e ciascuno lo sa, ma appena per dire come una qualunque tecnica argomentativa è fortemente vincolata a questi aspetti, come dire che non esiste, né può esistere una tecnica universale. Neanche un discorso matematico è esente da questi aspetti, ha successo e fortuna quella teoria matematica, o fisica, o quello che vi pare o linguistica ecc. che non soltanto illustra ciò che intende illustrare ma che meglio si accorda con ciò che in quel momento è creduto ad esempio, o quello che più semplicemente si ritiene più opportuno. Così costruire per esempio un sistema fisico, tiene conto di una quantità sterminata di aspetti, che con il calcolo numerico o con l'esperienza hanno poco a che fare, oppure questi elementi hanno un peso tutt'altro che marginale, un fisico per esempio tiene conto che se inventa qualche cosa che può servire all'industria, questo gli servirà per ottenere sovvenzioni per procedere nella sua ricerca, quindi dovrà tenere conto nella sua ricerca di un pubblico, in questo caso colui che finanzia. Appena per dire che non c'è argomentazione che non debba, per il motivo stesso per cui si fa un'argomentazione, cioè per raggiungere un obiettivo, che non tenga conto delle condizioni in cui questa argomentazione si struttura e accade.

Ma, dicevo, c'è un qualche cosa che accomuna ciascuna volta queste tecniche argomentative e, in un certo senso, le attraversa, e cioè quell'elemento che persuade sempre infallibilmente e cioè quell'argomento che conduce a stabilire, a far credere di avere stabilito, o supporlo in ogni caso, di avere stabilito come stanno le cose. In effetti qualunque argomentazione punta sempre ad essere il più costrittiva possibile, e quindi necessariamente farà di tutto per fare assumere alla propria conclusione un carattere di costrittività, nessuno potrebbe argomentare una serie di cose per concludere, dopo avere dimostrato che le cose stanno esattamente così, concludere che è tutto falso, che è assolutamente tutto falso, come fa invece per esempio il sofista, come facevano, come è possibile fare oggi, cioè persuadere della assoluta correttezza e validità dell'argomentazione, e poi persuadere dell'assoluta e altrettanto inesorabile validità della conclusione opposta, muovendo dalle stesse premesse. Ma, e qui entriamo nella questione che più ci interessa, sapere argomentare è sapere utilizzare al meglio le risorse fornite dal linguaggio, e sapere utilizzare al meglio queste risorse è soprattutto conoscere come funzionano le parole, fino all'estremo, cioè non soltanto fino al non senso, all'assenza di senso, ma alla domanda intorno al senso. Se volete dirla in termini molto semplici, il sofista, cioè colui che si avvale di quella antica arte nota come eristica, eristiké tekné, non fa altro che interrogare il linguaggio fino alle sue estreme conseguenze avvalendosi di una tecnica. E di cosa è fatta questa tecnica, quest'arte? Di elementi tutto sommato piuttosto semplici, vale a dire della assenza, lungo questa interrogazione, lungo lo svolgersi di quest'arte, di qualunque posizione religiosa, dando a questo termine un'accezione particolare, intendiamo con "religioso" qualunque discorso che supponga l'esistenza di un qualunque elemento fuori dalla parola. Qualunque. Dunque l'assenza di questa struttura è esattamente ciò che consente lo svolgersi della eristiké tekné, senza nessun ostacolo. Senza nessun ostacolo, cosa intendiamo dire? Senza che nulla mi costringa in qualunque modo all'assenso a qualunque cosa, posta la questione in questi termini è come se quest'arte non avesse nessun altro obiettivo se non quello di fatto di produrre altri discorsi, altre parole, non più raggiungere una verità, raggiungere l'ultima parola, che sa perfettamente essere una fra le illusioni più vane, ma non per decreto divino, ma per la struttura stessa del linguaggio. Potete porla in questi termini, il linguaggio è strutturato in modo tale per cui l'ultima parola non è possibile, molto semplicemente. Ultima parola, potete intenderla come la verità assoluta o la realtà, cioè quella cosa che deve costringere necessariamente all'assenso. Ora, sollevato da questo peso, finalmente il sofista può dedicarsi al suo discorso, a ciò che produce mano a mano, a ciò che inventa, ovviamente a questo punto affinando sempre più gli strumenti, affinandoli in modo tale da potere accogliere oltre che cogliere, parlando, tutto ciò che il suo discorso produce, una quantità sterminata di elementi, di immagini, di sensazioni, che in buona parte il discorso occidentale ha dovuto eliminare a vantaggio della ricerca, come Aristotele in buona parte voleva, del sillogismo scientifico, quello che muove da premesse necessarie e giunge a conclusioni necessarie. Il sofista "sa" tra virgolette, che non è affatto necessaria né la premessa, né la conclusione, ecco perché può giocare cioè accogliere tutto ciò come un gioco linguistico, e che senso ha questo gioco linguistico? Il sofista è in una posizione tale per cui può effettivamente interrogarsi anche sulla nozione di senso e considerare che una domanda di questo genere non ha nessun senso, a meno che ci si precisi in termini inequivocabili cosa si intende con "senso". Cosa che può risultare ardua, sapere il senso del senso o il significato del significato. Ogden e Richards ci hanno provato e con loro anche altri, giungendo unicamente ad un insieme di restrizioni di scarso interesse, senza accorgersi che questa operazione non è impossibile per scarsità di mezzi o di volontà, è impossibile perché il linguaggio è strutturato in modo tale per cui l'ultima parola non c'è. Sarebbe quella fuori dal linguaggio o quella per cui il linguaggio finisce, ma se il linguaggio finisce non c'è più la parola e con che cosa mi domando una cosa del genere? Ecco la eristiké tekné, la tecnica argomentativa conduce non tanto a reperire qualche strumento per persuadere il prossimo, per fargli fare quello che voglio io, l'emblema, lo schema persuasivo è quello che vi ho esposto all'inizio, come eliminare una persona, cioè quello che dice, e più o meno hanno tutti la stessa forza, ma è qualcosa invece che offre a piene mani la possibilità di giocare con il linguaggio, senza avere vincoli, questo non significa che non si accolgano le regole imposte dal cosiddetto parlare comune, ma un conto è sapere che si sta facendo un gioco linguistico, altro è supporre o pensare di compiere un operazione che ha un referente nel reale immaginato fuori dal linguaggio. Dico che è altro in quanto cambia tutto, totalmente, se io gioco a scacchi con gli amici so che se l'avversario mi mangia il pedone non ci sarà qualcuno che viene divorato necessariamente, come faccio a saperlo? E' una regola del gioco, semplicemente, che mi dice che avviene questa operazione che si chiama in questo modo e dunque non mi dispero e se perdo la regina non è una catastrofe politica, e perché non lo è? Ammesso poi che la perdita della regina possa costituire... non sappiamo, ma sia come sia è una regola del gioco, che io accolgo per giocare quel gioco e allora se voglio giocare un certo gioco, ad esempio gli scacchi o il poker, devo accogliere quelle regole, se voglio andare dal tabaccaio e chiedere un pacchetto di sigarette, occorre, per fare quel gioco che io accolga le regole di quel gioco, e che non gli chieda un bue muschiato ma un pacchetto di sigarette, queste sono regole per giocare, così come a poker esistono regole per giocare, se non accolgo quelle regole faccio un altro gioco, cioè non posso più fare "quel" gioco. Ma sapere in tutto ciò che ciò si sta compiendo è un gioco, è che fuori da questi giochi linguistici, infiniti giochi linguistici, ci sono soltanto altri giochi linguistici, può condurre a compiere delle considerazioni di qualche interesse, rispetto intanto al discorso occidentale e ad alcune questioni direi fondamentali oltre che fondanti del discorso occidentale. Quali per esempio il discorso scientifico, tanto per dirne una, tutto ciò che sto dicendo, mi rendo conto che può non essere semplicissimo, non da capire, ma da accogliere. E' come se in qualche modo ci fosse l'eventualità, se non addirittura il pericolo, di perdere quella... chiamiamola "illusione" tra virgolette, intendendo con "illusione" quella serie di proposizioni che affermano che è possibile stabilire come stanno le cose. Ma un discorso del genere non è fuori da un gioco linguistico, né potrebbe esserlo, e se riesce a stabilire come stanno le cose è soltanto perché inserisce all'interno di quel gioco una regola che afferma che è possibile stabilire come stanno le cose, esattamente così come nel gioco del poker c'è una regola che dice che quattro assi vincono due sette, è una regola del poker, non è un dettato di dio, è una regola, uno può anche cambiarla però poi deve farla cambiare anche agli altri giocatori perché se la usa solo lui, e con due dieci vuole prendersi il piatto mentre l'altro ha in mano quattro assi, ci sarà qualche problema. Ma allora quella che una volta era nota come l'abilità dell'oratore, da Isocrate a Demostene passando per Gorgia fino a Cicerone ecc., consiste in questo, sempre e necessariamente, nel disporre le cose in modo tale per cui sia verosimile ciò che loro illustrano come uno stato di cose, cioè giungono sempre a dovere considerare che le cose stanno così, necessariamente. Di fatto quando il giudice, per esempio dopo un'arringa di Cicerone stabilisce che Verre è colpevole, da quel momento Verre è colpevole, non lo era prima, lo è adesso, è stato emesso un giudizio e quindi è necessario che sia così: date le premesse, segue necessariamente questo. Ora è ovvio che un abile oratore fa in modo che date le stesse premesse possano seguire moltissime altre cose, comprese fra queste anche esattamente quelle contrarie. Ma la necessità di stabilire una volta per tutte come stanno le cose è anche quella necessità che, cominciando dai padri della chiesa, ha suggerito di abbandonare la retorica e a maggior ragione l'eristica, in quanto argomentazioni che non giungono alla verità, né possono farlo, il che è verissimo, e che anzi disorientano i più, creano scompiglio e allontanano dalla retta via. La retta via in quella circostanza era il nascente cristianesimo, ovviamente. Qualunque forma argomentativa che non fosse quella prettamente scientifica comunque doveva essere abbandonata, perché in condizioni di giungere a conclusioni assolutamente aberranti. Si è trattato allora di stabilire una regola che dicesse che esiste una verità, e quindi qualcosa di assolutamente necessario, di immutabile oltre che immutevole, di identico a sé, dall'inizio dei tempi fino alla fine dei tempi, qualcosa che in definitiva non ha origine e non ha fine e lo stabilire questo è appunto una regola di un gioco, in un particolare gioco. Se io stabilisco all'interno di questo gioco questa regola, allora effettivamente esiste, dio, in questo caso, visto che corrisponde a questi requisiti. Dio esiste? Sì, se l'ho inserito in una regola del linguaggio che ne prevede l'esistenza, e così esiste come qualunque altra cosa, compresa la nozione di esistenza ovviamente. Ma allora le cose stanno in questo modo o quello che vi pare? Sì, ovviamente, se questa è una regola del gioco che state giocando, allora sì, allora è veramente così. Così come due più due fa quattro, all'interno di una regola di un gioco di un calcolo numerico o qualunque altra cosa. Allora non si tratta più, vedete, di giungere ad approssimarsi a qualche cosa che sia più fondato o fondante, o fondabile, perché questa stessa operazione è a sua volta un gioco linguistico, esattamente come quella che sto facendo io in questo momento, questo va da sé, e allora non è che una cosa sia più o meno vera di un'altra, qualunque cosa è assolutamente vera, è esattamente così, non è falsa, a condizione che ci sia una regola in quel gioco linguistico che stabilisca che è vera. Ecco quindi una nozione di verità un po' particolare, come direbbe Jakobson, il famoso linguista, e cioè la verità come shifter, come operatore deittico, cioè quello che indica la direzione di un discorso, in questo caso ne indica la regola, qualunque cosa io affermi, la mia affermazione si costituisce come una delle regole del gioco che sto facendo, per giocare questo gioco che sto facendo, ma se sto facendo un gioco linguistico e lo so, e non posso non saperlo, se so dunque di farlo, posso crederci, posso credere che le cose stiano così? Teoricamente sì, teoricamente perché posso fare un gioco in cui ci credo, l'inghippo sta in questo, che posta la questione in questi termini ci si trova di fronte unicamente alla struttura del linguaggio e cioè unicamente a ciò che non può non essere accolto in nessun modo, e non può non essere accolto per il semplice fatto che sto parlando. Ciò che non può non essere accolto in effetti è, per esempio, che si parli, qualunque operazione io faccia per non accogliere questo, dovrò farla parlando e quindi negando ciò stesso che affermo. Pensate ai tre principi famosissimi di Aristotele: terzo escluso, non contraddizione, identità; illustrano in modo interessante delle procedure di cui è fatto il linguaggio, cioè di elementi che non possono non essere nel linguaggio, posso dire simultaneamente due cose? Pane e orologio? Non posso, devo dire prima l'una e poi l'altra e il fatto che un elemento sia identico a sé è una procedura linguistica, non è nient'altro che questo, non è un dettato divino, né un decreto, è qualcosa che serve al linguaggio per funzionare, gli informatici direbbero l'hardware, che una cosa sia identica a sé è una procedura linguistica, non è né dimostrabile né confutabile, è una regola, più propriamente una procedura. Ma ecco allora che una tecnica argomentativa che sia al corrente di questi elementi e di altri che da questi possono trarsi, comporta l'eventualità che non abbia più molto interesse, per esempio, andare in giro a persuadere il prossimo, perché ha cose più interessanti da fare e cioè condurre il linguaggio alle estreme conseguenze, ciascuna volta in ciascun atto di parola potremmo dire, senza sosta, avendo a disposizione un oceano sconfinato di cose effettivamente senza limiti. Quanti giochi si possono inventare? Infiniti, ovviamente. Sentiamo intanto se ci sono delle questioni.

- Intervento: Io l'avevo posta in termini un po' ironici, ma io mi chiedevo in realtà quali sono queste benedette tecniche argomentative.

Si, ho aggirata tutta una parte che riguarda propriamente le tecniche di persuasione, cioè i modi per persuadere il prossimo, certo. Vuole sapere quali sono, vuole sapere come si fa a persuadere il prossimo? Sì. E' un operazione che per un verso è semplice e per l'altro può diventare straordinariamente difficile. Può avvalersi di due tecniche molto potenti, una la retorica, e l'altra la psicanalisi, così come Freud l'ha inventata. La retorica, che consente di costruire il discorso muovendo da che cosa dire a quella persona, quali sono gli argomenti per esempio che a una certa persona che lei conosce presumibilmente, interessano o vuole sentirsi dire. Reperiti questi argomenti o questa rosa di argomenti, come disporli in modo tale che risulti, da ciò che lei dice, una sottolineatura, per esempio di un aspetto. Lei può dire le cose in modo tale per cui, il certo aspetto che a lei interessa risulta maggiormente marcato, e allora può utilizzare varie figure, quelle dell'iterazione ad esempio, uno stesso elemento all'interno di una argomentazione viene ripetuto e ripreso in vari modi, e questo è l'effetto martellante, come diceva Göbbels, qualunque cosa ripetuta un numero considerevole di volte è ritenuta vera, il che è vero fino ad un certo punto, e poi dunque disporle in modo tale per cui emerga ciò che Lei vuole fare emergere. Come quando si dipinge un quadro, non so se dipinge, ma un pittore per esempio... ma facciamo l'esempio forse più frequente, quello dello spot pubblicitario, un'argomentazione Lei può renderla persuasiva come un spot pubblicitario, che ha in effetti questo fine, persuadere, e dunque che cosa fa lo spot? Crea una situazione tale per cui alla fine emergerà in modo più evidente, in modo più evidente possibile l'aggeggio che deve reclamizzare. Per cui se reclamizza un rasoio (rasoio?) allora utilizzerà un discorso dove questa parola o comunque questa immagine inserita in un certo contesto sarà il più fortemente possibile marcata, quindi creando attorno al rasoio una storia, per esempio, uno si rade, si rade la barba non soltanto per una questione estetica, o per non inciamparci dentro dopo un certo numero di anni, ma anche per essere più gradevole secondo un modello standardizzato di gradevolezza, e quindi la sua pelle è più attraente, più affascinante, ecco allora degli spot che sempre, molto spesso a fianco alla storia del rasoio mettono una fanciulla, la quale fa la prova con la sua guancia della delicatezza della pelle. Quindi viene raccontata una storia all'interno della quale, questo elemento viene marcato o ha maggiore possibilità di essere marcato, esattamente così come si costruisce un romanzo. Se lei avesse voglia di andare a leggere per esempio lo scritto di Greimas "Del Senso" troverebbe tutte queste cose, e cioè un modo per marcare degli elementi lungo la narrazione in modo da pilotare il lettore, là dove si vuole che vada e quindi, nel caso dello spot, predisporre il più possibile il fruitore dello spot all'oggetto finale. Come una dichiarazione d'amore, è la stessa cosa, avviene allo stesso modo. Ora, dunque, della disposizione abbiamo detto, poi c'è l'elocuzione, cioè la stessa enfasi per esempio con cui vengono dette alcune cose nello spot televisivo Sì, anche lì c'è la dizione, c'è la parola ma soprattutto l'immagine, comunque generalmente quando ci sono scene particolari c'è una voce fuori campo molto morbida, molto suadente, molto accattivante e questo fa parte del modo in cui viene detto qualche cosa. Ad esempio se una cosa è importante, non può essere detta da uno che se la ride come un matto, perderebbe di credibilità, invece una voce pacata, seria, a seconda poi delle cose che si vogliono far intendere. Nell'antica retorica seguiva l'ultima parte che era la memoria, cioè il mandare a mente tutto il discorso e aveva una funzione questo, il mandare a mente tutto quanto, e cioè quella di essere più liberi, non avendo la preoccupazione di riflettere mentre parlavano, quindi liberi dal ragionamento potevano utilizzare il gesto e l'intonazione secondo il criterio più opportuno, perché magari uno sta dicendo delle cose distratto da una sequenza di deduzioni, di inferenze e può in quel momento perdere quel tono che invece è più confacente al momento, distratto da un pensiero, ecco questo oggi nei discorsi non ha più nessuna portata, nessuno impara discorsi a memoria, non c'è più questa necessità...

- Intervento: gli attori.

Beh, sì solo loro. Ora a questo punto il discorso veniva costruito, come faceva Cicerone, a tavolino, la notte prima dell'arringa lui la passava in bianco per costruire un discorso a partire da magari pochi elementi che aveva a disposizione, costruirlo dunque il più persuasivo possibile. Dicevo prima che un aspetto essenziale è il pubblico, e in quel caso il giudice o la giuria. Diceva Aristotele di cercare di dire al giudice tutto ciò che il giudice vuole sentirsi dire, meno lo si fa pensare e meglio è, perché sarà affrancato dalla necessità di pensare, di sforzarsi, tutto gli viene già servito, non ha altro che ratificare con la sua condanna oppure la assoluzione, che è esattamente ciò che ciascuno di cerca di fare, quando deve persuadere qualcuno, difficilmente gli va addosso affrontandolo in modo violento, cerca di blandirlo e quindi di mostrargli tutti gli aspetti positivi, quelli che a lui giovano ovviamente. Più si conosce la persona, più questo può risultare facile ovviamente, perché si hanno maggiori strumenti a disposizione. A questo punto ecco, abbiamo così molto sommariamente indicato l'aspetto retorico e interviene quello psicanalitico che fornisce, a fianco, strumenti altrettanto potenti, perché la psicanalisi, con Freud soprattutto, ha stilato una serie di luoghi comuni, cioè le cose a cui ciascuno perlopiù crede di sé, che è notevolissima, e li ha anche catalogati e disposti secondo discorsi differenti: il discorso isterico, ossessivo, paranoico, schizofrenico, indicando di ciascuno di questi discorsi quali sono le maggiori e più considerevoli prerogative. E allora, avendo a disposizione questi elementi, supponendo per esempio che il suo interlocutore si trovi in un discorso isterico, lei ha moltissimi elementi già a disposizione, cioè sa grosso modo di quali cose questa persona avrà paura, quali cose cercherà, di cosa, sempre grosso modo, dirà di avere bisogno. Ora come sa queste cose? Le sa perché sono, come dicevo prima, luoghi comuni, esattamente nella stessa accezione che indicava Aristotele nei Topici, cioè le cose credute dai più perlopiù, e Freud le ha stilate per quanto riguarda le proprie fantasie. Altri, non avendo indagato a sufficienza si fermavano prima, invece Freud ha compiuto questa operazione, ha stilato questa serie di luoghi comuni che riguardano le fantasie di ciascuno, che sono importanti, queste fantasie, poiché ciascuno muove e si muove soprattutto dalle proprie fantasie, sia quando deve decidere se andare a vedere un film oppure un altro, sia quando deve decidere a quale partito dare il proprio voto, sia quando deve decidere quale moglie sposare, sia quando deve decidere cosa fare della propria vita. Non ha altri strumenti se non queste fantasie, cioè le cose che pensa. Ora, quindi, due aspetti, le proprie fantasie e l'aspetto retorico. Ciascuna persona cerca di inserire una sua fantasia in un sistema retorico tale che gli consenta di giungere a concludere che le cose sono proprio così come la sua fantasia gli dice che sono, e generalmente ci riesce, ci riesce perché non incontra ostacoli, salvo poi constatare che le cose non si sono verificate così come voleva che si verificassero. Ma non incontra ostacoli perché ciascuno quando pensa fra sé e sé non incontra nulla che possa fermarlo, soprattutto se vuole credere una certa cosa, allora andrà sicuramente tutto liscio. Dunque questi due aspetti concorrono e possono essere utilizzati per persuadere qualcuno, perché lei conosce, grosso modo quali sono le sue fantasie, ciò che teme, ciò di cui ha paura, le cose che desidera, le cose che la rendono felice, può saperlo con una buona approssimazione, e inoltre possiede gli strumenti retorici, la retoriké tekné, per costruire un discorso in modo tale che risulti perfettamente consequenziale, mettendo quindi l'interlocutore di fronte all'assoluta non sostenibilità, per esempio, di una sua tesi. Oppure, se vuole fare di più, costringerlo a fare ciò che questa stessa persona vuole fare, ma non sa di volerlo, il che non è neanche semplicissimo, cioè consentire a questa persona di fare (e qui sta la persuasione più potente che possa pensarsi) ciò che vuole fare ma che allo stesso tempo teme fortissimamente di fare, può anche non saperlo nel senso che può non esserne consapevole di volerlo fare. Ma lei può venire a saperlo abbastanza facilmente, ora sono costretto anche dal tempo a tagliare corto su una infinità di cose, è una questione che potrebbe andare avanti molte ore e, che comunque comporta uno studio molto approfondito di Freud, della logica, della retorica, per potere utilizzare tutti questi strumenti al fine di persuadere il prossimo, cioè far fare al prossimo ciò che lei vuole che faccia.

Dicevo dunque che per un verso è semplice, per l'altro no, non è facile in quanto la persuasione, anche se può essere facile da ottenere è molto difficile da mantenere, e questo per un motivo molto semplice, che una qualunque convinzione o persuasione che si riesca a instaurare è comunque soggetta a una quantità sterminata di elementi, che potremmo indicare come variabili, che possono intervenire e sulle quali non ha né può avere alcun controllo. Ora, utilizzando insieme questi due elementi, molto potenti, lei può acquisire un certo potere su qualcuno, ma molto provvisorio e molto fragile. Se fosse una cosa duratura sarebbe molto facile maneggiare il prossimo, il che non è, ma non tanto perché continuamente soggetto, come dicevo prima, a una quantità sterminata e non controllata di variabili che intervengono continuamente, certe volte è sufficiente che lei esca dalla stanza che la persona già si dissuada da... mentre finché è lì, finché è lì che parla questa persona è perfettamente persuasa dalle cose che dice, poi va via e comincia ad avere dei contraccolpi, a ripensarci, per questo occorre avere un controllo continuo sulle persone attraverso la diffusione dei mezzi di informazione, che servono prevalentemente a questo, cioè a stabile un legame attraverso cui mantenere il controllo, attraverso messaggi ripetuti, la cosa riesce sì e no, poi quando si parla di una popolazione c'è una quantità di variabili moltiplicata all'infinito, è assolutamente impensabile una cosa del genere, ci si può provare però, e qualche volta quando si ottiene qualche risultato non si sa neanche il perché.

- Intervento:... i discorsi di Bruto e Antonio alla folla, considerata come qualcosa di passivo, di facilmente convincibile, facilmente preda della passione, folla rapportata ad un interlocutore solo e il gioco si protrae perché siamo così abili da portare avanti il discorso, quanto tempo ci vorrà? All'infinito. Non ci sarà mai quello che vince, non c'è un gioco di scherma al quale alla fine c'è uno che soccombe...

Se entrambi sanno che non c'è nessuna vincita possibile, allora possono dedicarsi a giocare un altro gioco, che non sia quello di sopraffare l'altro, se non così come appunto...

- Intervento:...

No, no, non è più nei termini del torto o della ragione, nel senso che questo non ha più nessuna portata, stabilire se io o l'altro abbiamo ragione, semplicemente è un'analisi, una ricerca teoretica intorno al linguaggio, alla sua produzione. Il "torto" e la "ragione" sono cose abbandonate da tempo, però è interessantissima la questione che lei ha posta rispetto all'arringa di Bruto e alla requisitoria di Antonio, potremmo riprenderla, magari la volta prossima, e vedere perché, anche pubblicitariamente ha una portata non indifferente. Quella che descrive Shakespeare è una scena che non si è mai verificata però Shakespeare ha mostrato, in questo dramma, una abilità retorica non indifferente. Come sapete Cesare viene ucciso e Bruto insieme con gli altri congiurati devono dar conto ai romani del perché hanno compiuto questo crimine e Bruto lo fa, dicendo che ha ucciso Cesare perché Cesare era tiranno e quindi l'ha ucciso, non perché non amasse Cesare, ma perché amava Roma di più. E tutti quanti si persuadono che è vero, in effetti, se è così, ha ragione lui. E allora interviene Antonio e cambia tutto, e il modo in cui Antonio cambia tutto è di grandissimo interesse rispetto alle cose che andiamo dicendo. Ciò che abbiamo detto è un'introduzione a due aspetti che sono la confutazione e la dimostrazione, come tecniche argomentative, e potremmo in effetti muovere la volta prossima proprio da questi due interventi di Antonio e di Bruto, come esempi di confutazione ad opera di Antonio di tutto ciò che ha detto Bruto e attraverso quali tecniche compie tale operazione, precisando, indicando i nomi delle figure retoriche utilizzate. Sì certo, ecco dunque il testo di Freud, l'aveva mai considerato in questo modo? Come un testo di retorica? In buona parte viene utilizzato così da molti psicanalisti, per persuadere altri che sono ad esempio ossessivi, isterici, paranoici ecc., e in molti casi funzionano e c'è anche una sorta di guarigione, così come avviene sempre in una conversione da una religione ad un'altra, si sta subito meglio, però forse si tratta di fare un passo oltre a questo e cioè non utilizzare semplicemente le figure retoriche che Freud ha descritto nelle sue opere ai fini di persuadere qualcuno che è ossessivo a rassegnarsi e a mettersi l'animo in pace: è così, Deus vult, Dio lo vuole. Poi in definitiva è questo, adesso facciamo solo un esempio della psicanalisi junghiana, volta in questo senso, a far accettare a qualcuno la sua condizione, non sembra un granché, dice: se è proprio così, cosa devo fare? Come si suol dire: "fattene una ragione!". Ecco, abbiamo pensato che forse si potesse pensare qualcosa di meglio.