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DIALOGO

 

 

Il testo è stato redatto da un amico in seguito a alcune conversazioni teoriche. 

Un dialogo immaginario e non privo di umorismo tra Protagora e Faioni intorno a alcune tesi sul linguaggio e sulla Sofistica.


Articolo I.      IL FAJONI O SUL LINGUAGGIO

Articolo II.Roberto Rosso

Protagora: O Luciano…. Parli del diavolo…

Fajoni: Grande Protagora sei proprio tu? Le Meraviglie di Zeus son davvero infinite, o me fortunato a godere della tua presenza….

Protagora: No Luciano, stavolta sono io a dover dire una cosa del genere, lo schiavo qui mi ha appena finito di leggere le tue opere, ha iniziato con i Corsi, poi ha proseguito con la grande Sofistica e i Giochi Linguistici ed ha appena finito con altre piccole glosse… e devo dire che sono entusiasta, tu Luciano con una logica inappuntabile ed una retorica perfetta hai dato quella sterzata che discorso filosofico si attendeva da tempo. Mi domando come mai questo rigore intellettuale non venga premiato fra di voi con i più alti onori. Tu sei il vero filosofo, quello che pensa mentre gli altri dormono[1], tu sei il Prometeo che ha avuto il coraggio di alzare la testa e rubare il fuoco agli dei[2], e somma è la mia ignoranza di fronte ad un’elaborazione di questo tipo.

Ti prego allora di meritare i miei elogi, accettare l’ospitalità del buon Callia, servirti del buon vino che ci ha lasciato Gorgia, e illuminare fra un sorso e l’altro l’oscurità della mia mente.

Fajoni: Troppo gentile Maestro…, non posso rifiutare, e poi spero che quel vino sia così buono al gusto com’è bello alla vista…

Protagora: Ti dicevo l’ha lasciato Gorgia lo fanno dalle sue parti a Leontini, vicino a Siracusa conosci?

Fajoni: Ne ho sentito dire… è veramente eccellente. Guai a Zeus se qualcuno mi distrae da te e da questo nettare… Comincia ti prego.

Protagora: Fino a quando pensi di andare avanti?

Fajoni: A far cosa?

Protagora: A nascondere errori logici con petizioni di principio e petizioni di principio con errori logici.

Fajoni: Ma io non faccio una cosa del genere.

Protagora: Se lo dici tu.

Fajoni: Dimostralo.

Protagora: Tu sai, Luciano, che cos’è l’antilogia? È il potere dimostrare a piacimento vera una proposizione e falsa la sua contraria (questa non sarebbe propriamente un’antilogia ma un procedimento logico, a meno che tu non abbia inteso provare vera e allo stesso tempo falsa una stessa proposizione).

Fajoni: Si.

Protagora: Questo perché retoricamente si può affermare tutto e il contrario di tutto.

Fajoni: Compresa anche questa tua affermazione oppure no?

Protagora: Spero che tu non lo faccia apposta, comunque l’antilogia eristica è proprio prendere due termini opposti (arbitrario necessario) per annullarli a vicenda l’uno nell’altro secondo il proprio gusto. Questo tu lo sai. Ma ogni tanto, ad arte te ne dimentichi, per poter giocare con l’interlocutore.

Fajoni: Non è vero, io mi attengo semplicemente a ciò che non posso non dire.

Protagora: Palle. Reductio ad absurdum è così che l’avete chiamata?

Fajoni: Cosa?

Protagora: Il mezzuccio del quale ti servi.

Fajoni: Non capisco.

Protagora: Allora provo a spiegarti: la reductio ad absurdum è quel mezzuccio che sfrutta l’abitudine a ragionare in una logica del tipo se non A è falso allora A è vero.

Fajoni: Pare inevitabile.

Protagora: Allora mi prendi proprio per il naso! Sappiamo entrambi che entrambe non sono né vere ne false…

Fajoni: Saresti disposto ad ammettere che questa tua affermazione non essendo né vera né falsa è nulla? Oppure accogli che “vero” “falso” sono regole necessarie al linguaggio per giocare, come il nostro comune amico di Stagira va sostenendo?

Protagora: Solo in parte, e questo ti ha permesso di costruire la Sofistica con la reductio ad absurdum…

Fajoni: Ho cercato inutilmente un altro criterio per potere affermare queste regole del gioco: “vero - falso”, fino al punto in cui ho constato che la sola via praticabile fosse appunto la reductio ad absurdum, e cioè quel procedimento che consente, eliminando la contraria, di affermare la prima, inseguendo quella necessità di affermare che qualcosa è vero oppure no che tu stesso stai utilizzando per potere affermare che una proposizione può essere affermata vera oppure falsa. Oppure stai usando indifferentemente i termini “vero” “falso”? In questo caso temo che la conversazione sia destinata a terminare immediatamente; oppure li distingui? Se si in quale modo, assolutamente arbitrario oppure no? Se assolutamente arbitrario accade l’impiccio di cui sopra, se invece utilizzi un criterio, qualunque esso sia che ti consente di distinguerli, allora devi considerare che qualcosa non è arbitrario ma necessario. Tu stesso non sapresti trovare un criterio migliore, né l’hai mai trovato, pur continuando a usare i termini “vero” “falso”. Proseguendo lungo questa via, già inutilmente battuta dagli scettici, ti trovi costretto a compiere affermazioni che se giri verso il tuo stesso discorso lo annientano, cioè gli impediscono di affermare ciò stesso che stanno affermando.

Protagora: Te lo spiego con uno dei tanti esempi di cui è costellata la tua opera. Il primo che capita

 

Abbiamo affermato che ciò che faccio è inserito nella parola che mi sta costituendo dicendosi, e che non potrebbe essere altrimenti e che è la sola cosa che esista in quel momento, ma occorre considerare ancora. Perché è la sola cosa che esiste in quel momento? Come lo so? La questione è che la do­manda andrebbe posta al contrario, e cioè come lo so quando esiste in un altro momento, come faccio a saperlo.[3]..

 

Luciano dovendo dimostrare la tesi A (ciò che dico è la sola cosa che esiste in quel momento) e non sapendo che pesci pigliare confuta la tesi non A (ciò che dico esiste in un altro momento). E qui commette il grande errore, o se vuoi, compie il grande inganno, ossia pretende che dalla confutazione di non A risulti la dimostrazione di A, quando l’unica cosa che ne risulta è la confutazione di non A, mentre A, proprio quella che voleva dimostrare non l’ha dimostrata. Sai benissimo Luciano, che è proprio per le antilogie di cui parlavamo prima A e non A non sono né vere né false, ma lo diventano a nostro piacimento per cui A (ciò che dico è la sola cosa che esiste in quel momento) e non A (ciò che dico esiste in un altro momento) sono i due corni di un’antilogia indecidibile. Invece tu senza avere in realtà dedotto niente da tutto questo discorso, lo hai usato come base per i tuoi giochini spacciandolo per ciò che non puoi non dire.

E ancora

 

Nulla è fuori dalla parola, se qualcosa fosse fuori dalla parola lo potrei sapere o per esperienza o per ragionamento…[4]

 

Anche qui in realtà il nostro Luciano non sa che pesci pigliare e allora dovendo mostrare A (nulla è fuori dalla parola) si ritrova a confutare non A (qualcosa è fuori dalla parola) pretendendo che dalla confutazione di non A risulti A, che è un mezzuccio, un errore logico, perché A e non A non sono né mostrabili né confutabili, né vere né false, e potrebbero essere entrambe vere, entrambe false, o una vera ed una falsa, proprio come un’antinomìa. Comunque alla fine della nostra A che doveva dimostrare il buon Fajoni non ci ha detto proprio nulla.

Fajoni: Intanto una considerazione estetica: non è carino, per confutare una tesi, utilizzare ciò stesso che sostiene quella tesi, poiché se ti dovesse mai capitare di provarla falsa allora, proprio per lo stesso criterio, sarebbe falsa anche la tua confutazione. Ma aldilà di questa amenità, se sostieni che affermare che “A è vera se non A è falsa” sia un errore logico, mi sapresti spiegare a quale logica ti stai appellando? Se qualunque logica (per tua stessa convinzione) è necessariamente vera e falsa allo stesso tempo, allora io ho commesso un errore logico e non ho commesso nessun errore logico, se così non è, allora devi opporre alla mia un’altra logica: quale? E poi, per potere stabilirla non sarà necessario che ciò che stabilisci non possa essere vero e falso simultaneamente, pena l’azzeramento di tutto ciò che affermi? E per potere anche considerare tale azzeramento non sarà necessario, di nuovo, un criterio che te lo consenta?

Fajoni: Una domanda sola, “Maestro”.

Protagora: Falla pure.

Fajoni: Tutte le cose che hai affermate, per il tuo stesso criterio, possiamo provarle essere tutte false?

Protagora: Ma insomma Luciano, sei un po’ a corto di argomenti… Comunque…. Innanzi tutto mettiamoci d’accordo su che cos’è una petizione di principio. Che sia letto lo scritto.

Se con verità intendiamo ciò che non può non essere, il solo criterio di verità praticabile muoverà dalla inevitabile constatazione che si sta parlando nel fare queste considerazioni, e questo è ciò che non può non essere.

Con verità allora intendiamo che qualunque cosa si faccia, questa è nella parola. Qualunque altro criterio di verità possa pensarsi non potrà legittimarsi, incorrendo inevitabilmente nel regresso all’infinito oppure nella petizione di principio, cioè o rincorrerà all’infinito la propria origine oppure si af­fermerà ripetendo semplicemente se stesso[5].

Fino qui tutto bene, no?

Fajoni: Si, confermo.

Protagora: Bene, infatti mi viene in mente che una delle critiche a quel Freud di cui tanto parli è proprio che non si sia reso conto che l’inconscio fosse primariamente una parola e di averne fatto un principio metafisico al di fuori della stessa. Ben detto. Comunque andiamo avanti.

l’elemento che risulta tale soltanto per auto­affermazione, è una petizione di principio che in nessun modo può rendere conto di sé[6].

Ecco, dammi una definizione di linguaggio.

Fajoni: Intendo con “linguaggio” la struttura grammati­cale, logica e sintattica di cui è fatto l’atto di parola e senza cui la parola non potrebbe darsi.[7]

Protagora: E di struttura?

Fajoni: Ciò che mi consente di fare questa come altre affermazioni

Protagora: Quel “ciò” è un significante o no?

Fajoni: Non può non esserlo.

Protagora: E come tale o rinvia a qualcosa oppure no?

Fajoni: Certamente.

Protagora: Ma se non rinviasse a qualcosa sarebbe il termine ultimo che produrrebbe l’arresto del linguaggio. Può farlo?

Fajoni: Può farlo, ma questa affermazione risulterà arbitraria.

Protagora: E allora rinvia a qualcosa ma a che cosa?

Fajoni: Ad un altro elemento linguistico.

Protagora: Quindi volendo definire il linguaggio, non ho potuto che usarlo, e quindi produrne una autoaffermazione, quella stessa autoaffermazione che tu, proprio tu, dicevi essere una petizione di principio.

 

vale a dire che non possiamo chiederci da dove viene ciò che stiamo dicendo se utilizziamo, per farlo, ciò stesso che stiamo dicendo, incorreremmo o nella petizione di principio che ci costringe a fermarci affermando semplicemente che è così perché è così op­pure in un’inarrestabile regresso all’infinito[8].

 

Fajoni: Parrebbe, dal momento che qualunque affermazione non necessaria non può essere sostenuta in alcun modo, mentre una affermazione necessaria è tale proprio in quanto afferma che per potere affermarsi necessita di una serie di procedure e regole che glielo consentono. Il linguaggio può soltanto autoaffermare se stesso. Non può fare nient’altro che questo. Se invece affermassi che l’inconscio esiste adducendo come prova il fatto che in certe occasioni accade di compiere dei lapsus per esempio, allora tale prova che ho addotta non risulterebbe necessaria per affermare che l’inconscio esiste, poiché posso mostrare moltissime altre “prove” a favore e contro, ma la stessa cosa non la posso fare con il linguaggio, inquantoché dovrò utilizzare regole di formazione e di esclusione linguistiche tali per cui sono costretto a affermare “il linguaggio non esiste” e non per esempio “il linguaggio esiste necessariamente”. Da qui possiamo inferire che il linguaggio altro non è che regole di formazione sostenute da regole di esclusione. Quindi la differenza consiste nel fatto che Freud afferma come necessarie cose che io ritengo assolutamente e inesorabilmente arbitrarie.

 

Nulla è fuori dalla parola, se qualcosa fosse fuori dalla parola lo potrei sapere o per esperienza o per ragionamento…[9]

 

Protagora: Ah, davvero. Dovendo mostrare A (nulla è fuori dalla parola) ti ritrovi a confutare non A (qualcosa è fuori dalla parola) pretendendo che dalla confutazione di non A risulti A, che è un mezzuccio, un errore logico, perché A e non A non sono né mostrabili né confutabili, né vere né false, e potrebbero essere entrambe vere, entrambe false, o una vera ed una falsa, proprio come un’antinomìa. Comunque alla fine della nostra A che dovevi non ci hai detto proprio nulla. Ma si può fare anche antilogicamente, affermare non A per negare A. Perché l’antilogia è un gioco, che mi consente di costruire e dimostrare le proposizioni contrarie, che negano ciò che tu hai sempre sostenuto non negabile.

Fajoni: E come? Fallo se ci riesci.

Protagora: Uso il tuo stesso mezzuccio. Per confutarti dovrò affermare non A (qualcosa è fuori dalla parola) per poi ridurmi invece a confutare A (nulla è fuori dalla parola), perpetrando cioè ancora una volta il grande inganno, ossia la reductio ad absurdum, e facendo finta che la confutazione di A sia l’affermazione di non A cosa che abbiamo visto non essere sostenibile. Poiché potrebbero essere entrambe false, oppure, meglio, né vere né false, ma vere o false solo a nostro piacimento. Comunque comincio.

Qualcosa è fuori dalla parola (parti dalla proposizione che abbiamo chiamato non A), perché se nulla fosse fuori dalla parola, (per passare a quella che abbiamo chiamato A,) tutto sarebbe negabile, poiché se non fosse negabile non rinvierebbe ad un altro elemento linguistico, e se non rinviasse ad un altro elemento linguistico rinvierebbe a qualcosa fuori dalla parola. Allora tutto, in quanto parola è negabile. Ma se tutto fosse negabile, andrebbe in contro a due aporie: la prima è che lo sarebbe anche la mia affermazione, come già tu ti sei recentemente accorto[10]. E quindi risulterebbe negabile che tutto sia negabile, quindi se è negabile che tutto sia negabile, vuol dire che è affermabile che qualcosa, o tutto, non lo sia. Ma se qualcosa non è negabile vuol dire che non rinvia a un altro elemento linguistico, se non rinvia, allora sarà fuori dalla parola.

Fajoni: Non ho affermato che un elemento linguistico, per essere tale, debba necessariamente essere anche negabile, ho affermato al contrario che per potere negare un’affermazione necessito di regole di esclusione tali per cui affermo per esempio: “nego che A”, anziché “affermo che A”. Quale demone ti spinge a dire che un elemento linguistico è tale se e soltanto se è negabile? Se un’affermazione non è negabile, proprio per questo fatto rinvia necessariamente almeno alla sua affermazione, e pertanto rinvia a un altro elemento linguistico.

Protagora: Ma questa struttura è nel linguaggio?

Fajoni: Questa struttura è il linguaggio, poiché è la logica del discorso, cioè quella serie di procedure che consentono la formazione di proposizioni.

Protagora: Non hai risposto, oppure con il fatto che sia la condizione intendo che è fuori dal linguaggio.

Fajoni: Ma non vedi che ne stai parlando, se ne parli è nel linguaggio.

Protagora: Ho capito, quando parlo di regole del linguaggio, le regole del linguaggio sono la condizione per cui io ne parli

Fajoni: Certo

Protagora: Allora, quando parlo di pesche sciroppate le pesche sciroppate sono la condizione per cui io ne possa parlare. Ma questo te lo può dire anche il verduriere qui sotto, se non ha infatti due mele è impossibile che le venda, a meno che non sia un buon retore.

Fajoni: Ma no, le regole del linguaggio sono la condizione per cui io possa parlare di pesche, mele e tutto quello che vuoi..

Protagora: Allora anche quando io non parlo di regole del linguaggio le regole del linguaggio mi consentono di parlare di alcunché?

Fajoni: Certo. È da non so più quanto che te lo sto dicendo

Protagora: Bravo Luciano, allora le regole sono la condizione perché io dica qualsiasi cosa dica.

Fajoni: Si.

Protagora: Allora non sono negabili, perché il negare qualcosa è un atto linguistico ossia è un atto la cui possibilità mi è data solo dal linguaggio.

Fajoni: Parrebbe.

Protagora: Linguaggio di cui le regole sono la condizione e senza di cui nulla esisterebbe, neanche ciò che sto dicendo.

Fajoni: Certo.

Protagora: Quindi il negare le regole non può farsi, o meglio, potrebbe farsi solo se ammettessimo qualcosa fuori dal linguaggio il che è contrario a ciò che tu hai sempre sostenuto. Si arriverebbe a negare la struttura stessa che mi consente di negare, che tu hai chiamato linguaggio.

Fajoni: Parrebbe.

Protagora: Per cui se le regole non sono negabili non sono un elemento linguistico.

Fajoni: Caro Protagora, puoi affermare una cosa del genere soltanto se consideri che qualunque cosa si dica questa sia un’affermazione retorica, e supponendo ancora che una affermazione retorica sia negabile per definizione; ma se anche la definizione sarà necessariamente retorica sarà anche questa negabile, creando non pochi impicci. Proviamo a considerare meglio la questione: se per potere affermare “una affermazione retorica è negabile” necessito di qualcosa che non  lo sia, poiché come abbiamo visto in caso contrario la proposizione che afferma che una affermazione retorica è negabile è nulla, allora posso affermare che le regole di esclusione che consentono questa operazione non siano negabili. Ma affermandolo compio un’affermazione retorica, e quindi negabile. Ma è proprio così? Se siamo stati indotti ad affermare qualcosa del genere allora qualcosa non ha funzionato nel nostro percorso teorico, forse ci siamo ingannati. Tutto procede da un’antica affermazione che press’a poco suonava così: la logica costituisce la condizione del linguaggio, la retorica la sua esecuzione. Due questioni: la prima è se questa distinzione sia effettivamente necessaria, o almeno utile; la seconda se tutto ciò che attiene alla retorica debba essere necessariamente negabile oppure no. Lasciamo la prima questione in sospeso provvisoriamente, forse rispondendo alla seconda anche la prima troverà una sua migliore collocazione. Perché affermiamo che tutto ciò che è retorico è negabile? E se fosse che è negabile ciò che lo è e non è negabile ciò che non lo è? Cioè, in altri termini: non posso negare una proposizione retorica che afferma che ciò che si dà, questo è necessariamente un atto linguistico. E non lo posso negare inquantoché una regola linguistica me lo vieta, precisamente quella che vieta di porre sia “A” che “non A” come simultaneamente vere per potere proseguire a parlare. A questo punto la distinzione tra logica e retorica riprende la sua connotazione prettamente descrittiva, cioè ci semplifica nel procedere teorico, così come una semplificazione matematica, niente più di questo. Allora non tutte le affermazioni retoriche sono negabili, non quelle che affermano la necessità di regole di formazione e di esclusione linguistiche. Una proposizione retorica non è negabile se e soltanto se enuncia la struttura logica che le consente di prodursi.

Come sai, nella Sofistica ho affermato che:

 

2.6 Consideriamo ora qualcosa che apparentemente ha poco a che fare con la retorica e cioè un teorema inventato da un matematico, Kurt Gödel, che ha illustrato un metodo per inserire, all’interno delle proposizioni costruibili utilizzando le procedure aritmetiche, una proposizione che afferma di se stessa che non è dimostrabile. Dire che le procedure aritmetiche consentono la costruzione di tale proposizione vale a dire che tutto il sistema è indeci­dibile, e se tale proposizione non viene accolta all’interno di tale sistema allora il sistema risulta incom­pleto. Dunque o incompleto oppure indecidibile. In che modo tutto ciò ci in­teressa? Ci interessa questo, l’eventualità che in qualunque proposizione sia possibile, dagli assiomi di partenza, dedurre proposizioni che negano ciò che si è affermato e, torniamo a ripetere, in qualunque proposizione.

 

L’inserimento del significante “eventualità” ci salva dal dovere negare questa affermazione, in effetti ciò che affermo è che non qualunque affermazione retorica è negabile, cioè non tutto ciò che faccio dicendo può essere negato in quanto facendolo mi troverei di fronte all’impossibilità di proseguire: le regole del gioco linguistico lo vietano; oppure qualunque proposizione è qualunque altra con tutto ciò che ne segue, vale a dire l’impossibilità di compiere questa affermazione.

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[1] ERACLITO Sulla Natura

[2] LUCREZIO Sulla Natura

[3] FAIONI Sofistica 5.09

[4] A. C. Scienza della Parola. Manifesto Teorico

[5] FAIONI Sofistica 1.8,1.9

[6] FAIONI Sofistica 1.30

[7] FAIONI Sofistica 1.2

[8] FAIONI Sofistica 2.25

 

[9] A. C. Scienza della Parola. Manifesto Teorico

[10] FAIONI Corsi. Giovedì 11/2/1999