MSM
Manuale
Sofista di Metodo
di
Pensare che il Mondo possa procedere senza la scienza è fantasia di qualche scrittore che fa dell’originalità il suo biglietto da visita. Detto questo, anche pensare che la scienza nella sua storia abbia mai posseduto una briciola di verità assoluta, sarebbe affermazione priva di qualsiasi fondamento
Già il fatto che la scienza abbia una “storia” fatta di continui progressi, di salti e di conquiste, dimostra quanto lontana sia dalla prospettiva scientifica la verità assoluta, ossia vera in qualunque caso.
Ciò detto, non è assolutamente il caso di essere disfattisti, sono stati elaborati due concetti che danno a quella verità a termine che sempre possediamo tutta la dignità che merita. Vediamoli
In primis, già il fatto che si possa parlare di progresso, significa che, comunque sia, tutto quanto fatto in questi millenni non è da buttar via. E si aggiunga che, il fatto che si possa star qui a discutere seriamente se la verità sia o non sia assoluta, significa che i progressi fatti non sono trascurabili. Questo è innegabile. Potremmo infatti definire l’approssimazione come:
Approssimazione: Avvicinamento non trascurabile alla verità assoluta
Ad affinare gli strumenti che l’uomo ha messo a punto in questi millenni di ricerca scientifica interviene anche un altro determinante concetto: quello di coerenza, e di coerenza ad un
Plotino, filosofo antico, nelle sue lezioni[1]ci dice delle cose estremamente interessanti su Dio.
Nel tentativo di descriverne gli attributi si trova di fronte ad una impasse: in effetti qualunque attributo io scelga, fra gli infiniti di Dio, risulta che nel parlarne io ne sminuisca la portata, ne travisi il senso, ne taccia l’intimo significato. Questo poiché per quanto larghe siano le mie vedute e per quanto allenata sia la mia mente, la mia potenzialità mentale, descrittiva e comunicativa è infinitamente piccola rispetto a Dio
Questo risulta rafforzato anche dal fatto non trascurabile che qualsiasi cosa io conosca pensi e comunichi risulta sempre un qualcosa di determinato, un quid che nella conoscenza, nel pensiero e nella parola trova la sua ragion d’essere ma anche i suoi limiti
Dio non può per definizione essere costretto dentro qualche schema ed essere limitato, dunque Dio risulta per me inconcepibile impensabile e incomunicabile.
Del resto siamo anche molto lontani dall’avere una possibilità effettiva di stabilirne la stessa esistenza. In sostanza millenni di prove e ragionamenti, induttivi e deduttivi, messi a punto dai più alti ingegni, si sono rivelati poca roba di fronte al tribunale del tempo. Del resto, L’inconcepibilità e l’impensabilità di Dio, non avrebbero lasciato spazio a nessun’ altra sentenza.
Disse bene Pascal quando, arrivato a questo punto della discussione[2], affermò che Dio non è un teorema, o una formula chimica, bensì una scommessa, una scommessa cosciente e responsabile che noi decidiamo di fare nella nostra vita.
Questa scommessa sarà “nostra”, sommamente intima e non dovremo renderne conto a nessuno
Ben lontani siamo quindi dalle paranoie legalistiche farisaiche. Il fariseo dovrebbe sapere che Dio non è un insieme di leggi, che Dio non è una postilla o un comma a qualche norma. Eppure nel corso dei millenni l’atteggiamento farisaico ha spopolato, strizzando l’occhio a poteri che ben poco avevano a che spartire con Dio.
Il credente invece, quello che Dio lo sente dentro e che non ha bisogno di andarlo a cercare nei codici di morale farisaica, provi ora a chiudere gli occhi. Bene. Se anche solo per un momento gli sia venuto in mente qualche cosa di diverso da una serie di consensi e divieti, ebbene allora è pronto a continuare il percorso proposto in questo scritto, altrimenti è tempo che chiuda e dedichi le sue energie ai codicilli farisaici.
Se Dio dunque non può non essere ciò che abbiamo detto, dobbiamo assolutamente diffidare dai quei Soloni con la verità sempre in tasca e sempre pronta che si ergono ad autorità nel dirci ciò che dobbiamo e ciò che non dobbiamo fare. Non furono forse Dio prima e Gesù dopo a distruggere e rovesciare il tempio di Gerusalemme? Non fu forse Dio per mezzo dei profeti e di Gesù a condannare il modo farisaico di accostarsi alla fede, un modo fatto di proclami, ostentazione e opulenza?
In base a ciò che abbiamo detto chi di fronte a Dio arretra e sospende il giudizio risulta infatti assolutamente preferibile. Meglio il silenzio della bestemmia potremmo dire. Da parola inflazionata e prediletta nei discorsi alla folla, Dio dovrebbe diventare esperienza silenziosa e strisciante della nostra intimità. Troppe sono infatti le nostre debolezze e le nostre incertezze di fronte a Dio per permetterci di salire in cattedra ed affermare alcunché.
Non siamo farisei, il silenzio sarà la nostra professione di fede
Disse bene Agostino quando, arrivato a questo punto[3] del ragionamento, sostenne che per trovare la fede bisognava rifuggire i codicilli farisaici e ritornare a noi stessi per cercare in noi stessi il modo di stabilire un rapporto intimo, unico ed irripetibile con Dio. La fede si allontana così dall’assurda pretesa di essere regola per ritagliarsi il timido ruolo di esperienza, esperienza di vita di ogni mortale, esperienza di ogni singola scommessa con Dio e su Dio.
E’ tesi portante dell’Ecumenismo, quella di operare la distinzione fra Fede e Religione. E’ una distinzione che a questo punto potrebbe essere di un qualche interesse, vediamola meglio.
La relazione fra uomo e Dio è unica ed eterna, è infatti possibile pensare ad un sentimento comune, l’esperienza della fede, che è uguale per tutti, senza distinzione di epoca storica o di regione geografica. E’ uguaglianza di un esperienza irriducibile, come irriducibile è Dio, il suo termine di riferimento. Questa esperienza intima, l’esperienza della fede, è venuta in contatto col mondo, con la storia dell’uomo, con la sua ubicazione geografica e si è concretizzata in una miriade di forme di culto distinte. Queste diverse concretizzazioni dell’unica fede, sono la religione.
La religione viene ad essere un modo di vivere la fede relativo all’epoca storica, alla condizione geografica e sociale dell’uomo che di volta in volta si vede impegnato nel suo irriducibile rapporto con Dio
Dal punto di vista della fede, della fede di un credente, le guerre di religione, atte ad affermare la supremazia di questa o quella dottrina particolare, sono una operazione inutile, un insensato tifo da stadio, una risibile paranoia farisaica contro quale Dio stesso si è schierato.
Nel presentare il Nuovo Testamento gli esegeti dicono che il rinnovamento dell’Alleanza si era reso necessario dal fatto che l’umanità, e con essa il suo modo di intendere il mondo era mutato, che i concetti dei Vangeli non sarebbero stati comprensibili all’uomo antico, e che i concetti antichi erano ormai diventati, nella maggior parte, uno scomodo retaggio culturale per l’uomo moderno. Procedendo di questo passo si è arrivati alla tesi dell’ecumenismo su esposta concernente la distinzione fra fede e religione o, sarebbe meglio dire tra fede e religioni.
Come avrete capito è lontana da noi la volontà di proporre un nuovo patto. Non abbiamo né le ragioni ne i mezzi per farlo. Ciò che ci preme invece è rimarcare il fatto che, se è vero che c’è un’Alleanza, nuova o vecchia che sia, fra Dio e l’umanità, è vero a maggior ragione che sussiste una Alleanza fra ciascuno di noi singoli mortali e Dio i cui termini sono discussi da ciascuno all’interno della propria esperienza di fede irriducibile.
Di nuovo Plotino ci permette[4] di dire la nostra su una questione estremamente importante. Riprendendo Parmenide[5], Plotino ebbe a dire che Dio è uno ed è tutt’uno con tutti i suoi attributi, quindi una è la Volontà, una è la Bontà, una è la Eternità e non solo, Volontà, Eternità e Bontà giacciono indistinti, nell’unica ineffabile, inconcepibile ed incomunicabile, essenza divina. E’ dunque da escludere nella suprema unità divina, qualsiasi tipo di cambiamento, che implicherebbe dualità e tempo.
Quindi Plotino e Parmenide ci dicono una cosa semplicissima ma determinante.
Dio non prende una decisione, Dio è la decisione, e quindi, Dio non cambia idea. Questo assunto, ovvio da quanto abbiamo detto, sarà determinante nel prosieguo. Vediamo come.
Definire il Nostro interesse per la sofistica è operazione complessa. Pur pensando in queste pagine di aver dato un esemplificazione piuttosto esauriente di ciò che intendiamo per sofistica come metodo giudico opportuno proporre alcune considerazioni conclusive.
In questo Manuale si sono discusse le tre idee regolative che dominano il mondo secondo la famosa affermazione di Kant[6]
Nel corso della storia si sono succeduti due modi di intendere il rapporto fra Sofistica e Filosofia. Il primo, stando alla trattazione proposta da Untersteiner si rifaceva a Ippia[7]. In questo senso si ricollega la Sofistica alla sua radice ed al suo significato: il sapere. Il sofista diventa così una sapiente dalla preparazione enciclopedica in possesso delle nozioni per comprendere il mondo nella sua totalità. Il secondo, che faceva capo alle famose scuole di Protagora e Gorgia, vedeva nella sofistica una tecnica, la bontà della quale portava il possessore a vincere qualsiasi agone dialettico.
Entrambe queste concezioni hanno avuto epigoni ed entrambe hanno rivelato pregi e difetti. La sofistica vista come tecnica ha il pregio di delineare gli elementi per un metodo, un modo di procedere che può essere utile in qualsiasi disciplina come strumento del “corretto ragionare”. Nello stesso tempo ha però il difetto di aver lasciato che questo metodo distruggesse se stesso e di aver prestato il fianco a filosofie scettiche e nihilistiche, di essersi lasciata attirare in quel campo di lotte senza fine che avrebbe potuto e dovuto dirimere.
La Sofistica come sapere enciclopedico ha il pregio di aver superato il nichilismo, ma, identificando il suo compito con la conoscenza di un’utopica totalità del sapere, ha misconosciuto il suo carattere di metodo, di strumento del corretto ragionare per inseguire la chimera dell’onniscienza.
Raccogliendo i frutti della analisi finora svolta si può forse tentare di proporre una terza posizione: la sofistica come metodo.
La sofistica come metodo potrebbe applicare i principi della tecnica di Protagora alle branche del sapere di Ippia.
Ed è questo stesso metodo che abbiamo cercato di seguire nella trattazione di tre fra i più importanti campi del sapere (Psicologia, Epistemologia e Teologia) cercando, di volta in volta di essere coerenti ai principi del metodo stesso.
Arrivati a questo punto ci si pongono una serie di interrogativi cui dobbiamo poter rispondere con pazienza ed esaustività se vogliamo dare rigore al ragionamento fin qui condotto.
Anzitutto quali sono le operazioni che questo metodo vieta e perché??
Nel corso della trattazione abbiamo spesso parlato di corretto modo di ragionare, ora è arrivato il momento di discutere i principi di questa nozione di correttezza.
Esamineremo di seguito quali sono i concetti dell’Antica Sofistica di cui intendiamo servirci al fine di parlare della sofistica come metodo. Questi concetti, presi nella loro totalità, arriveranno a comporre la nozione di correttezza.
Anzitutto che, se è vero che ciascuna branca del sapere per poter avere un senso ha bisogno di un punto di partenza, richiede un principio, è altrettanto vero che lo stesso principio non può essere scelto fra gli enti conosciuti, altrimenti ciò che ne risulterebbe è un inutile abbozzo di metafisica che si mescolerebbe alle altre già presenti senza portare alcuna goccia di acqua fresca al mare della conoscenza. Ogni principio, legittimamente chiesto, dovrà dunque essere dichiarato Inconcepibile, impensabile ed incomunicabile, come abbiamo mostrato nel testo. Dovrà essere usato come l’idea regolativa kantiana, come un concetto limite da utilizzarsi per organizzare le conoscenze
Successivamente la considerazione dell’esperienza presente e particolare del singolo uomo come preminente rispetto a qualsiasi altra considerazione proveniente da altre fonti. Questo perché usualmente il mutuare principi da fonti diverse rende gli stessi difficilmente giustificabili agli occhi di un osservatore attento e fa rientrare le nostre considerazioni in un marasma di opinioni antagoniste la cui considerazione da parte nostra è assolutamente una perdita di tempo.
Non dobbiamo dimenticare nemmeno il concetto di contesto, che ha consentito a ciascuno di riflettere sulla portata delle proprie conoscenze. Senza un processo di pronta e opportuna contestualizzazione, ogni dato preso in esame diventa una opinione metafisica sul mondo della cui portata non siamo nemmeno noi padroni ed alla quale non possiamo risparmiare in alcun modo la possibilità di essere rigettata come spazzatura metafisica. Affermazioni di questo tipo, allo stato attuale delle cose sono assolutamente inutili, e ci sembrerebbe un atto oltremodo dannoso sprecare il proprio tempo in dispute da salotto.
C’è, infine, il concetto stesso di correttezza che gli antichi sofisti utilizzavano per valutare un ragionamento.
Ci si potrebbe chiedere quale sia in conclusione lo scopo del nostro Metodo. Per poter rispondere a questa domanda, concedetemi di riprendere, riveduta e corretta la metafora culinaria[8] di Platone. Di solito per avere un corpo bello, allenato e in forma si consigliano esercizi ginnici ed una dieta moderata. Ma cosa bisogna fare per avere una mente altrettanto bella, ordinata ed in forma?
La nostra risposta è semplice. Bisogna allenare la propria mente ai ragionamenti corretti ed alla cautela nell’acquisizione di nuove chimeriche informazioni.
Ovviamente ognuno è libero di rifiutare la nostra proposta, così come ognuno è libero di gestire il proprio corpo come meglio crede, tuttavia, qualora si volesse raggiungere come obiettivo una mente elastica ed allenata, consentiteci di dubitare che il percorso da seguire sarebbe tanto diverso da quello delineato in queste pagine.