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LA DIMOSTRAZIONE

 

 

Ciò di cui dobbiamo parlare questa sera è la nozione di dimostrazione, in retorica prevalentemente, ma forse non soltanto. A che cosa serve una dimostrazione in linea di massima? A stabilire ciò che è vero, ed è per questo che ci interessa, non soltanto perché stabilisce ciò che è vero, ma perché ciò che è vero stabilisce il criterio per l'azione, nel senso che io mi muovo o faccio, penso, dico in relazione a ciò che ritengo essere vero e quindi anche in relazione a ciò che ritengo essere falso. Questo l'aspetto importante, come dire che ciò che in un modo o nell'altro ho stabilito essere vero, sarà ciò che da quel momento io credo necessariamente, per definizione, e lo crederò perché so che è vero, quindi mi muoverò in quella direzione. Cosa si intende generalmente con dimostrazione? Si intende comunemente una sequenza di proposizioni che sono tra loro consequenziali, possibilmente non contraddittorie, di cui l'ultima come dicevamo già l'altra volta è chiamata la conclusione o appunto, dimostrazione. Quindi è un percorso, può essere più o meno semplice, più o meno complicato, però muove da una premessa e giunge a una conclusione e il suo fine è quello di stabilire, come dicevamo, ciò che è vero o più propriamente ancora ciò che è necessario che sia. La dimostrazione, per esempio nella logica, è un procedimento piuttosto rigoroso, che segue regole inferenziali, regole inferenziali che sono stabilite in precedenza, pertanto alcuni hanno pensato che ciò cui giunge la dimostrazione, e cioè l'ultima formula della dimostrazione, e cioè ancora il teorema, la verità di questo teorema non è altro che il suo criterio di verificabilità, e questo per esempio è ciò che dice Wittgenstein. Criterio di verificabilità e cioè le regole che ha utilizzato per giungere a quella conclusione, e quindi il teorema mi dice soltanto che ha utilizzato correttamente un sistema inferenziale, niente più di questo. L'idea che il vero corrisponda o abbia un referente da qualche parte è un'idea antica ma già da tempo è stata messa in discussione questa eventualità, dal momento che non si intendeva come questo elemento extralinguistico, che doveva garantire, per esempio una dimostrazione, potesse essere utilizzato senza che questo elemento fosse preso lui stesso nella dimostrazione, come dire che la dimostrazione è sorretta da qualche cosa che non è dimostrabile, e questo ha creato qualche problema, già ad Aristotele, perché qual è il fondamento di qualunque dimostrazione possibile o immaginabile? L'esperienza, il dato esperienziale. Dunque il dato dell'esperienza è ciò che in ciascuna dimostrazione interviene a fondamento ma non per questo è meno stabile. L'esperienza, in qualunque modo sia intesa, ha sempre a che fare necessariamente con la partecipazione immediata di un evento, un qualunque fatto, e che questo fatto sia ripetibile. Ora occorrono delle condizioni perché una qualche cosa sia o costituisca un fatto, per esempio una delle condizioni è che ci sia io che stabilisco che è un fatto, ad esempio, se non ci fosse nessuno sarebbe un fatto? Questione ardua, lo sarebbe per chi? Può essere un fatto essere tale se non vi è alcuno per cui sia tale? Nessuno per cui un fatto sia un fatto? Ma la questione centrale in tutto ciò è che una qualunque dimostrazione, pur non avendo nulla da cui muovere che sia assolutamente necessario, ha tuttavia un potere e una forza costrittiva non indifferente, ma la sua forza costrittiva la trae unicamente dalla supposizione (in questo caso potremmo dire dalla superstizione) che qualunque dimostrazione, per il solo fatto di giungere a qualcosa che si dice essere vero, dica o mostri o illustri uno stato di fatto delle cose, e cioè che non si limiti a un semplice gioco linguistico. Giungere a stabilire, attraverso un sistema inferenziale la verità di una proposizione, è potere affermare che le cose stanno così. Ma quali cose? Quelle che la dimostrazione illustra. Come se illustrasse, dicevamo prima, qualcosa di extralinguistico che dunque, siccome giungo a dire che è vero, allora necessariamente esiste, oppure semplicemente, come potrebbe dire Wittgenstein, compie un gioco linguistico, uno possibile fra infiniti altri e niente più di questo. E allora, quando qualcuno chiede a un altro qualche cosa, qualunque cosa sia, che cosa sta chiedendo? Perché è questa la questione più interessante in tutto ciò che andiamo dicendo, che cosa chiede una persona che chiede che gli si dimostri qualche cosa? Chiede di essere convinta, probabilmente, e questa persona è convinta da che cosa? Da una sequenza di proposizioni, delle quali è in condizioni di giudicare la correttezza e quindi la validità, a questo punto generalmente è convinto cioè crede che sia così, la differenza sostanziale fra questo modo di credere le cose e ciò che da tempo andiamo dicendo consiste in questo, che nel primo caso ciò che qualcuno mi ha dimostrato io ritengo essere una descrizione di uno stato di fatto, di uno stato di cose, nella seconda ipotesi no, no perché nessuna dimostrazione è in condizione di dimostrare ciò che non può fare e cioè, per esempio, l'esistenza di un elemento fuori dalla parola. In questo senso tutto ciò che la dimostrazione fa non è altro che una successione di proposizioni che seguono una certa regola; questo è importante, seguire una certa regola anziché un'altra, perché se devo dimostrare qualche cosa, allora ho già un criterio di verità, devo dimostrare che una certa cosa è vera... (interruzione per qualcuno che entra) allora dicevo, occorrerà un criterio per confrontare ciò che ho trovato con ciò che suppongo essere la verità, ma a questo punto mi trovo, come già gli antichi avevano avvertito, in una sorta di regressio ad infinitum, e allora? E allora le due tesi più recenti e più accreditate rispetto alla dimostrazione muovono l'una dalla considerazione che l'esperienza comunque è il fondamento, questo fino a Husserl, fino a Carnap con il suo enunciato protocollare, cioè l'enunciato che, scevro da ogni possibile interferenza, semplicemente descrive le cose, l'altra è quella che è sorta con Wittgenstein, e inizia a considerare che invece tutto ciò non ha alcun senso, come dire che parlare di esperienza in questi termini è fare un altro gioco linguistico che ha delle regole, e allora dimostrare qualche cosa sarà sì utilizzare un sistema inferenziale, ma con una regola o più regole molto precise e queste regole mi dicono che, inferendo in un certo modo, giungo a una proposizione che, proprio per questa stessa regola, risulterà vera. O per dirla più semplicemente, sarà vero ciò che io crederò che lo sia, come dicevamo la volta scorsa rispetto alla nozione di verità, l'unica definizione di verità che possiamo dare, è che la verità è esattamente ciò che si crede che sia, e questo è importante in qualunque dimostrazione, perché qualunque dimostrazione dimostrerà ciò che deve dimostrare, ma utilizzando una regola tale che consente di affermare che il teorema, cioè l'ultima proposizione, è vera, e se non c'è questa regola non è né vera né falsa, non è assolutamente niente, un qualunque teorema matematico non significa nulla, fuori dalla regole che lo fanno esistere, in questo caso le regole del calcolo numerico o della logica matematica. Dimostrare allora, torniamo alla questione da cui siamo partiti, ciò che riesco a dimostrare c'è l'eventualità molto seria che lo creda anche, credendolo ovviamente sarò costretto, in un certo senso, a muovermi in quella direzione escludendo necessariamente tutto ciò che si oppone a ciò che io credo. Credendo una qualunque cosa do il mio assenso evidentemente, ma dando il mio assenso faccio un'operazione che è abbastanza curiosa, e cioè stabilisco che le cose, se sono esattamente così come vengono esposte, non possono essere altrimenti. Certo, c'è sempre una pregiudiziale per cui potrebbero non essere così come sono esposte e allora in quel caso la questione può essere rivista, ma se le cose stanno così non c'è altra soluzione, questa certa cosa è dimostrata. Ma è possibile dimostrare qualunque cosa? Qualunque cosa e il suo contrario? Cosa dice lei, è possibile oppure no? Potrebbe esserlo, perché se lo fosse, possibile, allora a che cosa daremmo il nostro assenso? Se potessimo dimostrare una tesi e il suo contrario? A nessuna delle due ovviamente, cosa distingue per esempio la dimostrazione dell'esistenza di dio dalla dimostrazione che due rette, non parallele e poste sullo stesso piano si incontreranno in un punto? O che un corpo in movimento, se non incontra nessun ostacolo, continuerà all'infinito a muoversi alla stessa velocità? Cosa distingue queste dimostrazioni l'una dall'altra? Si intende, generalmente, che queste ultime due siano differenti dalla prima in quanto scientifiche, e questa è la versione più accreditata per quanto riguarda le dimostrazioni, cioè quella che può ripetersi in qualunque momento di fronte a chiunque, in qualunque circostanza, qualunque circostanza che ovviamente mantenga quelle stesse condizioni, dal momento che nessun corpo che si trovi in questa stanza, se mosso continuerà all'infinito il suo movimento. E già qui, per esempio, all'esperienza potrebbe porsi qualche obiezione, chi ha avuto tra voi esperienza di un corpo che, una volta mosso abbia continuato all'infinito la sua corsa? Nessuno, eppure... eppure anche questo muove dai dati dell'esperienza, nel senso che tutto ciò che io posso immaginare rispetto a una questione del genere è comprensibile perché esiste un'esperienza, cioè perché questi elementi mi sono noti, gli elementi che mi sono noti posso combinarli tra loro, posso parlare anche dell'unicorno, senza averne avuta mai esperienza, e così di infinite altre cose, anche della stella Vega, che non ho mai vista né toccata, eppure occorre un'esperienza precedente per potere costruire un discorso in cui sia possibile parlare dell'unicorno o della stella Vega, ma allora di che cosa ho esperienza? In prima istanza del linguaggio, e di tutto ciò che il linguaggio può costruire. La cosiddetta dimostrazione è una delle costruzioni possibili del linguaggio, la dimostrazione non è altro che una successione di proposizioni, dove io ho inserito una regola che mi dice che la proposizione che otterrò alla fine di un certo procedimento è vera, nient'altro che questo. Se io cambio la regola, allora ciò che io ottengo non è più vero, sarà un'altra cosa, esattamente la stessa cosa che avviene in una dimostrazione della logica matematica o nella dimostrazione che ciascuno può trarre da fatti che lo circondano per trarre, come si suol dire, le somme, trarre le sue conclusioni, la procedura è la stessa, non cambia, cambia soltanto la regola che viene utilizzata.

Ma in assenza di un criterio che ci consenta di stabilire con certezza la superiorità di una regola rispetto all'altra, non possiamo che accogliere ciascuno di questi giochi linguistici e ciascuna di queste regole, utilizzandole secondo l'occorrenza, cioè utilizzandole a seconda di ciò che vogliamo ottenere, se voglio ottenere un teorema utilizzerò per esempio il calcolo numerico o il calcolo proposizionale, se voglio ottenere il consenso in altri modi userò altre regolare, che sono quelle della persuasione ad esempio, e dimostrerò che la mia tesi è migliore, rispetto a tutte le altre che sono false, utilizzando nel fare questo un'altra regola. Adesso facciamo solo un accenno, poi parleremo martedì prossimo dettagliatamente delle orazioni di Bruto e di Antonio. Come voi ricordate lì era in gioco la nozione di ambizione, ricordate che Bruto afferma che Cesare era ambizioso e perché? Che definizione dà Bruto di ambizione? Nessuna, però sottintende che è ambizioso colui che intende prevaricare la volontà del popolo e mettersi al suo posto. Ciò che intende invece Antonio con ambizione è tutt'altra cosa, di fatto se voi leggete le due orazioni vi accorgete che ciò che dice Antonio non confuta minimamente ciò che dice Bruto, neanche un po', semplicemente Antonio inserisce un'altra nozione di ambizione e cioè l'ambizione come la ricerca della ricchezza e degli onori. Bruto non ha mai accusato di questo Cesare, ma di volere mettersi al posto della volontà del popolo. Dunque due definizioni differenti, che consentono ad Antonio di confutare l'affermazione di Bruto che affermava che Cesare era ambizioso, inserendo semplicemente un'altra nozione di ambizione, il significante però è lo stesso. Qui la cosa ha buon gioco perché si suppone generalmente che un significante, un lessema, una parola abbia un significato, necessariamente o quasi necessariamente, e che pertanto se io parlo di ambizione chiunque mi ascolti sappia esattamente cosa intendo dire, il che non è, per nulla. L'equivocità di questo significante, così come di infiniti altri, consente di potere giocare come si vuole, esattamente come fanno Bruto e Antonio, o meglio come fa Antonio. Bruto è in buona fede, Antonio no. Leggeremo la prossima volta le due orazioni, che sono straordinarie.

Dunque cosa ha a che fare questo con la dimostrazione? Moltissimo, perché la dimostrazione è, come dicevamo, una sequenza di proposizioni che muove da un elemento che si intende come una premessa, ma questa premessa di che cosa è fatta? Qualunque cosa sia può essere definita, ma attraverso quale definizione? Se io l'ambizione la definisco in un modo, ciò che segue, per esempio in questo caso è che Cesare meriti la morte, ma è sufficiente che l'ambizione la definisca in un altro modo e Cesare diventa un martire assassinato da traditori. Sembra un gioco di prestigio, ma è ciò che avviene quotidianamente. Provare a definire questi termini come ambizione, come virtù, come giustizia, bene ecc. risulta pressoché impossibile, ma meno un termine è definibile, più sarà facile che produca dell'assenso, proprio perché ciascuno può, anzi fa questo, e cioè ci mette del suo. Ciascuno può pensare dell'ambizione quello che vuole, può pensare della giustizia quello che gli pare, in questo modo dimostrerà, chiaramente così come avveniva, che la democrazia è esattamente quella che si pratica a Mosca, così diceva Krusciev, e allo stesso modo Eisenower dimostrava che la democrazia è esattamente quella che si pratica a Washington. Avevano la stessa nozione di democrazia? Evidentemente no, ma è lo stesso significante, perché dunque è possibile dimostrare qualunque cosa? Perché la premessa, qualunque essa sia, non è mai univoca, non essendo univoca, essendo quindi, o potendo essere intesa in tutt'altro modo, chiaramente consentirà di giungere a conclusioni diametralmente opposte. E nel caso della dimostrazione logica, per esempio nella matematica, avviene la stessa cosa? Sì e no, lì la questione è più aperta, più esplicita, semplicemente è sufficiente inserire una nuova regola, così come nel calcolo proposizionale, inserire un assioma che è sufficiente che sia vero per qualunque valore di verità sia attribuito alle sue variabili e inserendo questo assioma è possibile dimostrare altro, così come avviene abbastanza frequentemente, anche nell'ambito della ricerca della logica matematica, lì dicevo è più aperta la cosa perché in quel caso si inserisce esplicitamente e apertamente un'altra regola, che è come dire che nel caso di Bruto si gioca con una certa regola, nel caso di Antonio si gioca con un'altra regola, cioè Antonio inserisce un'altra regola e gioca un altro gioco. Ora chi lo sta a sentire, cioè il pubblico in questo caso, i cittadini di Roma, non si accorgono di questo gioco di prestigio e credono, così come ci dice Shakespeare, prima all'uno e poi all'altro, se probabilmente avesse riavuta la parola Bruto avrebbero creduto a Bruto, e poi di nuovo ad Antonio, e poi a Bruto e così via all'infinito, probabilmente, non sappiamo, c'è questa eventualità. Perché tutto sommato costruire un'argomentazione rigorosamente logica non è poi così difficile, e allora se inserisco, più o meno surrettiziamente una regola e intendo con ambizione una certa cosa particolare, ciò che dimostrerò sarà esattamente ciò che voglio dimostrare, cioè nel caso di Antonio, che Cesare non era ambizioso, lui lo dice: tre volte rifiutò la corona e poi portò molti schiavi che arricchirono lo casse di Roma. Fu ambizione questa? l'ambizione dovrebbe essere fatta di tessuto più rude. Già ma quale ambizione? Quella che in quel momento vuole intendere Antonio chiaramente, e quindi non è affatto quella che intendeva Bruto, per nulla. Ma la questione che pongo è che quando ciascuno argomenta o ragiona fra sé e sé, il modo in cui argomenta, quando giunge alla conclusione, ha la stessa struttura, muove cioè da qualche cosa che ritiene necessariamente vero e da lì (supponiamo che deduca in modo assolutamente rigoroso) la conclusione che ne trae a quel punto è assolutamente certa, perché non ha alcun motivo di dubitarne, in quanto il procedimento è stato eseguito in modo corretto e quindi la sua conclusione è necessariamente vera. Il problema è che la dimostrazione, per quanto logica sia (distingueremo tra logica e retorica) ha la premessa che invece è totalmente arbitraria, cioè retorica. Come sapete la distinzione tra logica e retorica è antichissima ed è la stessa che trovate tra ragione e sentimento, scienza e arte, insomma ricalcano sempre la stessa dicotomia, dove da una parte c'è il razionale, puro e semplice, e dall'altra c'è l'irrazionale. Ma le cose forse non stanno proprio così, nonostante il dibattito sia antico e a tutt'oggi persista nel cercare di stabilire se venga prima la logica o venga prima la retorica ecc... nonostante questo, dicevo, si tratta di porre la questione in altri termini perché posta in questi termini non ha nessuna soluzione, e cioè in quali termini? Questi: con logica intendiamo, molto semplicemente, una serie di procedure che esistono nel linguaggio e che lo fanno esistere, senza le quali, diciamola così, il linguaggio si dissolverebbe; con retorica intendiamo invece le regole che utilizziamo per costruire (sempre tendendo presente le procedure) il linguaggio, in qualunque proposizione, in qualunque affermazione, in questo senso la logica, cioè le procedure non possono togliersi né isolarsi ovviamente, una di queste procedure è quella che già Aristotele introdusse come principio di non contraddizione: se ciascun elemento fosse se stesso e il suo contrario, allora non ci sarebbe alcun modo di affermare alcunché, qualunque elemento sarebbe se stesso e il suo contrario, ma come lo saprei? In nessun modo, se non stabilisco che è in un modo, solo a quel punto posso pensare il suo contrario, se no, nemmeno questa operazione mi è consentita. In questo senso dico che le procedure sono quegli elementi senza i quali il linguaggio cesserebbe di esistere. E allora la differenza fra la logica e la retorica non consiste nel fatto che la logica sia rigorosa e la retorica no, che la logica muova da ciò che è necessario mentre la retorica abbia come premessa il verosimile o qualunque altra storia, non è affatto questo dal momento che la logica, pure quella che Aristotele ha stabilita, ha necessariamente come premessa qualcosa che sfugge all'argomentazione logica e quindi rientra nella retorica, nel campo dell'esperienza e quindi dell'opinabile, dell'incerto, del probabile, del verosimile, del credibile, niente più di questo, cioè non è necessaria. Prendete per esempio il suo famoso sillogismo: tutti gli animali sono mortali è necessario? Che ne sa Aristotele? Li ha contati tutti? E` stato lì, è ancora lì che aspetta che l'ultimo animale dimostri di sé di essere mortale? No, è un'induzione ovviamente che dice che se è sempre avvenuto così perché non dovrebbe avvenire così anche domani? Questa è l'induzione. Eppure la logica non dovrebbe muoversi da questi termini, e cioè dal probabile, l'incerto. Se io dico che tutti gli animali sono mortali, e che l'uomo in quanto animale è anch'esso mortale, la premessa minore segue alla maggiore non naturalmente, ma semplicemente per una regola del linguaggio, niente più di questo. Stabilisco che gli animali sono mortali, così, per definizione, perché mi piace dire così, dopo di che dico che gli uomini sono animali, appartengono a questo genere, come lo so? L'ho stabilito io, per forza lo so. Chi ha detto che gli umani sono animali? Appartengono a questa specie? L'ho detto io, ho stabilito che è così, quindi come potrebbe essere falso? In nessun modo. Come dire che io decido di chiamare questo Pierino, è vero o falso? E` una mia decisione, non è sottoponibile a un criterio verofunzionale, e chiedersi se una cosa del genere è vera o falsa è un non senso.

Dunque la premessa segue da, o meglio la premessa è una decisione, quella maggiore, quella minore una decisione, la conclusione risulterà necessariamente da un'altra decisione che propriamente è una regola, che stabilisce con estremo rigore che se nella premessa maggiore compare questo sintagma che afferma che tutti gli animali sono mortali, e nella minore compare quest'altro sintagma che afferma che tutti gli umani sono animali allora c'è una regola che mi costringe a concludere in questo modo... ma è una regola del linguaggio, non è dettata né da dio né è causa naturale, è una regola. Lei sa giocare a poker? Esattamente come una regola del poker, né più né meno, la questione è che una qualunque cosa che venga creduta dai più, diviene con buona probabilità un fatto scientifico, molto spesso, non sempre. Perché alcune regole hanno oggi una supremazia rispetto ad altre, per esempio quella che regolano il gioco del discorso scientifico? E` molto difficile rispondere a questa domanda, anche perché gli elementi che concorrono a un'operazione del genere sono sterminati, non ultime questioni politiche, economiche. E` importante, dicevamo la volta scorsa, che si creda, e quindi è importante che si inseriscano continuamente delle regole tali che, per dirla così, vietino di non credere, scambiando la regola con qualcosa di necessario. Molti hanno pensato questo, anche lo stesso Galilei, dicendo che l'universo è scritto in caratteri matematici, in caratteri geometrici. Possiamo soltanto dire che è possibile costruire un gioco linguistico e poi un altro ancora, il primo afferma che esistono nel cielo una serie di cose, e il secondo che tra questa serie di cose esiste quella tale relazione, perché no? Ma allora a che cosa serve dimostrare? Serve a qualche cosa oppure no? Ma ciò che viene dimostrato risulta necessariamente credibile oppure no? Ovviamente no, dal momento che ci mostra soltanto la correttezza dell'esecuzione di un sistema inferenziale, quindi dell'applicazione di un certo numero di regole, nient'altro che questo. Vi faccio un esempio: se la dimostrazione ha come fondamento l'esperienza e l'esperienza non può essere dimostrata, allora la dimostrazione può essere dimostrata? No, se non può essere dimostrata che cos'è? O più propriamente, riprendendo la domanda di prima, a che cosa serve? Possiamo dire che ha un forte potere persuasivo, la persona se è paga di una certa dimostrazione è tranquilla, soddisfatta, non cerca altro, almeno per un po' sta tranquilla; dimostrazione che spesso è rivestita di giustificazione, di buoni motivi. Regole per giocare, di che altro dispongono gli umani, se non di regole per giocare? Per giocare anche quel gioco che dice che non si tratta affatto di un gioco. Posso costruire un gioco che ha questa regola, che mi proibisce di potere affermare che sto che sto facendo è un gioco? Certamente, nessuno me lo proibisce, può essere meno interessante ma pensate a tutte le grandi correnti di pensiero, muovendo dal primo animismo fino alla religione, fino alla scienza, fanno esattamente questo, costruiscono un gioco in cui è inserita una regola che vieta di pensare che ciò che si sta facendo sia un gioco, e questo è ciò che viene chiamato la realtà che, essendo posta in termini extralinguistici è necessariamente identica a sé, immutabile e soprattutto costrittiva. E` questo ciò che costringe, l'idea che ci sia qualche cosa, che la dimostrazione dovrebbe illustrare, che è, necessariamente, indipendentemente da qualunque gioco e da qualunque volontà e da qualunque soggettività, è lì, immutabile, può essere dio, l'armonia universale, può essere una legge scientifica per esempio, l'importante è... ecco, potremmo dirla così, la nobile menzogna di cui parlava Platone oggi può essere riscritta in questi termini, e cioè la nobile menzogna consiste nel dire o nell'assicurare che ciò che accade non è un gioco linguistico, qualunque cosa accada e per qualunque motivo, questa è la nobile menzogna su cui si regge qualunque stato o qualunque governo il quale, come è noto non ha alcun interesse... era Luttwak che sosteneva una cosa del genere: nessun governo ha il minimo interesse per il bene dei cittadini. E` l'ultima cosa di cui si occupa, proprio l'ultima, quando proprio non sa cosa fare, ma se no ha tutt'altro a cui pensare, e cioè il consolidamento del potere e il suo mantenimento in alcuni casi, cioè quando è minacciato. In questo caso una dimostrazione ha una portata notevolissima, perché serve a consolidare e mantenere uno stato di cose. La condizione perché questo stato di cose sia consolidato e mantenuto è che sia creduto che ciò che accade non è un gioco linguistico, ma è necessario, solo a questa condizione è possibile governare, altrimenti no. E` necessario credere, cioè è necessario dare il proprio incondizionato assenso a una dimostrazione, a una qualunque dimostrazione, in caso contrario avverrebbe il primo passo per la dissoluzione di qualunque forma costrittiva. Il modo migliore per costringere qualcuno è persuaderlo che deve farlo, che è bene farlo, che gli conviene o che, se lo fa, dopo ne avrà una bella ricompensa, invece se non lo fa dopo avrà una terribile punizione, ma persuadere della giustezza di una certa tesi è sempre il modo migliore per muovere il prossimo. Dicevamo la volta scorsa di alcuni sistemi, per persuadere altri, però tutti questi sistemi, che possono venire elencati, per persuadere il prossimo, questi devono necessariamente escludere la proposizione che afferma che tutto ciò è un gioco linguistico, perché se lo fosse, la persuasione crollerebbe immediatamente. Tutti i sistemi più complessi, pensate alla comunicazione (che oggi va molto di moda) e all'informazione, tutti questi sistemi complessi intorno a cui gira una quantità enorme di miliardi, muovono da questa necessità, pur in qualche modo veicolando, loro malgrado, l'eventualità che possa pensarsi che di fatto ciò che accade sono soltanto giochi linguistici e quindi finalmente, dicevamo la volta scorsa, sbarazzarsi di tutto ciò che costringe a pensare in un certo modo perché altrimenti è errato, attenendosi a certe regole ovviamente, ma sapendo perfettamente che sono regole per giocare. Allora torniamo alla dimostrazione, la dimostrazione come tecnica persuasiva, siamo giunti alla prossimità di questa considerazione e cioè che la dimostrazione sia prettamente retorica, anzi è retorica, nell'accezione che abbiamo indicata prima, allora in questo caso la logica è un'altra cosa, la logica è l'insieme delle procedure senza le quali il linguaggio si dissolverebbe, cioè cesserebbe di essere tale. Allora, la dimostrazione è una operazione prettamente retorica e cioè ha lo scopo unicamente di persuadere, per esempio inserendo l'idea che ciò a cui giunge sia il vero e che il vero sia il bene, come è noto fin dagli antichi. Perché il vero è ciò che esiste, e ciò che esiste è ciò che "necessariamente è", e ciò che "necessariamente è" è la verità, il bene, la giustizia ecc... Una serie di nobili menzogne, ma queste nobili menzogne sono strutturali alla parola oppure no? O sono delle costruzioni? Intendo dire questo: il credere, per esempio alla verità o a qualunque altra cosa, credere in generale è qualcosa di strutturale all'atto di parola oppure no? Questa è una bella questione che ci interroga da tempo, a cui è difficile rispondere, ma potremmo dire in una prima approssimazione che se fosse strutturale all'atto di parola, forse non ci sarebbe l'occasione di poterlo considerare in questi termini, però non è detto neanche questo, non è così automatico, è che la parola può fare una quantità sterminata di cose, può dire di sé che non esiste, può far credere che esistano le cose, può farle scomparire, un'infinita serie di cose. Dunque se la dimostrazione è la messa in atto di un gioco, come funziona questo gioco? Alcune cose le abbiamo viste, ma si avvale anche di un'altra regola che è quella dell'implicazione, se A allora B, questa regola è data in termini molto forti, in assenza di questa implicazione la dimostrazione non esisterebbe, potremmo dire che la forma più stringata di dimostrazione, potrebbe essere proprio questa, "se A allora B", cioè se c'è una cosa necessariamente ce ne è un'altra, e fin qui non fa una grinza, ma possiamo di questo dire qualche cosa che risulti assolutamente necessario? Ci possiamo provare. Per esempio il fatto che io dica comporta necessariamente che dica qualcosa, per esempio che io dica, e allora il fatto che io sto parlando comporta necessariamente che parli, sembrano tautologie, però forse è una delle poche cose che possiamo dire in termini assolutamente non negabili. Il fatto che io stia parlando dimostra il fatto che sto parlando? Perché no? Dipende da cosa intendo con dimostrare, se con dimostrare intendo che se sto parlando allora necessariamente parlo, allora è dimostrato che se parlo allora necessariamente parlo, in caso contrario può essere difficile, posso inserire altre regole che rendono questo passaggio molto difficile, ma in ogni caso ci sarà sempre un sistema di implicazioni, se A allora B, se questo allora quest'altro, se esco mi bagno perché piove, è un'implicazione.

L'implicazione è una questione complessa, che è sempre esistita da quando esiste il linguaggio, al punto da farci pensare che costituisca una delle procedure del linguaggio, dalla divinazione fino teoria della relatività ristretta l'implicazione ha una portata fondamentale, senza implicazione non si fa niente, non c'è possibilità di passare da un elemento ad un altro. Ma potrebbe un elemento non passare ad un altro? Adesso vi faccio una dimostrazione, perché no? Se non esistesse questa possibilità di passare da un elemento ad un altro, allora questo elemento sarebbe isolato, isolato da che? Isolato dal linguaggio, e se fosse isolato dal linguaggio sarebbe dicibile? No, perché in quanto isolato dal linguaggio non ci sarebbe nessun elemento linguistico che potrebbe dirsi, ma se non c'è nessun elemento che può dire un altro elemento, quest'altro elemento esiste oppure no? Esiste in base a che cosa? Potremmo benissimo dire che non esiste, non esiste in quanto non lo posso dire, cioè non posso dire di questa cosa che esiste né che non esiste, non posso dire niente, non si pone nel linguaggio, quindi è fuori dalla parola. Fuori dalla parola è già una formulazione paradossale, anzi è la formulazione del paradosso per antonomasia, ma da questa posizione, cioè fuori dalla parola, ipoteticamente, non può essere detto, fuori dal linguaggio non c'è, né può esserci in nessun modo, in questo senso non può essere isolato e quindi necessariamente è in connessione con un altro elemento, perché se fosse isolato non esisterebbe. Se esiste, esiste perché è in connessione con altri elementi, semplice no? E dunque essendo connesso con altri elementi cosa succede, che se ce n'è uno c'è anche quell'altro, se A allora B, vedete allora che la nozione di implicazione risulta qui necessaria, è una di quelle procedure linguistiche di cui stavamo dicendo, in quanto non possiamo in nessun modo affermare il contrario, non può darsi un elemento senza che ce ne sia un altro. Portando la questione alle estreme conseguenze: non può darsi un elemento linguistico fuori dal linguaggio, come dire fuori da una combinatoria. Che cos'ha questa dimostrazione di particolare? Nulla di particolare, ha utilizzato come qualunque dimostrazione un sistema molto semplice di consequenzialità e di non contraddizione, ma ecco: la premessa da cui muove è opinabile? Sta qui la questione, oppure no? Se io dico che nulla è fuori dalla parola, questa affermazione è opinabile oppure no? Non mi chiedo se è dimostrabile o confutabile, ma se è opinabile, e se sì a quali condizioni? A condizione ovviamente che ci sia qualcosa fuori dalla parola, e come lo so, se c'è qualcosa fuori dalla parola? Abbiamo posto soltanto qualcosa che non è negabile a fondamento di qualunque dimostrazione e cioè come quella premessa necessaria, vi ricordate di Aristotele, lui cercava assolutamente il motore immoto, poi è diventato dio per una serie di vicissitudini, è quella premessa necessaria, assoluta, solo che la cercava dove non poteva trovarla. Provate a sostituire a questo motore immoto soltanto ciò che non è negabile, e vi trovate di fronte a un gioco linguistico che muove sì, attraverso le regole solite inferenziali, ma ha come premessa qualche cosa che, non essendo negabile, deve essere necessariamente accolta nel momento in cui viene fatta una qualunque dimostrazione o una qualunque confutazione; come dire, è la condizione per potere dimostrare o confutare qualunque cosa. Che cosa può dimostrarsi a partire da questo? Come dicevamo fin dall'inizio qualunque cosa e il suo contrario, e questo ci pone in una condizione di assoluta non credulità in quanto non ci troviamo mai costretti a dare il nostro assenso ad alcunché. Assenso incondizionato, potremmo dire, costrittivo, terroristico e allora in questo caso non c'è cosa che non sia degna di essere interrogata, cioè qualunque cosa continua ad interrogare. Ideologicamente, e per qualche altro verso terroristicamente il teorema, cioè l'ultima formula in una sequenza di formule ben formate, come dicono i logici, ha una valenza terroristica in quanto si pone come l'ultima parola di un processo inferenziale, l'ultima parola è questa e quindi non ce ne sono altre, prendere o lasciare. E invece no, né prendiamo, né lasciamo, proseguiamo a dire, a considerare, a produrre, come dicevamo la volta scorsa, altri giochi linguistici, ancora più sofisticati e quindi più interessanti. C'è l'eventualità che qualcuno possa pensare di avere di meglio da fare e sicuramente infinite persone lo penseranno, ma la cosa non ci preoccupa minimamente dal momento che questa stessa persona non saprà mai dirci che cosa è meglio e quindi la sua obiezione ci interessa poco.

- Intervento: Mi riferivo a quello che lei diceva la volta precedente a proposito dei mezzi di persuasione: la rima, l'assonanza ecc. Mi chiedevo se la poesia abbia questo carattere persuasivo...

Sì, adesso lei fa l'esempio della poesia, che è un caso particolare, io mi riferivo soprattutto agli slogan pubblicitari, le assonanze, le paronomasie, usate e abusate, verrebbe da domandarsi rispetto alla sua questione se la poesia ha una finalità persuasiva, potrebbe averla, ma forse non necessariamente, anche se qualunque affermazione che venga fatta, anche nell'ambito di una poesia, punta a stabilire una connessione che deve risultare tanto più necessaria, ad esempio tra un verso e l'altro, dicevo tanto più necessaria in quanto talvolta la connessione logica non esiste, e allora ecco, un forte potere persuasivo dell'assonanza o della rima, detta anche omoteleuto, diventa fondamentale e preponderante. Pensi per esempio alla poesia di Edgar Allan Poe, Il Corvo, dico pensi a questa perché lui stesso ha scritto nel Principio Poetico una descrizione molto particolareggiata del come ha costruito questa poesia, dove c'è un utilizzo di assonanze e di paronomasie e di allitterazioni straordinario e che servono, tutte queste, a consolidare un'implicazione fra una cosa e un'altra, a rendere cioè questa connessione necessaria, quasi ineluttabile, ancora più forte di una implicazione matematica, per cui sì, nella poesia viene utilizzato questo aspetto così come nel discorso pubblicitario, in modo molto forte e spesso con ottimi risultati.

- Intervento:...

Non sempre riesce bene, alcune volte riesce in modo molto efficace, altre volte perché può lasciare perplessi, proprio perché a causa di queste troncature o mal disposizione di versi si perde la necessità di questa connessione che fa di ciascun verso la parte di un tutto, che viene inteso come un tutto, chiuso in sé, esattamente come una frase musicale, talvolta le frasi musicali vengono spezzate a scopo sperimentale oppure per trovare nuove forme, e ciò che attrae è proprio la sperimentazione, l'avere fatto qualcosa di nuovo più che l'armonia in sé. Uno che scrive una poesia può essere attratto di più dall'avere fatta una cosa assolutamente fuori da tutti gli schemi mai pensati prima, che da quanto non sia tratto invece dalla sua poesia per come suona per esempio. Ma anche nel discorso corrente questi aspetti hanno una portata notevole, l'assonanza, la paronomasia, l'allitterazione, ciascuno cerca, parlando, di trovare una forma sonora più gradevole, migliore. Pensate soltanto come certe volte vengano accostati i nomi, pensate a tre nomi: Anna, Giovanni e Francesco, provate a cambiarli, non suonano bene, suonano meglio così Anna, Giovanni e Francesco. Potete fare mille esempi, come una persona dica in una certa successione un certo numero di nomi, di termini, in quella successione e non in un'altra, come se suonasse meglio e in effetti è così. Può essere una suggestione personale, però in alcuni casi effettivamente c'è una sorta di eufonia che viene ricercata non soltanto dai compositori, ma anche da chi opera nel campo della comunicazione, perché un messaggio eufonico, che ha un buon suono, un suono gradevole, è recepito meglio, più facilmente, d'altra parte gli antichi hanno cominciato a versificare le loro liriche per memorizzarle più facilmente, per poterle cantare quindi scandendole.

- Intervento:... la dimostrazione come guarigione, partendo da delle premesse per arrivare ad una conclusione, si parte da premesse necessarie, a tal punto necessarie che non sono dicibili, in quanto vengono date per scontate.

Implicite, sì, talvolta una premessa implicita ha più forza di una esplicita...

- Intervento:... questa non dicibilità porta a cercare da dove viene tutta una serie di questioni, tutta una serie di inferenze che cercano di aderire a questa premessa, senza la quale la dimostrazione non esiste più. Questo elemento di necessarietà coglie la premessa stessa anziché il procedimento, Aristotele parlava del sillogismo come necessario per poter inferire da una premessa una conclusione... La questione ha un certo interesse in funzione di quelli che sono i luoghi comuni, rispetto alla religione, alla terapia e al sistema ideologico intorno a questi luoghi comuni...

Sì, per molti la dimostrazione ha anche un aspetto estetico, è una cosa bella in quanto è compiuta e in sé finita, perfettamente integrata e armonizzata in sé...

- Intervento:... quando manca qualcosa perché la dimostrazione possa dirsi conclusa, ha a che fare con una sorta di elemento mancante alla dimostrazione, per il consenso comune...

Sì, pensi a ciò che raccontano di Filita di Coo, che morì di paradosso, a causa di un paradosso, e cioè di qualche cosa che non si riusciva a dimostrare, ma la dimostrazione rinviava ad aporie e quindi non poteva concludersi, e allora morì. Oggi non si muore più, ma ci si ammala. Però è molto interessante questa connessione fra la dimostrazione e la terapia, che sembra mostrare molti aspetti finora poco considerati, come cioè una dimostrazione effettivamente produca effetti benefici. Molto spesso una persona che per qualche motivo non sta bene, è perché non riesce a sistemare delle cose, c'è qualche cosa che rimane, come diceva lei, in sospeso, e quindi non trova una sua giusta collocazione, mentre la dimostrazione colloca perfettamente ogni elemento al suo posto. E` una questione che merita di essere ripresa e svolta, forse può condurci...

- Intervento:... un collegamento fra tutti i vari elementi...

Sì, questo aspetto terapeutico è molto prossimo a quello che lei sta descrivendo, è chiaro. Come talvolta accade di sentire dire, sentirsi a posto con se stessi, ogni cosa è sistemata al suo posto, nulla è in disordine, tutto è sistemato, ha un effetto terapeutico indubbiamente...

- Intervento: effetto terapeutico in quanto persuasivo?

Be, sì, ci si persuade che le cose stanno così, anche l'idea di avere scoperta la verità, che è la stessa cosa, ha un forte effetto terapeutico, chi si converte a una nuova religione poi sta benissimo. Dicevamo forse l'anno scorso, che non c'è terapia fuori dal discorso religioso, non c'è guarigione anzi.