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29 aprile 2020

 

Scienza della logica di G.W.F. Hegel

 

Riprendiamo la lettura della Scienza della logica. Hegel si propone di prendere in considerazione tre istanze fondamentalmente: l’essere, l’essenza e il concetto. Sono sempre tre elementi, questa tripartizione è sempre presente nel pensiero di Hegel. Qui sta incominciando a porre la questione dell’essenza e le differenze di questa dall’essere. Siamo a pag. 423. Questa unità così posta come la totalità del determinare, secondo che essa stessa è costì determinata come indifferenza, è la contraddizione da ogni lato. Questi due momenti, finché non vengono integrati, si pongono sempre come contraddittori. Essa è pertanto da porre così, come quella che, essendo questa contraddizione la quale toglie se stessa, è determinata ad essere la indipendenza che è per sé, mentre questa ha per resultato e verità non più l’unità soltanto indifferente, la quell’unità in se stessa immanentemente negativa ed assoluta, che è l’essenza. Quindi, l’essenza è questa determinatezza che è per sé, che ha in sé e per sé la sua determinatezza, cioè non ha bisogno di altro. Andiamo a pag. 429 dove c’è una nota del Moni, che è interessante. L’avvicendarsi della risoluzione della qualiità in quantità con quella della quantità in qualità può essere fissato dall’intelletto come un progresso all’infinito, ma il vero è che, poiché la quantità sorge dalla qualità, quando questa a sua volta passa in quella, non passa semplicemente in altro, ma passa in un altro che è lei stessa, ossia passando va con sé e si unisce con sé. Queste determinazioni, come separate, erano l’essere; l’essere era in se stesso un quale, un quanto e un commisurato. La loro scomparsa come tali è quindi la scomparsa dell’essere. Per di più, quando il passaggio non è più passaggio di altro in altro, ma dello stesso nello stesso, non è più passaggio, ma relazione. Qui c’è la differenza fondamentale in Hegel tra l’essere e l’essenza. Per esempio, c’è un passaggio tra l’essere e il non essere, si tratta sempre di passaggi, ma qui viene posta invece la relazione, che, come vedremo tra poco, Hegel porrà come riflessione: non c’è più il passaggio da un elemento a un altro, ma dell’elemento in se stesso. “Nell’essenza non ha più luogo alcun passare, ma soltanto il riferimento. La forma del riferimento, nell’essere, è soltanto la nostra riflessione. Quando (nella sfera dell’essere) il qualcosa diventa atro, il qualcosa sparisce. Non così nell’essenza; qui non abbiamo un vero altro, ma soltanto una diversità, un riferimento dell’uno al suo altro. Il passare dell’essenza è quindi in pari tempo un non passare, perché nel passare del diverso nel diverso, il diverso non scompare, ma i diversi continuano a sussistere nella relazione loro. Se p. es. diciamo: Essere e Nulla, l’essere è per sé, e parimenti è per sé il Nulla. ma altrimenti va la cosa nel Positivo e Negativo. Questi hanno bensì la determinazione dell’Essere e del Nulla, ma il Positivo non ha per sé alcun senso; è, quel che è, soltanto in relazione al Negativo. E nello stesso modo va la cosa con quest’ultimo. Nella sfera dell’essere la correlatività è soltanto in sé; nell’essenza invece è posta… Nell’essere tutto è immediato; nell’essenza tutto è relativo. Vedete come è posta in modo preciso questa differenza tra l’essere e l’essenza: l’essere come l’immanente, mentre l’essenza è il trascendente, il significato. A pag. 433. La verità dell’essere è l’essenza. L’essere è l’immediato. In quanto il sapere vuol conoscere il vero, quello che l’essere è in sé e per sé, esso non rimane all’immediato e alle sue determinazioni, ma penetra attraverso quello, nella supposizione che dietro a quell’essere vi sia ancora qualcos’altro che non l’essere stesso, e che questo fondo costituisca la verità dell’essere. Questa conoscenza è un sapere mediato, poiché non si trova immediatamente presso l’essenza e nell’essenza, ma comincia da un altro, dall’essere, e ha da percorrere antecedentemente una via, la via dell’uscir fuori dell’essere o piuttosto dell’entrarvi. Solo in quanto il sapere, movendo dall’immediato essere, s’interna, trova per via di questa mediazione l’essenza. Questa è la questione importante da cui parte Hegel intorno alla questione dell’essenza. Ci sta dicendo semplicemente che l’essenza è la risposta a quella domanda che chiede che cos’è propriamente l’essere o, come si suole dire, quale ne è l’essenza. Ma questo andare è il movimento dell’essere stesso. Si mostrò nell’essere, che per sua natura esso s’interna, e che con questo andare in sé diventa l’essenza. Cioè: l’essere che si riflette su se stesso, interrogandosi, mostra così la sua essenza, potremmo dire in modo banale, ciò che veramente è. A pag. 434. Ma l’essenza, qual è qui divenuta, è quello che è, non per una negatività a lei estranea, sibbene per la sua propria, il movimento infinito dell’essere. L’essenza diviene non per una negatività, cioè perché si è tolto il suo negativo, ma perché si è riflessa in sé. È essere in sé e per sé; assoluto essere in sé, in quanto è indifferente ad ogni determinatezza dell’essere, in quanto l’esser altro e la relazione ad altro è stata assolutamente tolta. Non è però soltanto questo essere in sé; come semplice essere in sé non sarebbe che l’astrazione della pura essenza; ma è altrettanto essenzialmente esser per sé; essa stessa è questa negatività, il togliersi dell’esser altro e della determinatezza. L’essenza è esattamente questo: il togliersi dell’altro e della determinatezza, il significato in quanto infinito, cioè non ha più nessuna determinazione, non è possibile delimitarlo. A pag. 435. L’essenza è nell’intiero quello che era la qualità nella sfera dell’essere:… L’essenza è rispetto all’intero ciò che la quantità era rispetto all’essere. Hegel aveva prima distinto nell’essere la qualità e la quantità. …l’indifferenza assoluta di fronte al limite. Ma la quantità è questa indifferenza in determinazione immediata, e il limite in lei è determinatezza immediatamente esteriore, passa nel quanto; il limite esteriore le è necessario ed è in lei come essente. Nell’essenza al contrario la determinatezza non è; è soltanto posta dall’essenza stessa; non già libera, ma solo in relazione colla sua unità. È importante da intendere questo. Mentre nell’essere la determinatezza è nell’essere, invece nell’essenza questa determinatezza non è propriamente, non appartiene all’essenza, ma viene posta, e adesso vedremo in quale modo. La negatività dell’essenza è la riflessione,… Quindi, non più come nell’essere il porsi della sua negazione, come non essere, come nulla, non si tratta più quindi di un passaggio dall’essere al non essere, come sua negazione, ma di una riflessione. …e le determinazioni son determinazioni riflesse, poste dall’essenza stessa e rimanenti in lei come tolte. L’essenza sta fra l’essere e il concetto, e costituisce il loro mezzo, come il suo movimento costituisce il passaggio dall’essere nel concetto. È come dire che il concetto è l’integrazione, la sintesi fra essere e essenza, l’essere come ciò che è immanente, come ciò che si pone, e il che cos’è ciò che si pone. L’essenza è l’essere in sé e per sé, ma è questo essere nella determinazione dell’essere in sé; perocché la sua determinazione generale è di provenire dall’essere, ossia di esser la prima negazione dell’essere. Il suo movimento consiste in questo, nel porre in lei la negazione o determinazione, nel darsi con ciò l’esser determinato e nel divenire come infinito esser per sé quello ch’essa è in sé. Hegel qui insiste sul fatto che nell’essenza non c’è un qualcosa che procede propriamente come un passaggio da una cosa a un’altra, non trova la sua determinatezza nel toglimento di un altro momento, ma nella riflessione su se stessa. Così si dà essa il suo esser determinato, che è uguale al suo essere in sé, e diventa il concetto. Qui ci anticipa ciò che ci dirà più avanti. Perocché il concetto è l’assoluto, qual è assolutamente in sé e per sé nel suo esserci. Ma l’esserci, che l’essenza si dà, non è ancora l’esserci qual è in sé e per sé, ma è l’esserci quale l’essenza se lo dà,… C’è sempre questo punto importante, cioè l’essenza si dà l’esserci, non lo riceve da qualche cosa, non lo riceve da un passaggio da una cosa a un’altra, ma è essa stessa che si dà l’esserci. …ossia com’esso è posto, e quindi ancora diverso dall’esserci del concetto. L’essenza pare… Qui per quanto riguarda la traduzione lo stesso Moni si rende conto che è un po’ complessa. Questo “pare” può forse tradursi con “si rispecchia”, per intendere meglio. Quindi, potremmo dire, L’essenza si rispecchia anzitutto in se stessa, ossia è riflessione; in secondo luogo apparisce; in terzo luogo si rivela. Essa si pone nel suo movimento nelle seguenti determinazioni: I. come essenza semplice, che è in sé, nelle determinazioni sue dentro di sé; II. come essenza che esce fuori nell’esserci, ossia secondo la sua esistenza e il suo apparire;… Questa determinazione semplice si mostra in qualche modo, cioè appare. …III. Come essenza, che è uno stesso col suo apparire, ossia realtà. La realtà qui non sarebbe nient’altro che l’essenza esattamente così come appare. A pag. 437, L’essenza come riflessione in se stessa. L’essenza proviene dall’essere; non è quindi immediatamente in sé e per sé, ma è un risultato di quel movimento. Il movimento tra l’in sé e il per sé. Ossia, presa dapprima come immediata, l’essenza è un esserci determinato cui ne sta di contro un altro; è solo un esserci essenziale a fronte di un esserci inessenziale. Se non che l’essenza è l’essere che è in sé e per sé tolto;… Quindi, l’essenza è l’essere che è in sé e per sé tolto. Che cosa accade? Accade che è soltanto parvenza, perché se tolgo l’essere, che è in sé e per sé, le cose non sono più ma, potremmo dire così, appaiono, ma non sono. A pag. 438, A. L’essenziale e l’inessenziale. L’essenza è l’essere che è tolto. Questo è il primo movimento. È semplice eguaglianza con sé, ma in quanto è in generale la negazione della sfera dell’essere. Se, come dicevamo prima, l’essenza è la risposta alla domanda “che cos’è veramente l’essere”, occorre che questo essere a un certo punto venga tolto e al suo posto intervenga il “che cos’è veramente l’essere”. Così l’essenza ha di contro a sé l’immediatezza come quella da cui è divenuta e che in questo togliere si è conservata e mantenuta. L’essenza stessa è in questa determinazione essenza che è, essenza immediata, e l’essere è un negativo soltanto relativamente all’essenza, non già in sé e per se stesso. Soltanto relativamente all’essenza questo essere è un negativo, cioè viene tolto. Viene tolto perché se voglio sapere che cos’è veramente l’essere, questo essere scompare a vantaggio del suo che cosa veramente è. L’essenza è dunque una negazione determinata. L’essere e l’essenza, in questa guisa, si riferiscono daccapo l’uno all’altro come altri in generale, poiché ciascuno ha un essere, una immediatezza, che sono reciprocamente indifferenti, e tutti e due secondo questo essere son di egual valore. Sta dicendo che quanto l’essere quanto l’essenza hanno un essere, sono qualcosa. La differenza di essenziale e inessenziale ha fatto ricadere l’essenza nella sfera dell’esserci; in quanto che l’essenza, così com’è sulle prime, è determinata come tale che è immediatamente,… L’essenza è determinata in quanto è qualcosa. …epperò determinata solo come altro, rispetto all’essere. Abbiamo già detto che l’essere e l’essenza sono due cose diverse. L’essenza è il che cosa veramente è l’essere. A pag. 439. L’essenza non è in questa guisa se non la prima negazione,… L’essere che si nega e ha l’essenza in questa negazione. Che cos’è veramente l’essere? È ciò che è, e per essere ciò che è occorre che non sia ciò che non è. La sua essenza è il non essere ciò che non è. …ossia la negazione che è determinatezza, mediante la quale l’essere diventa soltanto essere determinato, o l’essere determinato soltanto un altro. Soltanto attraverso questa negazione l’essere diventa un essere determinato, ma diventando un essere determinato diventa un’altra cosa. Esattamente come nella posizione di Severino, l’essere e il non essere: quando tolgo il non essere rimane l’essere, ma è un essere determinato che non è più l’essere di prima, è un altro. L’essenza invece è la negatività assoluta dell’essere; è l’essere stesso, ma non solo determinato quale un altro, sibbene l’essere che si è tolto tanto come essere immediato, quanto anche come immediata negazione, come negazione che è affetta da un esser altro. Ci sta dicendo che l’essenza è la negatività assoluta dell’essere. Qual è la negatività assoluta dell’essere? È il non essere, un non essere che però è tolto. Dice come negazione che è affetta da un esser altro: quando tolgo la negazione dell’essere, questo essere muta, diventa altro. L’essere o esserci si è con ciò mantenuto non già come un altro da quello che è l’essenza,… In questo movimento l’essere si è mantenuto, ma non come l’essenza. …e quell’immediato che è ancora distinto dall’essenza non è già semplicemente un esserci inessenziale, ma è l’immediato in sé e per sé nullo; è solo una non-essenza, la parvenza. Qui ci sta dicendo una cosa interessante. L’essere si è mantenuto ma non come un altro da ciò che è l’essenza, perché l’essenza non è altro che il significato dell’essere, è quell’immediato dell’essere che è ancora distinto dall’essenza, non è semplicemente un esserci inessenziale, ma è l’immediato in sé e per sé nullo. In altre parole, questo essere, che ovviamente non è l’essenza, viene negato e in quanto negato è nullo, perché se l’essenza va al posto dell’essere, è chiaro che l’essere scompare e, quindi, questo essere è una non essenza. Hegel chiama parvenza questa non essenza. L’essere è parvenza. Tenendo conto di questo movimento tra essere e essenza, se consideriamo l’essere senza l’essenza, l’essere non è propriamente, perché manca il suo significato, manca il che cos’è veramente l’essere; ecco perché dice che è parvenza. L’essere della parvenza consiste soltanto nell’esser tolto dell’essere, nella sua nullità. In questa operazione l’essere viene tolto, e viene tolto a vantaggio dell’essenza. Esso ha questa nullità nell’essenza, e fuor della sua nullità, fuor dell’essenza, la parvenza non è. Essa è il negativo posto come negativo. La parvenza è il negativo posto in quanto tale. Dice che l’essere ha questa nullità nell’essenza: è nullo ma nell’essenza, non è nullo in assoluto, ma è nullo proprio perché c’è l‘essenza che lo nullifica, in quanto l’essenza viene a prendere il posto dell’essere. All’inessenziale, in quanto non ha più un essere… Che, come abbiamo visto, è scomparso a vantaggio dell’essenza. …rimane dell’esser altro solo il puro momento del non esserci; e la parvenza è questo immediato non esserci. Cioè: l’essere in quanto tolto. Esso è nella determinatezza dell’essere, in modo che ha un esserci solo nella relazione ad altro, nel suo non esserci; è il di per sé insussistente, che è solo nella negazione. Dice che ha un esserci solo nella relazione ad altro; l’essere si determina soltanto in relazione ad altro, cioè al non essere. È chiaro che è di per sé insussistente; questo essere è quello che è in relazione ad altro. Se questo altro è il non essere, non è nient’atro che qualcosa che è in relazione al non essere. A pag. 441. È l’immediatezza del non essere, quella che costituisce la parvenza;… Perché immediatamente l’essere, in quanto essere, non è altro che non essere. Abbiamo visto che l’essere è nulla senza l’essenza, senza il significato. Esattamente come il significante senza significato non è nulla. …questo non essere però non è altro che la negatività dell’essenza in lei stessa. L’essere è non essere nell’essenza. La sua nullità in sé è la natura negativa dell’essenza stessa. Questa essenza, diciamola così, ha dentro di sé l’essere, al quale deve fornire un significato, ma questo significato è nulla. Quindi, questa nullità è la natura negativa, ci dice Hegel, dell’essenza stessa, perché l’essenza contiene l’essere che è nulla. A pag. 443. La parvenza è quello stesso che è la riflessione; ma è la riflessione come immediata. Per la parvenza che è andata in sé, e che però si è resa estranea alla sua immediatezza, noi abbiamo questa parola della lingua straniera, la riflessione. Qui c’è una nota. Questa differenza fra la parvenza, ossia il rispecchiarsi, il proprio parere in sé, e la riflessione è determinata molto chiaramente da Noël (La logique de Hegel, Paris 1897, p. 55): “La parvenza è la riflessione, ma la riflessione ancora implicita; la riflessione di cui i differenti momenti sono come concentrati nella loro unità immediata dove, se lo vogliamo, si vede la riflessione irriflessa. Questo stato immediato della riflessione è contraddittorio alla sua nozione. Deve disimpegnarsi e divenire riflessione esplicita. I suoi diversi momenti devono distinguersi gli uni dagli altri, devono darsi un’indipendenza relativa e rientrare nella loro unità; ma in una unità riflessa e mediata. A pag. 444. L’essenza è riflessione, il movimento del divenire e del passare… È un movimento, come dicevamo prima, che non è un passaggio da un momento a un altro, ma è qualcosa che parte da sé e va in sé. … che rimane in se stesso,… Non più, quindi, come l’essere e il non essere, dove l’essere passa in qualcosa che non è se stesso. Invece, in questo caso …il diverso è determinato assolutamente solo come l’in sé negativo, come parvenza. Perché l’in sé negativo, come parvenza? Perché abbiamo visto che l’essere, all’interno dell’essenza, si mostra come il nulla, come la negatività dell’essenza. Nel divenire dell’essere la determinatezza ha per base l’essere, ed è relazione ad altro. L’essere è relazione al non essere. Ovvero, in quanto questo riferimento a sé è appunto questo negare della negazione, si ha la negazione come negazione, come quello che ha l’essere suo nel suo esser negato, come parvenza. L’altro non è dunque qui l’essere colla negazione o limite, ma la negazione colla negazione. Quindi, il suo esser altro è la negazione con la negazione. Mentre l’essere è in relazione al non essere, qui invece la negazione è riferita a se stessa, non ha altro all’infuori di se stessa. Il divenire nell’essenza, il suo movimento riflessivo, è quindi il movimento dal nulla al nulla, e così il movimento di ritorno a se stesso. Il passare o divenire si toglie via nel suo passare; l’altro che sorge in questo passare, non è il non essere di un essere,… Non è un passaggio dall’essere al non essere. …ma è il nulla di un nulla, e questo, di esser la negazione di un nulla, è ciò che costituisce l’essere. L’essere in quanto negazione di un nulla. Perché dice questo? Perché l’essere, per essere quello che è, deve togliere il nulla; ma questo nulla non lo toglie propriamente perché è la sua condizione; quindi, c’è il nulla nell’essere, ed essendoci il nulla nell’essere, questo essere è nulla. Cosa che diceva già nella Fenomenologia dello spirito: è nulla in quanto tale, perché è sempre essere per qualche cos’altro, è essere per il suo non essere. L’essere è solo come il movimento del nulla al nulla, ed è così l’essenza; e questa non ha questo movimento dentro di sé, ma è questo movimento come l’assoluta parvenza stessa, la pura negatività, che non ha nulla fuori di sé da negare, ma nega solo il suo negativo stesso, il quale è solo in questo negare. Sta qui la questione, cioè questo riflettersi su di sé, che è l’essenza, in effetti è un andare dal nulla al nulla, vale a dire che questo nulla, che è l’essere contenuto nell’essenza, a questo punto che cosa nega l’essenza propriamente? L’essenza non ha più qualcosa fuori di sé da negare, cioè, non ha un suo corrispettivo da qualche parte, un suo opponente. Quindi, non può che negare se stessa, cioè nega il suo negativo stesso, e il suo negativo è l’essere che è contenuto nell’essenza; ma questo contenuto negativo, cioè l’essere, esiste solo in questo negare. Questa è una questione che interviene spesso in Hegel, e cioè questo essere come puro nulla, come puro negare, che esiste soltanto nel momento in cui c’è l’essenza: è l’essenza che fa di questo essere quello che è realmente, e cioè un puro negare se stesso, perché l’essere non è nient’altro che un puro negare se stesso. A pag. 445. Questa negatività che si riferisce a sé è dunque il negar se stessa. Essa è così tanto negatività tolta, quanto negatività. Dice: Questa negatività che si riferisce a sé. Che cosa nega? Se la negatività si riferisce a sé non può che negare se stessa, ovviamente. Negando se stessa si toglie come negatività, ma rimane come negatività; quindi, al tempo stesso rimane ed è tolta. Ossia è appunto il negativo e la semplice eguaglianza con sé o immediatezza. Consiste dunque nell’essere e nel non essere se stessa, e ciò in una sola e medesima unità. Questa negatività è tolta ma permane; per potere togliersi occorre che permanga, per permanere occorre che si tolga, perché questa negatività è riflessa in se stessa, è presa in questo movimento. …la riflessione è un passare come togliere del passare, perché è un immediato coincidere del negativo con se stesso. Quindi, non c’è più un negare qualche cosa, ma tutto ciò che è intorno al negativo stesso, è un negativo che nega se stesso. Così questo fondersi è primieramente eguaglianza con sé… diceva prima la riflessione è un passare come togliere del passare, perché è un immediato coincidere del negativo con se stesso, perché, come abbiamo visto prima, questa negazione che nega se stessa rimane sempre una negazione, però in quanto tolta, perché se si nega non c’è più, ma per negarsi deve essere negazione e, quindi, deve permanere come negazione. …ma secondariamente questa immediatezza è l’eguaglianza con sé del negativo, e quindi l’eguaglianza che nega se stessa, l’immediatezza, che è in sé il negativo, il negativo di lei stessa, consistente nell’esser ciò ch’essa non è. In che cosa, dunque, consiste questa negatività? Essere ciò che non è. È ciò che non è in quanto, per potersi porre questa negatività, deve togliere se stessa e quindi deve togliere a negatività, ma togliendo la negatività che cosa rimane? La negatività. Parlavamo dell’essere e del non essere, e cioè quando tolgo il non essere rimane comunque l’essere, l’essere in sé, ma qui il discorso è diverso: quando tolgo la negatività ciò che rimane è sempre la negatività. Il riferimento del negativo a se stesso è dunque il suo ritorno in sé. Questo riferimento del negativo a se stesso è questo il suo ritorno in sé, è questo il suo riflettersi in sé: non ha più altri riferimenti se non se stesso. E qui c’è la questione principale, vale a dire, l’essenza dell’essere, ciò che l’essere propriamente è, non è altro che un negativo che nega se stesso, perché non c’è più un suo contrapposto da negare, questo opponente è sempre se stesso. A pag. 446. Essa è un porre, in quanto è l’immediatezza come un tornare. Non vi è cioè un altro; né un altro da cui essa (la negazione) ritorni, né un altro in cui ritorni. Essa è dunque solo come tornare ossia come il negativo di lei stessa. Ma inoltre questa immediatezza è la negazione tolta e il tolto ritorno in sé. La riflessione è, come togliere del negativo, il togliere del suo altro, cioè dell’immediatezza. Togliere il negativo, cioè, togliere il suo altro. Ma qual è l’altro che deve essere tolto? È l’immediatezza. Mentre è dunque l’immediatezza quale un tornare, un fondersi del negativo con se stesso, è in pari tempo negazione del negativo come negativo. Questa immediatezza non è altro che il tornare immediatamente in se stessa, nel senso che questa operazione non è mediata da altro, perché, come abbiamo visto, non c’è più altro, c’è soltanto la negazione che nega se stessa. Ma la riflessione è il togliere il negativo di se stesso, è un fondersi con sé. Toglie dunque il suo porre, e in quanto è il togliere il suo porre nel suo porre, è presupporre. Dice: la riflessione è il togliere il negativo di se stesso. Quindi, si fonde con sé e Toglie dunque il suo porre, il porsi del negativo. Il negativo si pone, per es. affermo o nego qualche cosa; negando qualcosa lo pongo; quindi, questo porre mentre nego è come se togliesse questo porre, è il togliere il suo porre nel suo stesso porre. Se io nego qualche cosa è una negazione a questo, cioè toglie il suo porre nel momento in cui lo pone. Questo è interessante perché la riflessione non è altro che un ritornare su se stesso, cioè, l’essenza è un ritornare dell’essere su se stesso. Chiaramente, ritornando l’essere su se stesso, l’essere muta, diventa un’altra cosa. Questo è ciò che fa la riflessione, cioè l’essenza, mettendo in connessione l’essenza con la riflessione, Hegel ci mostra un percorso interessante. L’essenza di qualche cosa, cioè il suo significato, non è altro che una riflessione, cioè un riflettersi della cosa su se stessa; ma, riflettendosi su se stessa, questa cosa che cosa incontra? Ce lo dice: la riflessione è il togliere il negativo di se stesso, è un fondersi con sé, cioè la riflessione non è altro che un fondere, un integrare il negativo di qualche cosa con il qualche cosa, in modo tale che questo qualche cosa non risulti altro che il negativo di sé. Quindi, quando io voglio trovare l’essenza di qualche cosa, che cosa trovo? Trovo ciò che quella cosa non è. Questa è propriamente l’essenza dell’essere, cioè, trovo ciò che quella cosa non è, trovo un’altra cosa. Questo movimento, che è sempre presente in Hegel, giungerà al concetto, che non è che la sintesi delle due istanze, l’essere e l’essenza; non è che la consapevolezza che l’essenza dell’essere, cioè il che cosa è veramente qualcosa, è altro. Ecco, questa è la risposta alla domanda “che cosa è veramente qualche cosa?”: è altro, cioè non è se stessa. Per potere dire che cosa è qualcosa devo negarla, toglierla; soltanto negandola posso dire che cos’è. È ciò che ci diceva prima: soltanto togliendo la sua negazione ritorno sull’essere, essere che è già lui stesso negazione perché è nulla, in quanto è quello che è a partire dal fatto che ha come condizione il nulla; quindi, nego qualcosa che è già negato, ma ciò che rimane è la negazione, ed è ciò che permane. Quando cerco l’essenza di qualche cosa, tutto ciò che trovo è sempre la negazione, cioè, trovo ciò che quella cosa non è. A pag. 450. C’è una critica a Kant. Questa riflessione, cui Kant attribuisce la ricerca dell’universale applicabile al dato particolare, è parimenti, com’è chiaro, soltanto la riflessione esterna… Cioè, un riferirsi non a se stesso della cosa, ma una riflessione che è estrinseca, esterna, cioè, non riflette su se stessa ma su qualche cos’altro. …si riferisce all’immediato come a un dato. Come a un’altra cosa. Sta però costì anche il concetto della riflessione assoluta; perché l’universale, il principio o regola o legge, cui nel suo determinare quella riflessione procede, vale come essenza di quell’immediato da quale si comincia, e così questo vale come un nullo, e solo il ritorno da esso, il determinare della riflessione, vale come il porre l’immediato secondo il suo vero essere, epperò quello, che la riflessione opera in cotesto immediato, e le determinazioni che da lei provengono, valgono non già come un che di estrinseco a lui, ma come il suo essere vero e proprio. Questa è una obiezione, molto simile ad altre che Hegel aveva fatte a Kant, circa la riflessione assoluta. La riflessione assoluta è quella per cui l’essenza nega l’essere da cui muove; questo essere si trova a essere un nulla, ma è il nulla da cui si parte per compiere tutto il processo, ma soltanto alla fine, come accade in Hegel, è possibile cogliere il fatto che ciò da cui si era partiti è nulla, che è esattamente ciò che si è trovato. Nulla, cioè una negazione che nega se stessa, che si toglie; togliendo la negazione rimane il negare. A pag. 451. La riflessione esterna comincia dall’essere immediato… Dal qualcosa. …la riflessione ponente dal nulla. Questo essere immediato, nella riflessione, non quella esterna ma quella assoluta, cioè quella ponente comincia dal nulla, perché ciò da cui muove, il qualche cosa, è nulla. la riflessione esterna, che diventa determinante, pone un altro, che però è l’essenza, in luogo del tolto essere; il porre non pone la sua determinazione nel luogo di un altro; esso non ha alcuna presupposizione. Ma perciò appunto non è la riflessione compiuta, determinante; la determinazione, ch’esso pone, è quindi soltanto un posto. È immediato, ma non come uguale a se stesso, sibbene come tale che si nega. Ha un riferimento assoluto al ritorno in sé, è solo nella riflessione in sé, ma non è questa riflessione stessa. A pag. 452. La determinazione riflessiva… Cioè: il determinare qualcosa attraverso il riflettere su sé. Quando io mi chiedo che cos’è veramente qualcosa, è come se questa riflessione si piegasse su se stessa, cioè sulla cosa sulla quale mi interrogo. La determinazione riflessiva è diversa dalla determinatezza dell’essere, cioè dalla qualità. Abbiamo visto che la qualità è ciò che determina l’essere: passando dalla qualità alla quantità, la quantità viene tolta e torna come qualità. Questa è immediato riferimento ad altro in generale; anche l’esser posto è riferimento ad altro, ma nell’essere riflesso in sé. Quando pongo qualche cosa e immagino di porre un qualche cosa che è per sé, che è quello che è, ma nel momento in cui lo pongo c’è già una riflessione in sé; posso porre qualche cosa perché è già passata attraverso quella riflessione, cioè, ha già un’essenza e quindi un essere; come dire che c’è già un significato che rende il significante quello che è, cioè, c’è già un’essenza che rende l’essere quello che è. A pag. 453. In quanto ora la determinazione della riflessione è in pari tempo riflessa relazione in se stessa ed esser posto,… Quini, pongo qualche cosa ma mentre lo pongo c’è già una riflessione in sé. …da ciò risulta immediatamente la sua particolar natura. Come esser posto, cioè, essa è la negazione come tale, un non essere a fronte di un altro, cioè a fronte dell’assoluta riflessione in sé o a fronte dell’essenza. Ma come relazione a sé è riflessa in sé. Questo esser posto, dice, è la negazione come tale, un non essere a fronte di un altro. Se io pongo qualche cosa, se affermo qualche cosa, questa affermazione è quella che è in riferimento a qualche cos’altro che non è l’affermazione stessa. Quindi, l’esser posto di qualche cosa è propriamente un porre nulla. A pag. 455, Nota. Era costume una volta di raccogliere le determinazioni della riflessione in forma di proposizioni, dicendosi allora che queste valevano riguardo a tutto. Tali proposizioni valevano come leggi generali del pensiero che stessero a base di ogni pensare, che fossero in se stesse assolute e indimostrabili, ma che da ogni pensiero, come intendesse il lor significato, fossero immediatamente e incontestabilmente riconosciute e ammesse come vere. Così la determinazione essenziale dell’identità viene espressa nella proposizione: Tutto è uguale a se stesso; A=A. o negativamente: A non può essere in pari tempo A e non A. non si può anzitutto scorgere perché soltanto queste semplici determinazioni della riflessione debbano essere raccolte in questa forma particolare, e non anche le altre categorie, come tutte le determinazioni della sfera dell’essere. Ci si offrirebbero p. es. le proposizioni: Tutto è, tutto ha un esser determinato, e così via, oppure: Tutto ha una qualità, una quantità, ecc. Perché l’essere, l’esser determinato, ecc., sono come determinazioni logiche in generale altrettanti predicati di tutto. Secondo la sua etimologia e secondo la definizione di Aristotele la categoria è quello che si dice o si afferma di ciò che è. Se non che una determinatezza dell’essere è essenzialmente un passare nell’opposto; la negativa di ciascuna determinatezza è così necessaria come la determinatezza stessa; in quanto son determinazioni immediate, a ciascuna di esse sta immediatamente di contro l’altra. Quando queste categorie pertanto si raccolgano in tali proposizioni, vengon fuori in pari tempo anche le proposizioni opposte; ambedue si presentano con egual necessità, ed hanno come affermazioni immediate per lo meno un egual diritto. L’una richiederebbe pertanto una dimostrazione contro l’altra e a queste affermazioni non potrebbe quindi più convenire il carattere d’immediatamente veri e incontestabili principii del pensare. Ci sta dicendo che ciascuna di queste affermazioni ha ovviamente di contro la sua negativa. Il che vuol dire che è quello che è a condizione di non essere quello che è. A pag. 457, L’identità. L’essenza è la semplice immediatezza come immediatezza tolta. Cioè: è l’essere in quanto tolto; l’essere qualche cosa viene tolto dall’essenza perché, per dirla in modo molto rozzo, l’essenza si mette al posto dell’essere, il significato si mette al posto del significante, per cui l’essere viene tolto. E infatti dice La sua negatività è il suo essere;… Che cos’è l’essenza? È la negatività, è l’essere in quanto tolto. Per sapere che cos’è qualcosa devo dire un’altra cosa e, quindi, devo dire ciò che quella cosa non è. …essa è eguale a se stessa nella sua assoluta negatività, per cui l’esser altro e la relazione ad altro è scomparsa assolutamente in se stessa nella pura eguaglianza a sé. L’essenza è dunque semplice identità con sé. Questa identità con sé è l’immediatezza della riflessione. Essa non è quell’eguaglianza con sé che è l’essere o anche il nulla, ma è l’eguaglianza con sé che, come quella che si stabilisce quale unità, non è un ristabilirsi movendo da altro, ma è questo puro stabilire movendo da sé e in se stesso, l’identità essenziale. Qui abbiamo raggiunto una posizione interessante, e cioè l’essenza è l’identità con sé, un’identità essenziale. Cosa che non ha l’essere, che ha questa identità in relazione al non essere; qui ci sta dicendo che l’essenza non muove da qualcos’altro ma soltanto da sé. Non è pertanto un’identità astratta, ossia non è sorta mediante un relativo negare che abbia soltanto separato da lei il diverso, ma del resto lo abbia lasciato fuori di lei come essente, così prima come dopo. Anzi l’essere ed ogni determinatezza dell’essere si è tolta non relativamente, ma in se stessa; e questa semplice negatività in sé dell’essere è l’identità stessa. Ecco la questione dell’identità. Quindi, in cosa consiste l’identità? Nella negatività, cioè nella negazione. A pag. 458 c’è una lunga nota, che sarebbe opportuno leggere perché è quasi un riassunto del pensiero di Hegel, non soltanto in riferimento alla Scienza della logica ma in generale. Il pensare, che si mantiene nella riflessione esterna… La riflessione esterna è quella che Hegel contrappone alla riflessione assoluta, la riflessione su di sé; non è il riflettere su qualche cosa ma il riflettere su se stesso. …e non conosce altro pensare che quello della riflessione esterna, non arriva ad aver cognizione dell’identità com’è stata qui sopra intesa, ossia dell’essenza, che è lo stesso. Come abbiamo visto, l’essenza come pura negatività. Cotesto pensare ha sempre davanti a sé soltanto l’identità astratta, e fuori di essa ed accanto ad essa ha davanti a sé la differenza. Quindi, pone come due momenti separati l’identità e la differenza. Crede che la ragione non sia che un telaio su cui vengono estrinsecamente uniti e intrecciati fra loro l’ordito, in certo modo l’identità, e poi la trama, cioè la differenza; oppure, tornando ad analizzare, si tiri fuori a parte l’identità e poi anche si ottenga daccapo, accanto a quella, la differenza; crede cioè che si abbia ora un porre come eguale, ora anche, di rimando, un porre come diseguale; un porre come eguale, in quanto si fa astrazione della differenza, un porre come diseguale, in quanto si fa astrazione del porre come eguale. Queste asseverazioni ed opinioni intorno a ciò che la ragione fa si debbono asciare interamente da parte, in quanto in certa maniera son semplicemente storiche, ed anzi la considerazione di tutto ciò che è mostra in lui stesso che nella sua eguaglianza con sé esso è diseguale a sé e contraddittorio, e che nella sua diversità, nella sua contraddizione, è identico con sé,… L’identità non è che identità di essere sempre comunque contraddizione. …e ch’esso è in lui stesso questo movimento del passare l’una di queste determinazioni nell’altra, e ciò perché ciascuna è in lei stessa l’opposto di lei stessa. Il concetto dell’identità, di essere semplice negatività riferentesi a sé, non è un prodotto della riflessione esterna, ma è venuto a risultare nell’essere stesso. L’essere come negatività. Dal momento che l’essenza, per stabilire che cosa è veramente l’essere, deve togliere di mezzo l‘essere o, più propriamente, l’essere si toglie in questa operazione e al suo posto subentra la sua essenza, ciò che veramente è; ma il ciò che veramente è è sempre un’altra cosa. Al contrario quell’identità, che dovrebbe esser fuori della differenza, e quella differenza, che dovrebbe esser fuori dell’identità, sono prodotti della riflessione esterna e dell’astrazione, che si tien ferma in maniera arbitraria a questo punto della diversità indifferente. Questa identità è anzitutto l’essenza stessa, non ancora una determinazione di essa; è l’intiera riflessione, non un momento distinto di questa. Come negazione assoluta essa è la negazione che nega immediatamente se stessa, un non essere e una differenza che sparisce nel suo sorgere, ossia un distinguere per cui non viene distinto nulla, ma che rovina immediatamente in se stesso. Dice un non essere e una differenza che sparisce nel suo sorgere. È ciò che dicevamo del dire: io pongo qualche cosa, affermo qualche cosa, e questo mio dire dilegua, svanisce, rovina nel momento stesso in cui lo affermo, cioè, si nega, si altera. Il distinguere è il porre il non essere come non essere dell’altro. Se io distinguo una cosa da un’altra pongo questa cosa, che è già un non essere di per sé, come il non essere di un’altra cosa; ma il non essere dell’altro è il togliersi dell’altro e, quindi, dello stesso distinguere. Questo non essere dell’altro è il togliersi dell’altro, perché l’altro ha comunque e sempre un suo opposto, un suo opposto che deve togliersi perché quella cosa sia quella che è. Così però si ha qui il distinguere come negatività riferentesi a sé, come un non essere che è il non essere di se stesso, un non essere che ha il suo non essere non in un altro, ma in se stesso. Si ha dunque la differenza riferentesi a sé, riflessa, ossia la differenza pura, assoluta. Questo distinguere, come negatività che si riferisce a sé… questo riferirsi a sé, dice, non è altro che un non essere che è non essere di se stesso, perché se l’essere si riferisce a sé, ma questo essere è il nulla, questo riferirsi a sé rimane sempre nulla, cioè, rimane sempre, un differire, una differenza assoluta che non può essere colmata, cioè, l’essere non sarà mai un qualche cosa, ciò che io voglio che sia. Ovvero, l’identità è la riflessione in se stessa, che è questo solo come un respingere interno, e questo respingere è come riflessione in sé, un respingere che immediatamente si riprende in sé. L’identità è riflessione in se stessa, riflessione che, come abbiamo visto, comporta la negazione. Ma, dice, che non è altro che un respingere interno, un respingere da intendere come un negarsi: questa identità è qualcosa che si nega continuamente da sé. La non identità però è assoluta, in quanto non contiene nulla del suo altro, ma solo se stessa, vale a dire, in quanto è assoluta identità con sé. Questa non identità non è riferita ad altro, non è non identica a qualche altra cosa, è riferita sempre solo a se stessa, e in questo è un’assoluta identità con sé, cioè il fatto di non essere identica. L’identità è dunque in lei stessa assoluta non identità. Abbiamo stabilito che l’identità non è altro che questa non identità; è la non identità che è identica a se stessa, non c’è altro al di fuori di questo. Ma essa è per contro anche la determinazione dell’identità. Poiché come riflessione in sé essa si pone come il suo proprio non essere… Riflettendosi su di sé, è chiaro che deve togliere ciò che questa cosa non è. …è l’intiero, ma come riflessione si pone come il suo proprio momento, come un esser posto, dal quale essa è il ritorno in sé. Soltanto così qual suo momento essa è l’identità come tale, qual determinazione della semplice eguaglianza con sé, contro l’assoluta differenza. Dice, quindi, che l’identità è assoluta non identità, ma questa identità è anche la determinazione dell’identità, ma come riflessione in sé si pone come il suo proprio non essere. Dice che è l‘intero; sì, certo, ma come riflessione si pone come il suo proprio momento, come un esser posto, dal quale essa è il ritorno in sé. Soltanto così qual suo momento essa è l’identità come tale, cioè, soltanto se la considero come momento separato dalla differenza. Soltanto in questo modo posso parlare di identità, cioè, se io astraggo l’identità dalla assoluta non identità. Questo principio nella sua espressione positiva di A=A non è anzitutto altro che l’espressione della vuota tautologia. Fu quindi giustamente osservato che questa legge del pensiero è senza contenuto, e non porta a nulla. così è la vuota identità, cui restano attaccati quelli che la piglino come tale per qualcosa di vero, e sempre mettono avanti che l’identità non è la diversità, ma che identità e diversità son diverse. Costoro non vedono che appunto qui dicono già che l’identità è un diverso; poiché dicono che l’identità sia diversa dalla diversità. A pag. 460. Oppure, quando la cosa si esprima dicendo che l’identità sia identità essenziale come separazione dalla diversità, o nella separazione dalla diversità, allora questa è immediatamente la enunciata verità sua, che cioè l’identità consiste nell’esser separazione come tale, o nell’essere essenzialmente nella separazione, vale a dire nel non essere nulla per sé, ma essere momento della separazione. A questo punto, dice, l’identità consiste nell’essere separazione in quanto tale, o dell’essere nella separazione, cioè, non è nulla per sé, ma è sempre per qualche altra cosa; quindi, l’identità non è se non per un’altra cosa, ma per sé è nulla. A pag. 462. Quando invece dell’A e di ogni altro substrato si prenda l’identità stessa, - l’identità è identità – vien parimenti concesso che invece dell’identità si possa egualmente prendere qualunque altro substrato. Se ci si deve dunque richiamare a quel che vien mostrato dall’apparenza, l’apparenza mostra che nell’espressione dell’identità si presenta anche immediatamente la diversità; - e più precisamente, secondo quanto si è detto, essa mostra che questa identità è il nulla, che essa è la negatività, l’assoluta differenza da se stessa. A pag. 463. Quel che risulta dunque da questa considerazione è che in primo luogo il principio d’identità o di contraddizione, in quanto deve esprimere come un vero soltanto l’identità astratta per contrapposto alla differenza, non è affatto una legge del pensiero, ma ne è anzi il contrario; e che in secondo luogo poi questi principii contengono più di quello che con essi s’intende, contengono cioè questo contrario, la differenza assoluta stessa. Qui c’è tutto il pensiero di Hegel, l’idea della dialettica: due elementi sono quelli che sono in relazione al terzo, che è la loro relazione; la loro relazione è esattamente l’integrazione fra ciò che un elemento è, con ciò che quell’elemento non è.