INDIETRO

 

 

28-10-2015

 

La verità è uno degli elementi fondamentali della volontà di potenza, in genere si manifesta così, come enunciazione della verità, è quella che dà il potere, cioè “so come stanno le cose”. Heidegger, Logica. Il problema della verità: La prestazione fondamentale che ci si aspetta dal discorso “logos” era quella dell’ostensione di ciò di cui il discorso è discorso, di ciò intorno a cui si discorre nel discorso quella della rivelazione (questo è quello che fa il logos, che fa il discorso, mostra ciò di cui sta parlando, lo esibisce in qualche modo, si tratterà di vedere in quale modo). L’ente può quindi – secondo questo discorso – essere tratto dal suo non scoprimento, tratto cioè dal suo nascondimento può venire scoperto divenire cioè non nascosto, ¡-λήθεια a questo essere scoperto ossia non nascosto dell’ente diamo il nome di verità (in queste due parole c’è tutto Heidegger, ha riassunto in due righe tutto il suo pensiero). Prima di ogni altra cosa bisognerà chiedersi se abbia senso interrogarsi sulla verità (già qui pone una questione curiosa, si chiede se ha un senso interrogarsi sulla verità) se l’idea di verità non sia essa stessa un fantasma, se la verità sia, se cioè esista qualcosa che da un ente così come esso è (visto che è questa la verità così come l’ha definita prima) e inoltre ci si potrebbe ancora chiedere se in generale ci sia qualcosa di essente (questa è la domanda fondamentale della filosofia, cioè se ci sono le cose) e allora ci troveremmo di fronte una serie di domande già poste dallo scetticismo antico, (infatti cita Sesto Empirico “Adversus Mathematicos”, qui Sesto Empirico parla di Gorgia) Nel suo scritto (è Sesto Empirico che parla) sul non essere o sulla natura Gorgia espone seguendo l’ordine tre tesi principali, la prima “che non ci sia nulla”, la seconda “che se qualcosa c’è l’uomo non è in grado di intenderlo”, terzo “ che se anche fosse in grado di intenderlo non saprebbe poi esprimerlo e renderlo comprensibile ad altri” (ecco questo che dice Gorgia qui riportato da Sesto Empirico, perché di Gorgia come di molti sofisti è rimasto quasi niente, qualche frammento qua e là però alcuni come Sesto Empirico l’hanno riportato, ha detto delle cose essenziali che ancora oggi interrogano dopo duemila e cinquecento anni per cui la domanda è: si sono risolti i problemi in questi ultimi duemila e cinquecento anni? La risposta è no) prima di interrogarsi sulla verità ci si deve chiedere se in generale c’è verità, prima di dare lo schema di quel che essa è bisogna fornire la prova che essa è (prima di dire che cos’è la verità bisogna intanto stabilire se esiste una cosa che si chiama “verità”), d’altra parte seguendo un’argomentazione formale bisogna dire che nella discussione e fissazione del problema, se in generale ci sia verità è già necessariamente presente una comprensione di essa, in qualche modo bisogna pur sapere che cosa sia ciò di cui si deve decidere l’essere o il non essere. Dunque anche quando dovesse risultare che non c’è alcuna verità e che la verità è inafferrabile, incomunicabile eccetera sarebbe necessario spiegare che cosa si intenda con “verità” (sembra legittimo Simona se tu dicessi “non esiste la verità” io sarei legittimato a domandarti “che cosa intendi con “verità?”) infatti proprio quando questa tesi dovesse essere sostenuta come nozione fondamentale il suo contenuto quindi anche quel che si intende con “verità” dovrebbe avere la trasparenza di un principio (che ce l’ha per Severino ed è il principio primo, il principio di non contraddizione) questo però significa che spiegarsi che cosa sia la verità precede il chiedersi se ci sia verità e si sia possibile afferrarla e comunicarla ma in riferimento al problema stesso se ci sia verità diremo certamente che la risposta affermativa è evidente infatti già spiegando che cosa sia la verità presupponiamo che sia possibile fare enunciazioni vere sull’essenza della verità (se mi chiedo che cos’è la verità, qualunque cosa io risponda devo presumere che questa risposta che do sia vera, e quindi so già della verità) nella tendenza alla spiegazione c’è la prospettiva e l’intenzione preliminare di portare qualcosa alla chiarezza (generalmente quando si parla della verità si allude a qualcosa del genere, “portare qualcosa alla chiarezza” potremmo dire heideggerianamente al “disvelamento”) In linea di principio dunque il problema se ci sia verità è in questo modo già deciso (cioè è ovvio che c’è anche perché ne stiamo parlando) e si dice deciso addirittura in senso affermativo dove si nega che ci sia verità, questa negazione infatti pretende di essere l’enunciazione vera sul non essere della verità (quindi di nuovo ripropone la verità anche negandola) la negazione della sussistenza della verità sostiene il suo proprio esser vera e quindi la sua sussistenza. La posizione di questa negazione si è soliti chiamare “scetticismo” contraddice se stessa (e quindi è impossibile, ricordi gli scettici? Loro dicevano che ogni verità è impossibile oppure relativa, quindi anche questa stessa affermazione è impossibile, questo è il problema del paradosso dello scetticismo. Quando tu dici “tutto è questo” devi poterlo riferire anche a quella stessa affermazione che lo sta affermando) emerge quindi 1) che il problema apparentemente primario se in generale ci sia verità non è affatto il primo (perché abbiamo visto che il primo problema è che cosa sia, perché nel momento in cui chiediamo che cosa sia già esiste la verità necessariamente) che tale non è l’oggetto di una spiegazione sensata perché una tale spiegazione presuppone già sempre la possibilità della verità (quando si spiega qualche cosa si suppone che questa spiegazione corrisponda a qualcosa, se non altro a una verità come corrispondenza) si può tutt’al più rendere visibile esplicitamente la necessità di questo presupposto e questo compito è, per così dire, il prolegomenon a ogni logica /…/ Una teoria nel senso di Husserl non è un sistema di supposizioni, di proposizioni accostate sotto determinato condizioni per la possibile spiegazione di un insieme di fatti ma piuttosto una teoria nel senso greco di “teoria”: l’unità di un insieme fondante chiuso in se stesso di proposizioni vere in primo luogo una deduzione, per esempio, una teoria matematica (quindi non è più un insieme di proposizioni che devono spiegare qualcosa che è al di fuori dell’insieme di proposizioni, ma un insieme di proposizioni che ha all’interno di se stesso tutte le istruzioni per dire se qualche cosa è vera o falsa, ma all’interno di quel sistema, non al di fuori, generalmente invece la teoria si intende come un sistema, un insieme di proposizioni, che deve rendere conto di qualche cos’altro) per ogni teoria ossia per la teoria in generale sono condizioni della possibilità di una giustificazione razionale della stessa, una di tali condizioni per esempio è il principio di identità, nel senso della medesima universale validità degli assiomi della teoria del procedere dei passi fondati della deduzione (sembra difficile ma in realtà sta dicendo che uno dei principi fondamentali è il principio di identità, e cioè che mentre faccio una teoria, questo detto in modo semplice, mentre costruisco una teoria occorre che ciascun elemento di questa costruzione sia quello che è, non mi si cambi sotto il naso di continuo, se no è un problema) se ora però al contenuto teoretico enunciato in una teoria appartiene espressamente il compito di negare le condizioni di possibilità della teoria in generale allora essa è nel suo germe contraddittoria, totalmente inconsistente c’è allora in essa con questa inconsistenza del senso la rinuncia a ogni razionalità, la perdita di ogni possibilità di una affermazione e di una fondazione giustificata, la caratteristica di ogni teoria scettica consiste nel fatto che essa in base al suo stesso contenuto teoretico dice che le condizioni di possibilità della teoria in generale sono false (allora qui lui ce l’ha con gli scettici, dice che se si toglie la possibilità di potere stabilire con certezza una qualunque cosa, come la costruiamo un teoria? Diventa un problema, cioè i fondamenti che si suppongono saldi in una teoria per potere da lì costruire delle cose, se questi fondamenti li mettiamo in discussione come fanno gli scettici, che dicono “non c’è nessuna verità” allora su cosa ci basiamo?) A una teoria appartiene il compito di negare le condizioni di possibilità della teoria in generale. Quel che è vero è assolutamente vero, è vero in sé, la verità è unica e identica sia che la colgano nel giudizio uomini o mostri, angeli o dei (se è verità è verità, per tutti sempre, sub specie aeternitate) le leggi logiche parlano della verità in questa unità ideale di fronte alla molteplicità reale di razze, individui, esperienze vissute e noi tutti parliamo della verità in questa unità ideale a meno che non siamo confusi dall’ l’errore relativistico (questo è Husserl che parla) In quanto leggi reali il loro carattere è quello del presumibile esse non si liberano mai dalla limitazione che le accompagna costantemente ed essenzialmente e che suona: in base a quanto è stato osservato fin ora finché ulteriori esperienze non avranno messo in crisi la legge presunta (sono le leggi naturali, le osserviamo però “sarà così?” “non sarà così” diciamo che le accettiamo così come sono fino a prova contraria) ora le leggi del pensiero sono leggi incondizionate visibili solo tramite l’ideazione /…/ gli assiomi o partire da concetti puri non sottoposte alla condizione limitativa del “se …” (Come sono le leggi reali “se avviene questo presumibilmente avverrà quest’altro”) il principio di contraddizione è in se stesso valido e nella sua validità indipendente dal fatto che un certo numero di uomini lo riconosca o lo porti a compimento (Heidegger sta dicendo “è vero sempre”, il principio di non contraddizione cosa dice? che non è possibile che a sia vera simultaneamente e nello stesso momento e nello stesso luogo sia anche falsa, in logica si potrebbe dire non (a e non a) non è possibile che a e non a si diano insieme o è una o è l’altra, l’affermazione e la negazione non possono essere riferite alla stessa cosa simultaneamente e nello stesso ambito) riferito al principio di non contraddizione non significa che proposizioni contrapposte siano inconciliabili quanto alla loro validità se tutti gli individui dotati di una mente pensano secondo questa legge, ma è il contrario se il pensiero deve essere un pensiero legale (legale qui intende che sottostà a una legge del principio di non contraddizione) allora esso deve sottomettersi a questa regola (di non contraddizione) la quale trova il suo fondamento nell’assoluta sussistenza dell’inconciliabilità di proposizioni e sensi di proposizioni tra loro in contraddizione, la validità del principio di non contraddizione non è toccata e non può essere toccata dall’organizzazione psichica dell’uomo giacché di tale organizzazione esso non contiene nulla (sta dicendo che il principio di non contraddizione è qualche cosa che val di là di quello che gli umani possano pensare o non pensare ma se sono umani e se pensano, sono costretti a seguire il principio di non contraddizione. se no non pensano. Distingue fra il pensiero come evento del pensiero e il pensiero come pensato, quindi il pensiero come evento e il pensiero come pensato. La stessa distinzione la faceva Gentile tra il pensiero come atto del pensare, quindi in atto adesso in questo istante, e il pensiero come qualcosa di pensato, come dire che il “pensato” è già passato non è più pensiero in atto). La legalità del pensiero (si intende sempre di un pensiero che deve essere vero quindi legato a delle leggi del pensiero) che deve costituire il tema della logica non è quella dell’evento del pensiero ma quella del pensato (perché non pensiero in atto, non può fare niente perché sta avvenendo in questo istante, quindi può la logica intervenire soltanto sul pensato, cioè sulle proposizioni) la conformità al giusto e alla correttezza, la verità del pensiero scaturita in conformità alle leggi è ugualmente un carattere del pensato in questo modo abbiamo un’indicazione generale per la comprensione del concetto di verità che sta alla base della critica allo psicologismo e che poi si è imposto esplicitamente a partire dalle Ricerche Logiche (di Husserl) dunque la verità non è una proprietà reale di un evento psichico come lo sono la stanchezza o l’inibizione ma un contrassegno del contenuto del pensiero (cioè il pensiero non è di per sé vero o falso, vere o false sono le proposizioni che il pensiero costruisce) vero non è primariamente il porre il complesso delle posizioni ma è quel che è posto in quanto tale il pensato (sarebbe un po’ la differenza che facevano i linguisti in semiotica tra l’enunciazione e l’enunciato, l’enunciazione è l’atto dell’enunciare qualcosa, l’enunciato è ciò che è stato compiuto da questa enunciazione) nella proposizione in sé la verità trova la sua sede, la proposizione stessa in quanto tale è definita proprio in quanto verità una verità in sé “due per due = quattro” in questo modo “vero” non è quindi per fare un esempio che si riferisca al λόγος, il lšgeih il parlare,  ma il λεγόμενον quel che è detto in quanto tale, quel che ogni volta e ogni volta in maniera identica è dicibile e posto in greco λεκτου (λεκτου, lekton per gli stoici era il significato in quanto concetto e non già in quanto reale) questa affermazione “la lavagna è nera” si può caratterizzare in maniera rozza questa proposizione come una serie di posizioni, la posizione della lavagna come posizione di quello che viene considerato nel giudizio “la lavagna è nera”, posizione del nero estratto dall’oggetto dato la lavagna e contemporaneamente la posizione di quel che si è estratto scomponendo l’oggetto nel senso e nell’intenzione di una determinata imposizione al soggetto (cioè io posso dire “la lavagna è nera” però posso isolare anche questi elementi “lavagna” “nero” ciascuno poi di questi elementi può intervenire poi in altre situazioni) quel che si articola, si pensa in questa serie di posizioni può essere indicata come il giudizio in quanto tale, il giudicato, il contenuto del porre la proposizione, (proposizione se ci pensi bene Simona letteralmente significa questo: pro-porre, pro-posizione, cioè posizione qualcosa per qualche cosa, per qualche altra cosa) ciascuno di loro (si riferisce ai suoi allievi) quindi individui diversi e istruzioni diverse può in tempi diversi e con diversa chiarezza con umore diverso all’interno di contesti diversi di proposizioni e giudizi, enunciare questo contenuto proposizionale (“la lavagna è nera” può intervenire in sterminati discorsi, in questa infinita serie di casi, casi in cui questa proposizione è inserita (perché “la lavagna è nera” può essere anche una parola d’ordine, quando dirò “la lavagna è nera” tutti quanti vi alzate e farete questa cosa, per esempio) quindi una proposizione è qualcosa di identico che si mantiene nella sua identità di fronte alla pluralità delle posizioni di giudizio che realmente avvengono (questa proposizione “la lavagna è nera” pur detta in infiniti contesti rimane sempre la proposizione la lavagna è nera, qualunque cosa voglia dire però rimane quella non cambia), identità e consistenza della proposizione di fronte alla variabilità e mobilità delle posizioni (sta incominciando a dirci qualche cosa in più della verità, come lui intende verità, ci sta parlando di qualcosa che permane, che è immobile e che è identico, sta già dicendo della verità in pratica) per esempio il triangolo è reperibile in una serie di triangoli ad infinito, triangolo che è sempre quella (un’idea) abbiamo quindi l’idea del triangolo come qualcosa di identico, come abbiamo l’idea del colore di nuovo qualcosa di identico che si conserva in una pluralità di sue singole manifestazioni (questa è una questione antichissima di uno e dei molti di Parmenide per esempio, ma non solo come permanga qualche cosa di identico all’interno di una pluralità, perché la verità occorre che sia qualche cosa di identico e la verità se è la verità può essere come il colore rosso, essere attribuito a infinite cose eppure essendo attribuito ad infinite cose è come se mantenesse sempre la sua identità che potrebbe costituire un problema, come fa se è inserito in tante cose differenti tra loro rimanere la stessa cosa?) questa connessione a differenza di identità, differenza, stabilità, mutamento viene compresa per la prima volta nel suo insieme da Platone (quello che ha inventato la metafisica tanto per intenderci) l’identico permanente (tenete sempre conto che Heidegger ci sta conducendo passo dopo passo a intendere sempre meglio, sempre di più che cosa sia la verità). L’identico permanente è quel che si trova ed è visibile in ogni triangolo (cioè qualunque triangolo tu veda, tu vedrai sempre un triangolo eppure sono diversissimi tra loro, come fai a vedere sempre un triangolo?) in ogni colore come quel che è già sempre lì è quel che, per così dire, dice quale aspetto ha l’oggetto considerato “triangolo, colore, casa” questo aspetto volto proprio che di volta in volta fa la cosa e quel che essa è era indicato dai greci come edos, idea (sta dicendo facendo indirettamente parlare Platone che ciò che permane è l’idea, l’idea che io ho del triangolo) l’idea indica primariamente il veduto (questo era il senso antico del greco ιδša, non era il mio pensiero ma il veduto, da cui edos, immagine) ed è in base al suo senso quel che in una cosa fa che questa cosa sia quel che è (questa è l’idea per il greco antico) perché proprio quel che rende una cosa quel che essa è sia indicato come idea non è affatto così evidente e chiaro perché questo avvenga se i greci hanno caratterizzato come idea quel che rende una cosa quel che essa è la sua essenza permanente allora l’hanno compreso in base al tipo di percezione, ciò che rende una cosa quel che essa è, è il permanente (questo foglietto di carta è quel che è perché permane a essere un foglietto di carta, rimane questo fogliettino, quindi ciò che rende qualche cosa quello che è, è il suo permanere) e il permanente ciò che in ogni singolarità si ricava in certa misura dal vedere, questo è ciò che si ricava dal vedere io vedo che è sempre un foglietto, questo pezzetto di carta il vedere, la vista, il vedere in un senso molto vasto ossia nel significato di cogliere qualcosa in se stesso era per i greci il modo più alto di cogliere l’ente in generale nel modo di cogliere la vista si accede quel che rende una cosa quel che essa è, nella misura in cui questo contenuto cosale o essenza cosale è accessibile per mezzo della vista, esso è indicato come idea (questo era per i greci ιδša ciò che io vedo e ciò che io vedo rende quella cosa che sto vedendo quello che è: questo fogliettino di carta).