24-10-2000
Allora cos’è un tornaconto? Un vantaggio. La
questione che si poneva con Cesare prima non è tanto di fare in modo che
qualcuno si accorga che il tornaconto è un vantaggio e quindi può fare un
qualcosa che gli piace, ma porre delle questioni per cui non possa non
accorgersi che ciò che afferma essere qualcosa che non desidera affatto, in
realtà costituisce un tornaconto e quindi un vantaggio, per esempio una persona
che dice di soffrire non potrà non considerare questa sofferenza che abbia o
sia un tornaconto per lui ma anzi è un qualcosa di indesiderato, qualcosa che
non vorrebbe avere, in genere avviene così e quindi così come abbiamo fatto per
il piacere, occorre che facciamo per il tornaconto in modo da “costringere” una
persona a non potere non accogliere che la sua sofferenza, facciamo questo
esempio, sia un tornaconto cioè sia un vantaggio. Da dove potremmo muovere
Beatrice? Facciamo delle ipotesi appunto e io faccio la parte della sofferente,
malandata, soffro tantissimo e non mi si venga a raccontare che sono io che la
cerco, che la mia sofferenza è il mio desiderio, perché non voglio neanche
sentirne parlare… (farei in modo che intervenga la domanda su ciò che
interviene nel suo discorso e cioè sulla ripetitività e cioè come mai questa
cosa che non vuole è comunque sempre presente, la sofferenza viene da me, cioè
questi pensieri sono sempre presenti, nel suo discorso la presenza della
sofferenza è continua, di solito le affermazioni che si fanno in questi
frangenti sono la sfortuna o il destino, quindi in prima istanza cercherei di
far accorgere la persona di quello che dice continuamente e di come questa
questione non possa spostarsi da questa scelta e di come per questo la sofferenza
faccia parte del discorso) questo lo sa benissimo perché è proprio di questo
che vuole sbarazzarsi (certo vuole sbarazzarsi di questo ma l’ascolto di questa
ripetitività dovrebbe fare in modo che la persona cominci ad interrogarsi su
ciò e soprattutto sulla credenza che lei sola sia passibile di destino funesto)
può anche dire che può succedere a molte altre persone ma questo non la
solleva, dobbiamo fare in modo che questa persona giunga a considerare che la
sua sofferenza ha un tornaconto, è questo che è difficile da far intendere (si
può anche partire da quali condizioni uno soffre. Il suo discorso di cosa tiene
conto per soffrire….perché soffre?) perché accade qualcosa che non desidera che
accada (lui crede di soffrire) una persona potrebbe dire, prendo un calcio
negli stinchi anche se non ci credo fa male lo stesso (sì però è il suo
discorso che accoglie certe proposizioni per poter soffrire) supponiamo che
arrivi anche ad ammettere questo, cioè il mio discorso ammette queste
proposizioni ma io non voglio che le ammetta, perché si sta male (non ho
capito) io non voglio che le ammetta perché se le ammette io sto male, e sono
venuto qui da lei proprio per questo motivo, per fare in modo che il mio
discorso non ammetta più queste cose perché altrimenti sto male. (analizzare
cosa intende per male) ciò che mi procura sensazioni sgradevoli e che perciò
non desidero (perché il tuo discorso tiene conto della sofferenza e non altre)
dice io non l’accolgo la rigetto tutte le volte che compare, non la voglio accogliere
e allora come la mettiamo? E porla come ipotesi? Potrebbe tutto questo, visto
che insiste avere un tornaconto? Chiaramente la persona direbbe di no, però a
questo punto abbiamo inserito un elemento il tornaconto, anche se la persona lo
nega (tornaconto e utilizzo, a cosa ti serve questa cosa) a questo punto
risponde prontamente nulla. (certo è una cosa di cui si deve sbarazzare e non
può che rispondere così) abbiamo chiesto se potrebbe essere un tornaconto,
allora riflettiamo sul tornaconto intanto, è qualcosa, come abbiamo detto
prima, che comporta un vantaggio, ovviamente, e sappiamo che per lui questa
sofferenza non comporta nessun vantaggio, perché è questo che ci dice, ora però
il vantaggio è qualcosa che c’è di certo come qualcosa di cui comunque è
attratto, bisogna tenere conto tutte le obiezioni che può fare come di quella
cosa non sono sicuramente attratto, essendo un vantaggio, un tornaconto e
quindi una cosa che io ho cercato ovviamente è qualcosa che attrae e ciò che
attrae abbiamo detto “è ciò verso cui sono mosso” il problema è trovare un modo
per rendere molto semplice il fatto che si è mossi verso qualcosa allora questo
qualcosa, attrae, piace, perché una persona che soffre è mossa dalla sua
sofferenza, e questo non stenterà ad accoglierlo (subisce la sua sofferenza )
sì, però a questo punto, potremmo dire o è attratto dalla sofferenza oppure la
sofferenza lo attrae, è la stessa cosa o è la sofferenza che attrae lui o è lui
che attrae la sofferenza, però nel secondo caso se è lui che attrae la
sofferenza il problema è già risolto, perché allora è lui che fa questa
operazione, nel secondo se è la sofferenza che lo attrae allora è un qualcosa
che lo attrae, qualcosa fuori di lui, è complesso… (si immagina questo comunque
e quindi è un subire comunque) esattamente, sì la questione può essere posta in
altri termini come volgere l’idea del subire qualcosa nell’idea invece di
costruire questa cosa, si tratta di questo, però sì certo abbiamo gli strumenti
da far giungere la persona ad ammettere questo però dobbiamo trovare un sistema
molto rapido, molto veloce, con pochissime battute, che costringa a fare una
cosa del genere (io pensavo questo: il discorso è attratto sempre da qualcosa
che si costruisce e quindi anche la sofferenza è costruita) ma è questo il
punto dolens (si ma uno non direbbe la sofferenza se non ne fosse attratto e di
conseguenza si dovrebbe) però si dovrebbe distinguere “sì attratto” non sono io
attratto certo attrae la mia attenzione, così come un vaso di fiori che mi cade
sulla testa attrae la mia attenzione ma non ne sono attratto nel senso che mi
interessi particolarmente o che mi piaccia la cosa (l’attrazione è già insita
nel discorso che uno fa) già questo non le verrebbe concesso, non tutte le cose
mi attraggono alcune cose mi rifuggono, le rifuggo (perché è un discorso
lunghissimo da fare per portare la persona a questi capovolgimenti) la
questione è appunto di volgere la questione dall’idea di subire qualcosa
all’idea di costruirla, questo è il punto centrale, ché quando si immagina di
subire qualcosa in realtà è una costruzione che si pone in atto, (riflettendo
sulla questa questione dell’olocausto e del suo tornaconto e su come mi sono
scagliata contro quel non capire da parte degli altri il tornaconto, cioè non
intendere che il ricordare per esorcizzare, per fare in modo che non accada
più, mantiene l’interesse sulla cosa da ricordare e questa cosa che interessa
non può evolversi diventare altro proprio perché è interessante e se una cosa è
interessante per qualche motivo occorre mantenerla, è una paura intanto
un’attrazione) è un discorso un po’ pericoloso, potrebbe rispondere: ma lei
Beatrice quando guarda a destra e poi a sinistra prima di attraversare una
strada è perché vuole andare sotto a una macchina? (me lo ha insegnato la mamma
e anch’io ho insegnato alla mia bambina) a che scopo? Perché vada sotto la
macchina o perché non ci vada? (mi chiedevo al momento in cui mi sono scagliata
su quel non avere intesa la questione del tornaconto, prima parlavo della
ripetitività della scena laddove questa si pone, perché questo discorso non può
defluire, perdere di interesse laddove continua questo cerimoniale, per cui il
vantaggio rimane tale e quale, in quanto torna ad immettere nel discorso questo
interesse) (però non potrebbe essere attrazione nel salvaguardare la propria
vita?) sì e quindi repulsione per tutto ciò che la mette in pericolo, quindi la
sofferenza è qualcosa cosa che ha questa connotazione cioè mettere a rischio la
mia vita, il mio benessere e quindi lo fuggo, giusto? (allora dicevo come può
accorgersi una persona di quello che lo attrae, l’attrazione è ciò che è
importante nel suo discorso tutto sommato, perché se no non avrebbe motivo di
permanere) e questo è ciò che ancora dobbiamo provare (a questo punto in questa
direzione dice “qual è il tornaconto di questo discorso che si ripete, per cui
sono attratto dalla cosa olocausto” per questa strada il ritorno al discorso di
giovedì scorso io voglio questo spettacolo c’è uno spettacolo di cui posso
godere e questo spettacolo lo riporto continuamente nel discorso, questo è il
tornaconto, come dire che questa scena che per mille motivi io nego, negandola
io ne posso usufruire, l’olocausto rimane sempre lì a disposizione e questo è
il tornaconto cioè io non posso che concludere che questo è il tornaconto,
poter fruire di una scena che credo possa esistere e quindi è qualcosa che è
fuori dal discorso, perché se la scena è quella, non c’è parola che la possa
distruggere, il tornaconto è poter godere del solito discorso tutto sommato,
come se io lo ribaltassi continuamente nel discorso e non trovassi nulla che va
ad incrinare questo piacere…) prendiamo una cosa più facile e cioè subire dei
propri pensieri, come nel caso dell’angoscia, nel caso delle fobie, nel caso
della depressione, uno subisce il fatto dei propri pensieri, non c’è qualche
cosa di concreto come direbbe il luogo comune, cosa vuol dire subire qualcosa?
(intento) saprebbe definire questo verbo subire? (l’incapacità di ribaltare,
dell’evolvere diversamente del proprio discorso) ecco siamo vicini, comporta
un’incapacità, un’impotenza (dizionario) subire: andare sotto letteralmente,
subire: accettare passivamente situazioni o imposizioni moleste…la passività
implicita nel verbo può essere conseguenza di una impellente necessità. Ecco,
qui c’è una cosa che può esserci utile la passività, il subire qualcosa esclude
l’attività, subire attivamente parrebbe una contraddizione in termini, ecco
quindi la passività, l’accettazione passiva, però è possibile subire ciò che
non si accetta? Si rilegge vocabolario. Accettare passivamente, però è
possibile subire senza accettare, dice che subisce i pensieri , c’è una
discrepanza fra il dizionario e l’uso corrente, i cattivi pensieri dice che li
subisce, però nel subire in questo caso è implicito l’accettazione mentre chi
dice una cosa del genere afferma di non accettarla affatto, li subisce ma non
li accetta, (tanto che alcune persone quel pensiero non lo accettano proprio),
potremmo dire l’impossibilità di reagire di fronte a una certa cosa, ad una
certa situazione e allora se c’è questa impossibilità di reagire allora si
subisce, volenti o nolenti non ha importanza ché pone l’accento
sull’accettazione però è discutibile che uno la accetti, se uno è
impossibilitato a reagire a una certa cosa anche se non l’accetta la subisce lo
stesso. Quindi subisce le gabelle per i parcheggi mica le accetta, però le
subisce perché non può impedirlo, quindi comporta una impossibilità,
impossibilità di modificare una situazione che non gradisce, questo attraverso
una definizione precisa “l’impossibilità di modificare una situazione sgradita”
sembra più precisa perché non mette in campo né la volontà, è impossibile che
non la subisca, uno subisce una condanna anche se non l’accetta, il Devoto questa
volta ha fallito, se troviamo una definizione che in nessun modo può essere
rifiutata, però dobbiamo trovarla in modo tale che questa definizione ci offra
in seguito il destro per inserire un elemento, e qui quale elemento potrebbe
essere inserito, nell’impossibilità di reagire? Posta così sembra difficile
trovare la possibilità di inserirsi, sarebbe in questo caso l’impossibilità di
reagire di fronte a un proprio pensiero. A quali condizioni mi è impossibile
reagire a un mio pensiero? Ci sono gli elementi ma ciò che ci manca ancora è
quel qualche cosa che renda tutto straordinariamente semplice, dite se vi viene
in mente qualcosa (nel depresso qualcosa crea depressione nel non depresso crea
tutt’altro perché non vede il tornaconto qualcosa per cui lottare, per un
obiettivo, sembra quasi una visione senza il suo obiettivo sembra quasi una
passività, non vedendo qualcosa davanti) (oppure perché vede soltanto quello,
come tertium comparationis non vede nulla davanti a sé, perché ha bisogno di
vedere qualcosa davanti a sé?) come può accadere che io pensi ciò che non
voglio pensare? Cioè io affermo che non lo voglio pensare propriamente però per
la persona è la stessa cosa, a questo punto per la persona i suoi pensieri sono
una sorta di corpo estraneo, che non vuole dei quali vuole sbarazzarsi, e molte
volte si rivolge ad uno psicanalista per questo motivo, sbarazzarsi dei suoi
pensieri che non vuole e quindi dobbiamo intendere come può una persona avere
dei pensieri che non vuole. Trovare qualche sofisma per costringerlo ad
ammettere che è esattamente quello che vuole, a questo punto avremo risolto il
problema (quando Freud voleva dare risalto a delle questioni parlava del
nevrotico e del perverso, come anche nel sogno nel quale possono intervenire
delle scene perché nel sogno è inibita l’azione, mentre nella realtà questi
pensieri non possono intervenire perché porterebbero all’azione… il perverso è
colui che mette in atto i suoi desideri senza nessuna remora mentre il
nevrotico si punisce per averli pensati, questi pensieri sarebbero i famosi
corpi estranei) tutto questo va bene ma a noi occorre trovare una formulazione
che costringa ad ammettere che questi pensieri sono ciò che si desidera e non
ciò che si rifugge e solo dopo avere ammesso di volerli posso decidere se porli
in atto oppure no (il depresso non può decidere, può godere della cosa senza
essere incolpato di nulla, per cui questo è il vantaggio per cui si ritrova a
non poter sbarazzarsi di questi pensieri perché ciò che teme lo mantiene
continuamente in questa possibilità di poter fruire di quelle cose di cui non
ha la responsabilità ma di cui non vuole avere la colpa e immagina che quelle
cose laddove lui le possa dire e esprimere le possa veramente compiere per cui
può fruire di cose che altrimenti non potrebbe assolutamente ammettere,
certamente crede alla sua realtà. sono frasi che immette nel discorso ma non
entrano nel gioco, perché a quel punto potrebbe confutarle) la questione è che
la domanda può essere posta in termini precisi, in questi termini cioè se ciò
che penso ha a che fare con ciò che desidero oppure no, posso pensare qualcosa
che non desidero? Chiaramente una persona potrebbe rispondere di sì, però i
pensieri che io produco per il solo fatto che io li produca e che per qualche
motivo non mi attraggono, (intervengono) sì la forma che è più efficace, a
quali condizione posso pensare qualcosa? Sono tutte domande ma dobbiamo trovare
la risposta rapida, persuasiva, mostrando per esempio che pensare un pensiero
che non si desidera è una formulazione paradossale, una contraddizione in
termini, cioè dobbiamo giungere ad affermare che se la pensa allora la
desidera, Cesare una soluzione così su due piedi? (…) però è questa la forza
persuasiva per esempio mostrare la paradossalità affermare di pensare qualcosa
che non si desidera, dobbiamo pensarci bene questa potrebbe essere un’altra
pietra miliare risolvere questa questione, pensiero, desiderio, piacere,
attrazione, forse una sorta di equivalenza fra pensiero e attrazione, cioè se
penso un certo pensiero è perché questo pensiero mi attrae, e questo è ciò che
dobbiamo provare, detto questo (attrarre senza essere attratti) senza essere
attratti da ciò di cui si parla, certo, certamente, qualche idea a riguardo,
cosa potrebbe provare in modo irrefutabile che ciò che penso è anche ciò che mi
attrae? (io posso scegliere una direzione nel discorso) però questo è
esattamente ciò che una persona nega (…) io posso parlare di un camion che mi
investe ma non ne sono attratto, non è semplice la questione, noi dobbiamo
provare che anche in questo caso c’è attrazione, pareva più semplice la
questione però è una bella sfida, ci lasciamo un po’ tempo per rispondere,
trovare una formulazione acconcia o sconcia (di fronte a ciò che interviene mi
interroga la conclusione che traggo a questo punto) la conclusione è l’elemento
finale di una serie di pensieri dei quali vorrebbe sbarazzarsi, uno potrebbe
dire se non ho questi pensieri non giungo neanche a questa conclusione (laddove
intervenga l’immissione di proposizioni che mi attraggono cosa mi sbarra il
passo all’intendere a che cosa mi serve) l’idea che esista qualcosa che io
penso e che non voglio pensare, questa idea è molto forte (se la conclusione
fosse la conclusione di un sillogismo e io potessi prendere atto di come
funziona il discorso di ciascuno e quindi potessi trattare questa proposizione)
sì, sì in termini logici certo però è la questione retorica che ci interroga
adesso più fortemente cioè costruire una proposizione che impedisca la persona
di potere pensare che ciò che lui pensa non è ciò che desidera, del tipo di
quella che dicevo prima cioè ha una funzione paradossale, cioè non posso
pensare una cosa che non desidero (ma anche al punto in cui una persona arrivi
a dire io penso questa cosa e quindi la desidero, al momento in cui ha fatto
questo ammissione dice va bene la desidero per che cosa? come avviene che
desidero una cosa di questo genere) già la questione si è spostata però sul
perché desidera una certa cosa, va bene (è una mia responsabilità) ciò che ne
segue dopo è un altro discorso e muove da quello (arrivare a quel punto può
ripetersi tutta la questione, perché se io concludo che è una mia
responsabilità e non è un giudizio morale, il discorso si ferma al che cosa mi
serve una cosa di questo genere) magari trova una risposta perché a questo
punto sapendo che la desidera sa anche che è un vantaggio e quindi non desidero
ciò che non è vantaggio, e quindi può anche considerare quali ne sono i
vantaggi però a questo punto è già bene avviato. Va bene, in una settimana
dobbiamo risolvere il problema…