23 luglio 2025
Agostino di Ippona De Trinitate
Agostino d’Ippona, verso la metà del V secolo d.C. scrive questa opera che si chiama De Trinitate. Agostino come sappiamo, perché Beierwaltes ce l’ha ripetuto un’infinità di volte, è un neoplatonico, cioè, un seguace di Platone. Ora, per affrontare bene la questione occorrerebbe riflettere un momento su Platone. Platone è l’inventore della metafisica, cioè, ha inventato quel pensiero che immagina che ciascuna cosa, ciascun ente sia quello che è in base a qualche cosa che lo trascende, che sta fuori di lui. Platone pone questo qualche cosa che dà all’ente la sua enticità nel mondo delle idee, sopra il cielo. Questa è la garanzia, perché lui si è reso conto che le cose con cui abbiamo a che fare come sappiamo, come possiamo sapere con certezza che sono quelle che sono? Come so con certezza che il tre è il tre e non un’altra cosa? Posso provarlo? Diventa una cosa estremamente complicata. Invece, in questo modo ecco che c’è l’idea che garantisce; poi, è diventata Dio, naturalmente. La differenza fondamentale tra Platone e Aristotele è che questa garanzia, che Platone immagina sopra il cielo, nell’iperuranio, per Aristotele è nella δόξα: la doxa è l’unica garanzia, non ce n’è un’altra. Quindi, capite che come garanzia di identità di qualche cosa non vale un granché, perché la δόξα non è altro che ciò che si pensa, si crede, si immagina. Per Platone, invece, questa garanzia è l’idea: la realtà, cioè ciò che ci circonda, deve la sua esistenza a questa idea. Platone, inventando la metafisica, inventa anche la realtà virtuale. Per Platone la realtà è tutta virtuale, non ha un’esistenza propria. La realtà delle cose con le quali abbiamo a che fare, è determinata da un’altra cosa: virtualmente noi abbiamo a che fare con le cose, ma propriamente queste cose sono quelle che sono in virtù di altro. L’avere inventata la metafisica è stata la mossa fondamentale in tutto il pensiero occidentale; da allora questo pensiero non si è mai più abbandonato perché la metafisica è l’unico pensiero che possa offrire una garanzia. Dove cerchiamo la garanzia? La cerchiamo forse in Democrito o in Anassimandro, per il quale tutto viene dall’ἀπείρων, dall’indeterminato, dall’infinito? Nei presocratici non c’era questa idea, nei sofisti men che meno. Anche i presocratici cercavano la garanzia, certo; lo stesso Aristotele con la filosofia prima, che poi è stata chiamata metafisica. La filosofia prima è, proprio come abbiamo visto, la filosofia, il pensiero che deve trovare l’άρχή e l’αἳτια, l’origine e la causa, cioè la garanzia che le cose sono proprio così. Ma non si trova e questo pensiero, che non offre garanzie, è stato abbandonato definitivamente dal neoplatonismo, che ha installato un pensiero che offra la garanzia. È stata la prima volta, non si era mai verificato prima, con i presocratici no, con i sofisti non se ne parla, lo stesso Aristotele, il quale, anche lui, in fondo, ha cercato il principio primo e lo trova nella δόξα. Chi garantisce l’universale? La δόξα. Che garanzia è, quindi? Questo è il motivo per cui il pensiero neoplatonico, una volta installato, non si è mai mosso da lì, perché è l’unico che può garantire qualcosa. Ed è interessante la piega che questo pensiero ha preso poi nel prosieguo, perché con Agostino, certo, il neoplatonismo è evidente, ma Agostino pone la fede come caposaldo, per cui l’unica garanzia è la fede. Non aveva torto, in fondo, perché anche la scienza oggi ha come unico riferimento, come unico caposaldo incrollabile, la fede. Senza la fede la scienza non fa niente, perché la scienza ha bisogno di pensare che ciascun elemento, con cui ha a che fare, sia identico a sé per virtù propria. E, quindi, chi lo garantisce? La fede. Io ho fede che questa cosa rimanga quella che è: ho fede ma non posso saperne di più. Poi, è avvenuto che la scienza ha sì bisogno della fede, ma anche che la fede ha bisogno della scienza. La fede ha bisogno della scienza per dimostrare di non essere creduloneria, di non essere superstizione, ma di avere delle solide basi, ed è questo che incomincia a fare Agostino. Solide basi che vengono dal ragionamento naturalmente, perché c’è la fede, però poi c’è il ragionamento che sostiene la fede. Tutto il percorso del De Trinitate è simile a quello di Filone rispetto alla Bibbia. Agostino procede, in effetti, in modo assolutamente scientifico perché prende il dato - il dato è un detto di un tizio qualunque, di un apostolo, ecc. - dopodiché lo interpreta, perché il dato di fatto senza una interpretazione non è niente, non sappiamo neanche che cos’è, è l’interpretazione che determina che il dato corrisponda a quel fatto. Questo ha portato, qualche secolo dopo, alla disputa tra dialettici e antidialettici, che è meno famosa di quella sugli universali, ma a mio parere molto più importante. I dialettici hanno letto Aristotele - attraverso Porfirio naturalmente, cioè, attraverso il neoplatonismo, è stato letto solo così - e hanno pensato che nei Primi analitici, in quelle figure come Barbara, Celarent, ecc., lì ci fosse la risposta a qualunque domanda, e cioè che attraverso quelle figure fosse possibile determinare la verità. Ignorando, naturalmente, i Secondi analitici, dove Aristotele mette seriamente in discussione la cosa, perché tutti quanti muovono dall’idea di un universale; infatti, il sillogismo a cui ogni altro sillogismo deve poteree essere ricondotto è il sillogismo Barbara, tre affermazioni universali. E l’universale? L’universale non c’è, dice Aristotele. Certo, si pone come il risultato dei particolari, ma come un risultato, ma Dio non può essere il risultato di qualche cosa. Come ha fatto invece Anselmo, ma Anselmo era direttamente ispirato da Dio. E, allora, succede questo, che il pensiero di Platone, passato attraverso la lettura neoplatonica di Aristotele, utilizza Aristotele per potere pensare che attraverso il calcolo sia possibile stabilire l’esistenza di Dio, cioè la verità. L’ultimo testo di metafisica è di Ficino, Teologia Platonica; dopo, siamo nel Rinascimento, la teologia si trasforma in scienza. Si è sostituita questa figura, un po’ personalizzata, un po’ antropomorfizzata del Dio, che è quel vecchio con il barbone, con il figlio belloccio, e poi la fiammellina; si è sostituita una idea più ampia, paradossalmente più universale - dico paradossalmente perché la chiesa si pone già come universale - e cioè la natura, che è meno personalizzata. Quindi, conoscere Dio è l’intento, per esempio, di Agostino, attraverso la fede, naturalmente. Poi, c’è Tommaso, del quale dovremmo leggere alcune cose, almeno il De ente et essentia e forse anche qualcosa sulla verità, che invece pone la scienza come dono di Dio e, quindi, come la via regia per conoscere Dio. Ma se Dio viene sostituito, attraverso poi anche il passaggio di Spinoza, dalla natura, allora la conoscenza di Dio diventa la conoscenza della natura. E così i dialettici, per esempio Berengario di Tours, il cui progetto era potere calcolare Dio, conoscerlo attraverso il calcolo proposizionale - le cifre arabe non erano ancora comparse. Pertanto, conoscere Dio, quindi la natura, attraverso il calcolo. Si è aperta la possibilità a questo punto della scienza moderna: Copernico, Galilei, Newton, Keplero, Cartesio. Ma tutto questo, badate bene, è stato pensabile grazie a Platone, e cioè al pensiero che ci sia un qualche cosa che possa garantire che una certa cosa - può essere Dio, la natura, un ente della fisica, non importa - rimanga quello che è. Occorreva questa garanzia e la metafisica fa esattamente questo: garantisce che ciascun elemento rimanga quello che è, perché è quello che è e non un altro. È eterno, direbbe Severino: l’eterno l’apparire dell’essere sé dell’essente, cioè, appare come qualcosa che è quello che è. Che poi appaia così necessariamente in relazione a qualche cos’altro, questo Severino non lo prende in grande considerazione. Comunque sia, la metafisica ha permesso la nascita della scienza attraverso questo percorso che vi ho brevemente accennato. A questo punto, ecco, potremmo chiamarlo il mito della calcolabilità, di cui parla tra l’altro Koyrè in un suo libro, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, dal mondo degli antichi, all’universo della precisione, l’era moderna dove tutto è precisamente calcolato, precisamente determinato ma con qualcosa che non è determinabile. È proprio perché la realtà, come voleva in fondo Platone, è virtuale che è calcolabile, perché c’è qualche cosa di questa realtà che la rende quella che è: l’idea. Ricordate Platone nel quadro di Raffaello, la scuola di Atene, che indica il cielo, mentre Aristotele la volge verso il basso. La virtualità della realtà la rende calcolabile, perché, essendo virtuale, ha al di fuori di sé la garanzia di identità, di immutabilità; e se questa cosa è immutabile e identica a sé, allora è calcolabile. A questo punto il pensiero ha preso questa strada che è la strada dei dialettici dell’anno Mille: dobbiamo calcolare per conoscere Dio, cioè, per conoscere la natura; il calcolo è l’unica via che ci porta alla verità. Quindi, aveva ragione Berengario di Tours, ma a modo suo aveva ragione anche Lanfranco di Pavia, che era un antidialettico, perché, senza saperlo, aveva intravisto che la logica non può garantire ogni cosa, per prima cosa non può garantire se stessa. E, poi, in ogni caso, la logica non è nient’altro che un insieme di regole, con le quali si operano deduzioni, induzioni, ecc., che non sono garantite da nulla, mentre gli umani volevano la garanzia, perché la garanzia è l’Uno, è quella situazione di tranquilla, indisturbata quiete e di serenità che gli umani cercano, naturalmente senza trovarla mai, ma la cercano. Quando abbiamo letto Beierwaltes su Agostino, lui non faceva che ripetere dell’insistenza di Agostino circa la necessità di unificare, cioè, tornare all’Uno. Tornare all’Uno significa tornare alla consapevolezza, alla conoscenza assoluta: le cose stanno così. Questo è tutto l’impianto del pensiero occidentale, cioè un prodotto della metafisica di Platone. Senza la metafisica di Platone tutto questo non sarebbe mai esistito, perché non sarebbe esistito Plotino, non sarebbe esistito il cristianesimo e tutto avrebbe preso un’altra piega, quale non lo sapremo mai, naturalmente. Da noi c’è stata questa infatuazione della logica nell’anno Mille, e cioè l’idea di potere conoscere la verità attraverso il calcolo. Da lì non si è più tornati indietro, perché il calcolo offre questa illusione: la precisione. Il mondo del pressappoco, è il mondo democriteo, in cui c’è il mescolarsi e rimescolarsi degli enti, degli atomi. Dicevo, da allora non si è più tornati indietro, il calcolo è diventato irrinunciabile. È come se tutto il pensiero occidentale fosse sorto su una falsa lettura di Aristotele. Volutamente falsa, perché poi tutti questi signori, appunto, si piccavano di seguire il grande Aristotele, ma il grande Aristotele ha detto anche altre cose oltre ai Primi analitici e il suo programma eseguibile, ha detto molte altre cose. Quando ha cominciato a chiedersi: ma che cos’è che sostiene tutte queste belle cose che ho inventate? I sillogismi. L’universale, certo, ma l’universale, come lo stabiliamo? Con la δόξα. Non l’idea identica a sé, ma qualcosa che è totalmente altro rispetto all’identico a sé, qualcosa che è continuamente in divenire, che è continuamente cangiante, che continuamente si altera, e cioè la δόξα, l’opinione. La δόξα è il fondamento per Aristotele, il fondamento del pensiero. Capite che su questa base non si può concludere nessuna teologia, se non una teologia come la intendeva lui, perché anche lui parla di teologia, per lui la filosofia è teologia perché deve portare a Dio, cioè a un pensiero che pensa se stesso, a un pensiero che si pensa pensante. Quindi, nulla a che fare con la teologia così come è stata posta dai neoplatonici, perché in Aristotele non c’è l’assoluto, e senza l’assoluto non c’è Dio. E, infatti, Agostino si dà un grandissimo da fare nel primo libro, ma anche negli altri, a stabilire che la sua interpretazione dei fatti, cioè, dei detti degli apostoli, è quella giusta. In questo è uno scienziato, perché prende un fatto e fornisce del fatto l’interpretazione corretta, perché io posso avere tutti i fatti che voglio, però, se non li interpreto correttamente non servono a nulla. Se vedo che l’acqua bolle a cento gradi e dico che è Dio che lo vuole, questa oggi sarebbe considerata un’interpretazione errata di un fatto; ma siamo capaci di dimostrarlo? No, non siamo capaci. Semplicemente, la dimostrazione che la scienza ha inventata è diventata il luogo comune. Dunque, Agostino deve convincere soprattutto gli eretici che la sua interpretazione è quella giusta, perché non ce n’è un’altra possibile. E, infatti, dice qui, Primo libro 2,4. Tra l’altro è interessante, rispetto al discorso che facevamo prima, perché anche nella pittura e nell’architettura accade questo fenomeno. Pensate alla pittura del Medioevo, dell’Alto medioevo: sono tutte immagini statiche, immobili, contemplative, dove praticamente non c’è movimento. Ne parla Beierwaltes in un suo articolo: il romanico tende a essere basso, lineare, porta a chinare il capo, porta alla contemplazione, all’estasi, alla penitenza; il gotico, che nasce grosso modo nel Rinascimento, invece spicca il volo verso l’alto. Ha una funzione anagogica, cioè spinge il fedele a guardare verso l’alto e non più a guardare contrito verso il basso, ma guardare verso l’alto, cioè, rivolgersi a Dio, guardare verso l’assoluto. È stato il primo tentativo di togliersi di dosso la sottomissione, che in qualche modo era ancora presente nel romanico. Adesso, io forzo un po’ le cose, però... Mentre con il gotico queste guglie, che svettano verso l’alto, già portano il movimento. E poi sono gli anni della scultura di Michelangelo, corpi in movimento. Anche nella pittura, incominciano le pitture di movimento, le grandi battaglie, ecc., non è più l’immagine statica contemplativa, quasi estatica. Anche questo fa parte di questo movimento, che è sempre metafisico, naturalmente, che però modifica i riferimenti, dalla missione totale della fede nel romanico, nelle immagini, immobili, estatiche, ecc., al gotico, che si innalza verso Dio e che nella pittura segue quasi quel movimento con le battaglie, con le grandi scene epiche, ecc. Siamo al Primo libro 2,4. Qui se la prende con gli eretici. Per questo motivo, con l’aiuto del Signore nostro, prenderemo la parola per spiegare, per quanto possiamo, come ci chiedono anche i nostri avversari, in qual modo la Trinità sia uno solo, unico e vero Dio e come sia pienamente esatto dire, credere e pensare che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono di un’unica e medesima sostanza o essenza, in modo che gli avversari non abbiano a pensare di essere tratti in inganno dai nostri giri di parole, ma sperimentino direttamente che quel bene sommo che si manifesta solo agli spiriti pienamente purificati, esiste e non può essere da loro conosciuto e compreso, perché il debole acume dello spirito umano non può penetrare in quella luce tanto sublime, se non si alimenta e rinvigorisce con la giustizia della fede. Ecco qui la fede: è lei che consenta di avvicinarsi a Dio. Ma occorre per prima cosa dimostrare, fondandosi sull’autorità delle Sacre Scritture, se tale è l’insegnamento della fede. Solo in un secondo tempo, se Dio vorrà e ci verrà in aiuto, aiuteremo forse codesti loquaci ragionatori, più arroganti che competenti e proprio per questo colpiti da un morbo tanto più grave, a trovare qualcosa di cui non possano dubitare e a incolpare così la propria intelligenza in quello che non sono riusciti a trovare, invece che incolpare la verità stessa o le nostre spiegazioni. Questo è proprio plotiniano: se non capisci è colpa tua. Se rimane loro un minimo di amore e di timore di Dio, per questa via ritornino alla fede come principio e metodo di conoscenza, ormai convinti di quale rimedio di salvezza abbiano i fedeli nella santa Chiesa: una pietà guardinga risana la nostra debole intelligenza perché sia in grado di apprendere la verità immutabile e non precipiti in dannosi errori per una temerarietà sconsiderata. Da parte mia poi se mi troverò nel dubbio non esiterò a cercare né, se mi troverò nell’errore, mi vergognerò di apprendere. Qui ha esposto praticamente il progetto del De Trinitate, e cioè prendere i testi degli apostoli e fornire una corretta interpretazione. Chi garantisce della corretta interruzione? La fede. Se io ho fede in Dio, Dio non può mentire perché non è un infingardo, non è un mentitore. Quindi, ciò che vuole stabilire è una verità immutabile attraverso la corretta interpretazione dei fatti, e i fatti sono i detti degli apostoli e della Bibbia. 4, 7. Tutti gli interpreti cattolici dei libri sacri dell’Antico Testamento e del Nuovo che hanno scritto prima di me sulla Trinità di Dio e che io ho potuto leggere, questo intesero insegnare secondo le Scritture: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, con la loro assoluta parità in una sola e medesima sostanza mostrano l’unità divina e pertanto non sono tra dei... Ecco perché sono nella stessa sostanza. Se sono tre sostanze diverse sono dèi diversi; invece, no, sono la stessa sostanza, consustanziali. …benché il Padre abbia generato il Figlio e quindi non sia Figlio colui che è Padre… Le cose si mescolano e si rimescolano, rigettando con vigore il detto di Eraclito ἒν πάντα εἰναι, dove invece l’uno è i molti; quindi, ciascuna cosa è tutte le cose e non il tutto, come voleva Diels. …benché il Figlio sia stato generato dal padre e quindi non sia Padre... Insiste tantissimo su questo aspetto, che è fondamentale per tutta la teologia. …benché lo Spirito Santo non sia né Padre né Figlio, ma solo lo Spirito del Padre e del Figlio, pari anch’egli al Padre e al Figlio, appartenente con essa l’unità della Trinità. Cioè, la Trinità è l’Uno. È Plotino, né più né meno. E, poi, Padre, Figlio e Spirito. Certo, in Plotino l’intelletto, l’anima e la materia. Non è direttamente riconducibile alla teologia trinitaria, però, dà un’impostazione, nel senso che dice che il tre deve rimanere se vogliamo che dall’Uno si generi l’intelletto o dal Padre si generi il Figlio. L’Uno deve rimanere e deve rimanere intatto. Infatti, la Trinità è una; anche l’articolo suggerisce il singolare: è la Trinità, non le Trinità. Dunque, la Trinità, che è una, è la parte più importante, nel senso che Padre, Figlio e Spirito sono i molti rispetto alla Trinità, sono i governati, i gestiti dalla Trinità, cioè, questi tre elementi, Padre, Figlio e Spirito, sono la Trinità. Potremmo dirla così, la Trinità è la condizione per mantenere intatta la metafisica. Grazie alla Trinità possiamo continuare a pensare che ci siano tre elementi, che sono esattamente quelli che sono e non mutano, e non mutano perché comunque c’è il riferimento all’idea di Platone. Non devono mutare, cioè, il Figlio non può mai essere il Padre, il Padre non può mai essere lo Spirito Santo. Se queste figure si intrecciassero fra loro, se non fossero più distinte, allora ciascuna non sarebbe più l’assoluto, non sarebbe più assolutamente ciò che è. Non essendo l’assoluto non è Dio, che sarebbe in relazione ad altro, cioè, dipenderebbe da qualche cos’altro. Prendete per esempio Aristotele, nella Fisica, quando parla dell’entelechia: δύναμις e ἐνέργεια, certo, sono distinte, ma non c’è l’una senza l’altra, nel senso che la potenza esige l’atto e l’atto esige la potenza, non si possono separare in nessun modo. Quindi, parlare di atto è simultaneamente parlare di potenza perché non c’è l’uno senza l’altro, sono due momenti dello stesso. Soltanto se noi li poniamo come distinti, allora ciascuno di questi rimane assoluto cioè, rimane Dio; altrimenti, potremmo dire che la potenza è l’atto, e l’atto è la potenza, come dire che il Padre è il Figlio e il Figlio è il Padre. Cosa che per Agostino è un’eresia.
Intervento: Come dicevamo forse l’altra volta, c’è l’esigenza di governare i molti sì e di fermare il movimento.
Sì, ha questa funzione. La Trinità rappresenta i molti trasformati definitivamente in ipostasi, in universale. Il movimento è una cosa che non va bene, perché il movimento è mutazione, e la Trinità non muta, è identica a sé, già prima dell’eternità. Quindi, non può che insistere, come fa continuamente, su questo aspetto. Perché allora in quel periodo c’erano molte eresie e alcuni pensavano che fossero tre dèi. Invece, no, non sono tre dèi, sono la Trinità. È chiaro che la teologia Trinitaria è questo tentativo di risolvere il problema dell’uno e dei molti, fondamentale per la teologia perché, se nell’Uno, cioè nel Dio, continuano a permanere i molti, allora Dio non è l’assoluto e se non è l’assoluto non è Dio. Quindi, era un problema che andava risolto. 6,9. Chi disse che il signore Dio nostro Gesù Cristo non è Dio o non è vero Dio, o non è l’unico e solo Dio con il Padre, o non è veramente immortale perché mutevole… Quindi, non assoluto. …fu convinto d’errore dalla evidentissima e unanime testimonianza delle Scritture dove leggiamo: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. È chiaro che nel verbo di Dio noi riconosciamo il figlio unico di Dio, del quale Giovanni dice più avanti: E il verbo si fece carne ed abitò fra noi, perché si è incarnato nascendo nel tempo dalla Vergine. In questo passo Giovanni afferma non soltanto che il Verbo è Dio… Sarebbe il Figlio, ma è Dio anche lui, perché sono tutti Dio, Dio è uno. …ma anche che è consustanziale al Padre perché, dopo aver detto: E il verbo era Dio, aggiunge: Questi era in principio presso Dio e tutte le cose per mezzo di lui furono fatte, e niente fu fatto senza di lui. L’operazione di Agostino, come dicevo all’inizio, è quella di Filone con la Bibbia, che è piena di contraddizioni, dove si dice tutto e il contrario di tutto. Qui, invece, i fatti i sono gli atti degli Apostoli, poi in fondo, quello che dice Giovanni, quello che dice Paolo, quello che dice Matteo, Luca, ecc.: questo è il fatto che deve essere correttamente interpretato. È un procedimento scientifico: il fatto è un dato e poi bisogna interpretarlo correttamente. E poiché quando dice… Prende tutte queste cose e poi dà a ciascuno di queste l’interpretazione corretta. Qui l’interpretazione corretta è quella che conferma che Dio è uno e trino, ovviamente. Come avviene nella scienza: accade un certo fatto, questo fatto viene interpretato in base alle conoscenze che si hanno, quindi, ricondotto alle conoscenze già presenti. E poiché quando dice: tutte le cose, intende significare tutte le cose che furono fatte, ossia tutte le creature, si può con certezza affermare che non è stato fatto Colui per mezzo del quale furono fatte tutte le cose. Cioè, con certezza possiamo affermare che non è stato fatto colui che invece ha fatto tutte le cose. Uno potrebbe chiedere: perché? E se non è stato fatto… Qui è già acquisito che non è stato fatto. Cioè, è questa la dimostrazione: se lui ha fatto tutto, vuole dire che lui stesso non è stato fatto da altro. …e se non è stato fatto, non è creatura; se non è creatura, è consustanziale al Padre. Infatti, ogni sostanza che non è Dio è creatura, e quella che non è creatura è Dio. Ma se il Figlio non è della medesima sostanza del Padre, evidentemente è una sostanza creata; ma se è tale, non tutte le cose furono fatte per mezzo di lui. Se però ogni cosa per mezzo di lui fu fatta, allora egli è una sola e medesima sostanza con il Padre. Questo è lo schema dell’argomentazione di Agostino. 6.10. Nemmeno se l’apostolo Paolo avesse scritto: “Nei tempi stabiliti si manifesterà il Padre, beato e solo sovrano, Re dei re, Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità”, dovremmo escludere il Figlio. Infatti, il Figlio, dicendo in veste di Sapienza (egli è infatti la Sapienza di Dio): Da sola ho percorso la volta del cielo, non ha escluso il Padre. Tutto ciò che dice il Figlio non esclude il Padre, come il Padre non esclude il Figlio. Verrebbe da dire: sì, ma neanche lo conferma. Quanto meno è dunque necessario intendere come dette solo del Padre e non anche del Figlio le parole: Il solo che possiede l’immortalità, parole che fanno parte del seguente passo: Osserva questi precetti senza macchia e senza rimprovero, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo che nei tempi stabiliti sarà manifestato dal beato ed unico sovrano, Re dei re, il Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità ed abita in una luce inaccessibile, che nessun uomo ha visto né mai può vedere. In questo passo non si nomina propriamente né il Padre, né il Figlio, né lo Spirito Santo, ma il beato e unico sovrano, Re dei re, il Signore dei signori, l’unico e vero Dio, la Trinità. E questo dimostra che la Trinità è una.