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22-7-2015

 

Questo brevissimo scritto di Giovanni Gentile si chiama “L’atto del pensare come atto puro”, scritto negli anni 30:

Non c’è ricerca filosofica o scientifica, non c’è pensiero di nessuna sorta senza la fede del pensiero in se stesso (come dire che ciascuno si fida di quello che pensa, in altri termini ancora, ciascuno immagina che ciò che pensa sia vero, perché se no non lo penserebbe) senza il convincimento spontaneo e incrollabile di pensare la verità. Lo scettico che crede di tagliare alla radice questa fede quando sospende l’assenso come il solo partito ragionevole che resti al suo pensiero, si ferma nella certezza inconcussa di questa ragionevolezza della sua sospensione e vive poiché continua a pensare della fede in questo suo ritroso e vuoto pensiero. Il pensiero di cui si afferma la verità per la considerazione precedente (cioè per il fatto che quando uno pensa, pensa di stare pensando qualcosa di vero, il solo pensiero di cui si possa affermare la verità: sta dicendo che soltanto il pensiero nell’atto in cui lo si pensa, soltanto di questo si può affermare la verità perché in effetti per ciascuno mentre lo sta pensando, per il solo fatto di pensarlo lo reputa vero) poiché infatti è il solo pensiero che realmente sia pensiero non è il pensiero astratto ma il pensiero concreto, (cioè il pensiero concreto è quello che si pensa, che si sta pensando, il pensiero pensante) e la difficoltà che nasconde ordinariamente alla coscienza del filosofo l’ovvia verità enunciata di sopra (che è sempre la stessa di prima) consiste nel cercare il pensiero nel pensiero astratto invece che nel pensiero concreto, quando diciamo per esempio “pensiero” il pensiero altrui o il pensiero nostro già pensato, ossia in ambo i casi non propriamente il pensiero reale ma il solo oggetto del pensiero nella sua astratta oggettività. (incomincia a distinguere, perché per lui si tratta essenzialmente della differenza tra il pensiero pensante, che si pensa, e il pensiero pensato, per lui è soltanto il pensiero pensante l’Essere, la verità è lì, il pensiero pensato è l’errore, ma adesso vediamo perché) Ho detto “astratta oggettività” rispetto al pensiero pensato (quindi qualcosa che è già stato detto) e intendo che l’oggettività attribuita in tal caso al pensiero come oggetto del nostro pensiero non è a sua volta la concreta oggettività che di fatto gli si conferisce affermandolo cioè pensandolo, (quindi se io penso il pensato c’è una parte che è concreta perché lo sto pensando adesso, e c’è una parte astratta che invece riguarda il pensato che è come se fosse fuori di me) un pensiero altrui pur volendolo pensare come altrui, non possiamo pensarlo se non pensandolo come pensiero intendendolo, ossia scorgendone e riconoscendone il valore, e in altri termini magari provvisoriamente consentendogli e facendolo nostro, un pensiero nostro ma già pensato non si ripensa se non in quanto si rivive nel pensiero attuale (se io voglio ricordarmi di vivificare un ricordo non riprendo quella cosa, quell’oggetto astratto, ma sto pensando “attualmente” a qualche cosa, che è esattamente quello che diceva Freud) e cioè solo in quanto esso non è pensiero di una volta distinto dal pensiero presente ma lo stesso pensiero attuale (almeno provvisoriamente, finché lo penso, poi non lo penso più) sicché pensare un pensiero o porre il pensiero oggettivamente è realizzarlo ossia negarlo nella sua astratta oggettività per affermarlo in una oggettività concreta che non è di là dal soggetto poiché è in virtù dell’atto di questo (cioè questo pensiero concreto è il pensiero della persona che sta pensando). Questo è un primo momento del pensare il pensiero altrui o nostro e non più nostro passato, se questo momento non fosse mai superato il pensiero altrui sarebbe soltanto nostro e il pensiero passato sarebbe soltanto presente, non conosceremmo se non il pensiero nostro attuale, al primo momento ne tien dietro un altro e si dirà appresso perché, qui basta avvertire che questo secondo momento reso possibile dal primo si annulla l’attualità del pensiero altrui o nostro e non più nostro, l’annulla in un nuovo atto di pensiero per cui l’oggettività nuova quella vera o oggettività conferita a codesto pensiero che il nostro pensiero espelle da sé e considera pertanto come oggettivo, è realizzata in funzione di un nuovo pensiero, nostro e attuale ed è un membro organico dell’unità immanente di questo (se io penso qualche cosa che ho pensato prima, il fatto di ripensarlo mi riconduce a qualcosa di concreto anche se prendo spunto da qualcosa di astratto perché il “pensato” non c’è più, tuttavia se lo penso il pensiero che sto pensando è concreto, è attuale, è adesso. Il primo momento è il pensiero pensante, il secondo momento il pensiero pensato, però ci vuole anche questo dice) quello dunque che si dice pensiero d’altri o nostro in passato, è in primo momento il pensiero attuale e in un secondo momento una parte del nostro pensiero attuale, parte inscindibile dal tutto cui appartiene e reale perciò nell’unità del tutto stesso, e però “il solo pensiero concreto è il pensiero nostro attuale” e poiché il pensiero nostro non attuale non è più nostro (anche questo è interessante rispetto alle considerazioni che verranno fatte in quegli anni da Freud, ma anche dopo da Lacan e da altri) salvo a vedere a suo luogo il significato di questo “noi”, soggetto del nuovo pensiero. E si può dire ugualmente che il solo pensiero concreto è qui pensiero assolutamente attuale, poiché il pensiero non nostro non è attuale pensiero (sta dicendo che ciò che io ho pensato non mi appartiene più, non è più mio, il mio pensiero è soltanto quello che sto pensando adesso. Il passaggio dal primo al secondo dei momenti, cioè dal pensiero concreto attuale al pensiero astratto quello pensato, sarebbe la differenza che faceva anche Lacan tra “enunciazione” ed “enunciato”. L’enunciazione è il luogo della verità, è lì che si produce la verità, l’enunciato è invece qualche cosa di costruito, che è passato e presunto immobile) secondo importa in conseguenza della precedente considerazione la svalutazione del pensiero come pensiero ossia l’affermazione che quello che abbiamo pensato nel primo momento non è pensiero giacché non è pensiero concreto, non è pensiero assolutamente nostro (c’è qui un movimento che poi riprenderà tra il pensiero attuale e il pensiero astratto, concreto/astratto, perché mentre sto pensando di fatto è il pensiero concreto, quello attuale, però appena lo ripenso, ma anche già mentre lo sto pensando si modifica e cioè a questo punto non è più pensiero concreto ma è già un pensare il pensato, penso già un’altra cosa) il passaggio tra il primo e il secondo momento è il passaggio dal pensiero alla natura, la natura dunque considerata nella sua concreta realtà è il pensiero che il pensiero comincia a pensare come altro da sé ovvero il pensiero fissato nella sua astrattezza, la natura è astratta solo il pensiero è concreto. Il pensiero assolutamente nostro o assolutamente attuale è vero appunto perché nostro o attuale (qui certo occorrerebbe riflettere bene, lui dice che è vero perché è mio, perché lo sto pensando, è chiaro che qui occorre avere un criterio di verità particolare, infatti ne parlerà dopo, non usa il criterio di verità anzi lo critica, quello della logica, perché si riferisce sempre a un pensiero astratto, non un pensiero attuale. Per Gentile essendo un idealista, l’Uomo è il pensiero e il pensiero è l’atto puro del pensiero, questo è l’Essere per l’idealismo, anche per Hegel, Schelling soprattutto, è dunque qualche cosa che accade nel momento in cui io penso e lì avviene tutto praticamente, è l’unica cosa di cui possiamo dire con certezza che è vero, che sto pensando “cogito ergo sum” che poi riprende breve) L’errore, dice invece, è del pensiero impensabile e di ciò che altri pensa e che noi non possiamo pensare o che pensammo già noi ma ora non riusciamo più a pensare (si potrebbe mettere tra parentesi “non più come prima”, qualunque cosa io ripensi non la penserò più come prima, sarebbe stato interessante chiedergli come fa a saperlo, ma questo è un altro discorso) Quello che attualmente pensiamo, se lo pensiamo, lo pensiamo come verità (qui sta tutta la questione dell’idealismo e della verità dell’Essere nell’idealismo, cioè se lo pensiamo lo pensiamo come verità, non possiamo non pensarlo se non come verità qualunque cosa sia, anche la peggiore idiozia, se la penso la penso in quanto verità) pensiamo bensì l’errore come errore, ma pensando che è errore e pensando così il vero, e l’errore non è un attributo accidentale del pensiero altrui o non più nostro anzi necessario, se questo pensiero non attuale lo diciamo “natura” al motto del naturalismo “natura sive deus” “natura o dio” bisogna sostituire il motto idealistico “natura sive error” “natura o errore” (natura come errore) giacché codesto pensiero non è attuale perché vien superato come si è veduto prima cioè perché noi dopo averlo pensato non lo possiamo più pensare per continuare a vivere in quanto esseri pensanti dobbiamo pensar altro. Ora ciò che non si può più pensare dopo essersi pensato è appunto l’errore, l’errore dunque è astratto, soltanto la verità è concreta (se la verità sta nel fatto che io sto pensando qualcosa e ciò che penso lo penso necessariamente vero, è ovvio che tutto ciò che non è questo è l’errore. Poi c’è il capitoletto “Il principio di identità e la legge dialettica”). Se l’errore è il pensiero che non si può pensare, il vero è il pensiero che non si può non pensare (qual è il pensiero che non posso non pensare? Quello che sto pensando) due necessità che sono una sola necessità “verum norma sui falsi” “il vero è la norma di se stesso e del falso”. Il pensiero intanto si pensa in quanto si pensa necessariamente, che è come dire in quanto pensiamo di non poter pensare altrimenti, ogni atto di pensiero (qui c’è tutto l’idealismo) è esclusione di un altro atto di pensiero (non posso pensare due cose simultanee, o penso l’una o penso l’altra, cioè posso pensare l’una e dopo quell’altra, ma simultaneamente è un problema) “omnes determinatio est negatio” “ogni determinazione è una negazione di ciò che è altro di quella determinazione” (qui ci vedete anche Severino e dopo sarà ancora più evidente) e però solo accorgendomi di un errore e però liberandomene io conosco la verità cioè penso, in questo nodo vitale che lega all’errore astratto la verità concreta è la radice del pensiero e la legge fondamentale della logica cioè penso dunque il mio pensiero è la verità, però soltanto accorgendomi di un errore io posso conoscere una verità cioè penso questa verità, (dice “omnes determinatio est negatio” ogni volta che determino qualche cosa cioè penso qualche cosa questo pensiero esclude un altro pensiero, che non è pensato, questo che viene escluso ovviamente e se ciò che penso è la verità ciò che è escluso, è escluso dalla verità e quindi è errore) La necessità espressa dalla vecchia logica di identità è una necessità astratta, come astratto era il pensiero o la verità a cui quella logica mirava avvolgendosi in un labirinto di contraddizioni, il principio di identità o di contraddizione A = A enuncia una necessità relativa a quello che si è detto pensiero astratto cioè alla natura (non è il pensiero pensante che pone A = A sta dicendo, ma il pensiero astratto, quello per esempio della logica formale che scrive A = A che sta pensando cose pensate quindi errori) che per definizione è la negazione del pensiero e non può ammettere perciò in sé legge logica di sorta, (se è la negazione del pensiero, se nego il pensiero nego anche la logica che fa parte del pensiero) A = A è la legge dell’errore nella sua astrattezza e però, checché si pensasse secondo tal legge, sarebbe per ciò stesso errore infatti non c’è pensiero che si risolva in A = A (questo è fine, perché il pensiero pensante non si risolve in una identità, cioè non pensa A = A, non pensa una cosa in quanto se stessa, la pensa sempre, per Gentile, la pensa sempre in movimento. Pensare A = A sarebbe come fermare questo movimento, tra breve sarà più chiaro) La necessità logica è del reale o concreto processo del pensiero il quale schematicamente potrebbe formularsi A = non A, (perché il pensiero che pensa qualche cosa di identico non può porsi come uguale a se stesso perché ponendosi come uguale a se stesso si pone come uguale a qualcosa di già pensato, che non è più il pensiero attuale)infatti ogni atto di pensiero è negazione di un atto di pensiero, (perché ogni atto di pensiero esclude ogni altro pensiero quindi nega un altro atto di pensiero) un presente in cui muore il passato, mentre penso ciò che è già passato scompare nel nulla e quindi è unità di questi due momenti (nell’idealismo di Gentile la dialettica avviene in questi due momenti e cioè tra il pensiero pensante, che nell’atto in cui accade annulla il pensiero pensato, il pensiero pensato scompare, scompare nel senso che non è più quello ma ricompare in quanto pensiero astratto, perché penso, ripenso a quello che ho pensato, per questo dice che il principio di identità A = A è l’errore nella logica tradizionale, perché A è il pensiero concreto e se lo pongo come uguale a se stesso lo pongo come uguale a qualche cosa che è già stato pensato) la verità non è dell’Essere che è ma dell’Essere che si annulla ed annullandosi è realmente (qui c’è tutto il pensiero idealistico, cioè il fatto che la verità esiste in questo movimento dialettico in cui ciò che è adesso annulla ciò che era prima necessariamente, è continuamente preso in questo movimento) proposizione impensabile finché per pensiero si prende il pensiero astratto dove l’Essere fissatosi non può che essere (nella filosofia tradizionale) ma proposizioni viceversa che non si può non pensare quando per pensiero si intende il pensiero concreto, pensiero assolutamente attuale onde la verità del concetto del divenire non si può cogliere se non rispetto a quel divenire vero che è il pensare, e cioè la dialettica (la dialettica è il pensiero vero, il pensiero che pensandosi annulla il pensiero pensato, questo è il movimento dialettico) il principio di identità deve essere sostituito non dunque da quello egualmente astratto del divenire puro e semplice, ma dal principio della dialettica o del pensiero come attività che si pone negandosi, se io penso sto negando ciò che non sto pensando, principio che non è poi l’abolizione di quello di identità anzi il suo inveramento poiché la dialettica non nega la verità della verità ma la fissità della verità (sta dicendo che l’idealismo cioè “ io” è Gentile che parla, “io non sto negando la verità, la verità è la verità, ma non è la verità quella fissa, immobile ma è la verità che procede dalla dialettica” in questo senso è verità, infatti dice) poiché la dialettica non nega la verità della verità ma la fissità della verità e afferma quindi “la verità è se stessa ma nel suo movimento” (quindi è se stessa ma nel suo movimento, qui c’è Severino per esempio, nel linguaggio c’è un continuo spostarsi di significati che rinviano a altri significati che rinviano a altri significati, quindi dove sta qui l’eterno? L’eterno diceva Severino sta in ogni significato, ciascuno di questi significati è eterno) Il pensiero assolutamente attuale è universale per sua stessa necessità, l’universalità platonica aristotelica, parallela all’identità di ogni concetto con se stesso (ché l’universale è ‘identità del concetto con sé,) quella voluta dai realisti e combattuta dai nominalisti è astratta universalità perché universalità del pensiero astratto (perché pensa un qualche cosa che non è più il pensiero concreto ma pensa qualche altra cosa che è già stata pensato o al pensiero altrui, il pensiero altrui potete pensarlo come una teoria, per esempio Platone, Aristotele quello che vi pare) non si può parlare dell’universalità del concetto di “uomo” di “animale” di “triangolo” (come voleva Platone di “numero” eccetera perché non vi sono questi concetti né in cielo né in terra bensì il pensiero che pensa questi concetti, questo sì che c’è, non c’è il concetto di triangolo da qualche parte ma il pensiero che lo pensa, questa è la verità, questo è l’Essere propriamente per Gentile) il pensiero di questi concetti non può essere il pensiero in generale il pensiero divino se il solo pensiero concreto è il pensiero assolutamente nostro (dice però questo pensiero universale non può essere un pensiero generale perché è il mio pensiero, il pensiero attuale è quello che io sto pensando in questo istante) la sola universalità pensabile è dunque quella del nostro atto di pensiero, atto che è universale in quanto necessario (perché se sto pensando non posso non stare pensando) si pone come pensiero non di un pensante particolare, dal quale possano divergere altri pensanti anch’essi particolari, sibbene come pensiero di chi pensa per tutti (questa è l’universalità del pensiero pensante, sarebbe come un pensiero che non può non essere pensato, qui cita Galilei vi leggo solo l’ultima cosa che potrebbe essere un po’ esplicativa, dice che l’intelletto umano ne intende alcune e altre no) però tale sono le scienze matematiche pure cioè la geometria, l’aritmetica delle quali l’intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più, che è piuttosto negazione di pensiero perché le sa tutte, ma di quelle poche intese dall’intelletto umano, credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprendere la necessità sopra la quale non pare che possa essere sicurezza maggiore (Galilei, dice, “dio le conoscerà tutte, noi ne conosciamo poche, ma di queste poche ne conosciamo con l’assoluta certezza che ha lui). E si deve dire invece (qui è di nuovo Gentile che parla) che non solamente le matematiche pure ma ogni nostro pensiero che siano le più futili inezie, nell’atto che si pensa, è reale. (Per Gentile è l’unico reale, l’unica realtà è il pensiero) Se il pensiero è nostro in quanto è universale (abbiamo visto che è universale perché se io lo penso è come se lo pensassi per tutti perché se è vero, è vero per ciascuno, non a caso ha fatto l’esempio di Galilei, se io penso che due + due fa quattro, adesso al di là delle obiezioni che possano farsi, questa certezza è ben misera cosa rispetto alle cose che sa dio, dio sa anche questa, ma questa la so come la sa lui, in questo senso è universale) se gli altri o l’altro non sono se non in funzione di un’astrattezza (se io penso il pensiero di un altro penso il pensiero astratto ovviamente) qual è il pensiero nella sua astratta oggettività il pensiero non esce dalla nostra individualità (sarà anche universale però rimane individuale appannaggio del singolo che se lo sta pensando per gli affari suoi, e allora avverte che c’è qualche problema) però la nostra individualità, se è nostra, perché intima a noi, o meglio perché intima presente a se stessa, è universale anzi l’universale concentrato e però fatto reale nell’uno della coscienza (cioè sta dicendo che il mio pensiero è, sì, universale in quanto lo penso, se è una verità è una verità e basta quindi è universale per forza, però dice questo parrebbe appartenere all’individuo, perché si tratta di una sorta di universale che è concentrato in me, in questo “Uno” della coscienza. È come se io fossi tutt’uno, come se io fossi la mia autocoscienza quindi sono tutt’uno con questa verità, a questo punto perdo l’individualità perché divento universale per il discorso che aveva fatto prima, perché il mio pensiero pensante è la verità, essendo una verità è universale, essendo io autocoscienza, essendo cioè questa verità a questo punto sono universale non sono più l’individuo che pensa una cosa che pare a lui

Intervento: però la verità che io penso ovviamente può essere diversa in un’altra persona … l’oggetto di verità potrebbe essere anche diverso …

Gentile le risponde così): Il “noi” soggetto del nostro pensiero non è “io” che ha di contro a sé il “non io” (l’altro, gli altri, che appunto sostiene un’altra cosa) e però non è l’io empirico quale apparisce all’osservazione psicologica, uno tra molti, ma l’io assoluto, l’ “uno” come io, il quale nega se stesso non solo come pensiero delle cose e di altri io, ma anche come pensiero di sé, empiricamente concepito come un io tra molti io o tra le cose, poiché un io siffatto è un particolare tra particolari e non più quindi quell’universale che è il vero io, codesto io particolare, il cui io nega se stesso e “deve” negare se stesso, è natura non pensiero, il vero idealismo non può essere dunque solipsista perché ha superato la posizione del solipsismo, concetto del mondo chiuso dentro l’ipse particolare, e come l’ho superato? L’ho superato semplicemente perché questo io pensante diventa io assoluto (cioè questa verità. Bisogna collegarsi a ciò di cui diceva prima se no non si intende: io pensante penso una verità che è assoluta, è eterna, come dirà tra poco, poi che qualcuno pensi un’altra cosa va benissimo, il suo pensiero pensante è un io assoluto, è una verità assoluta. Diceva prima rispetto al principio di identità e non contraddizione della logica tradizionale che lui scarta perché la logica tradizionale dice “io dico il vero, lui dice il vero” uno dei due dice il falso, sta mentendo”. No, sta dicendo invece Gentile, la logica di cui parla non è la logica tradizionale, è una logica che avviene nel pensiero pensante la cui unica negazione è ciò che non sta pensando, cioè è un altro modo di vedere le cose differente dalla logica comune) Il pensiero nella sua attualità, o come io universale contiene e però supera non solo la spazialità della pura natura ma anche la temporalità del puro accadere naturale, il pensiero è di là dal tempo eterno, pensiero che è un qualche cosa che in quanto se stesso è eterno. Il tempo infatti è forma di ciò che pensiamo e però del pensiero come pensato nella sua astratta oggettività (quando sto pensando il tempo è come se fosse tutto racchiuso in ciò che sto pensando, sta dicendo lui) quando quel che pensiamo lo guardiamo nell’atto del pensarlo tutti i punti del tempo distinti e successivi si fondono e contraggono in un punto unico e immoltiplicabile, un esempio, per leggere un libro ci vorrà ore e ore di cui la prima avrà fuori di sé la seconda, questa avrà fuori di sé la terza e così via e viceversa ma chi giunto in fondo non pensi il libro tutto insieme tenendolo tutto presente non intende, non pensa quel libro (questo è l’esempio che fa per far intendere come pensa lui il tempo) e quel che è della totalità esaurita la serie del tempo, è di ogni parte appunto corrispondente del tempo (cioè tutti i punti del tempo sono lì, è un po’ come l’idea del Tutto di Severino, tutti gli elementi, tutti gli apparire sono nel tutto) dove che si consideri il pensiero di quello che è in quanto pensiero tutto a un tratto, tutto compresente nell’istante unico, e però l’istante del pensiero non è un istante tra gli istanti, non è nel tempo, non ha un prima né un dopo ma è eterno (ecco da dove viene il concetto, almeno in parte, di “eterno” di Severino) e però ogni atto di pensiero in tutte le sue forme assolute “sistema filosofico, poema, intuizione lampeggiante fugace” si realizza come qualcosa di eterno, il cui valore non è nato e non morrà. (Questo pensiero pensante è il Tutto, è l’Essere il pensiero pensante, cioè quello che sto pensando attualmente, adesso è l’Essere, è il Tutto ed è eterno, non ha un prima e un dopo, ciò che è prima e ciò che è dopo non c’è, è nulla. Non è propriamente l’accezione di Severino, lui la elabora e l’articola in modo diverso, infatti Severino non è del tutto d’accordo con Gentile, l’avrete già inteso, perché per Gentile la dialettica è il divenire fondamentale, per Severino no,

Intervento: il divenire, se non c’è il tempo che divenire è?

Per quando riguarda ciò che appare sì, ma per quanto riguarda l’astratto cioè il Tutto, la verità dell’Essere, lì non c’è il tempo perché è tutto compresente) La natura molteplice e meccanica appunto perché è astratta, (perché è qualcosa di pensato) è una realtà oggetto di una scienza astratta scienza particolare, non della scienza concreta (che per Gentile è la filosofia) è la soluzione di tutte le antinomie della ragione additata da Kant e subito trovata appena si avverta l’astrattezza della natura o del mondo guardato nella sua pura oggettività, questo mondo del tempo e dello spazio è necessariamente finito perché è necessariamente particolare, non contiene nessun elemento semplice perché la sua legge è la molteplicità, molteplicità che sarebbe disperata poiché il numero postula come suo elemento l’unità, se l’unità nel regno del molteplice dovesse essere un’unità assoluta anziché una unità provvisoria e quindi arbitraria, come può essere appunto la determinazione del particolare che rimanda la difficoltà al concetto di un altro particolare (sta dicendo che tutte le antinomie sorgono dall’idea di molteplicità, cioè dal seguirsi delle cose, lui sostiene l’Uno, l’Uno sarebbe per farvi un esempio, l’eterno di cui parla Severino. Questo “Uno” è necessario anche nell’idea del molteplice solo che poi il molteplice si scontra con questo uno, che non riesce bene a gestire perché vorrebbe che fosse parte del molteplice, invece non lo è, è la condizione del molteplice) Così la serie della cause in un sistema meccanico, non filosofico, ha bensì un principio che rende possibile il determinismo, ma questo principio non è assoluto perché è relativo a una realtà particolare che ne ha sempre un’altra dietro e accanto a sé, e infine nel mondo non c’è niente di necessario perché tutto è particolare, e quindi tutto è condizionato, lo sforzo logico che contrappone a ciascuna tesi la sua antitesi superi l’astrattezza del mondo kantiano e troverà quella realtà concreta cui spetta appunto essa antitesi, passi dal mondo dei fatti che sono molti e nient’altro che molti di una molteplicità in sé contraddittoria, appena si voglia pensarla assolutamente al mondo dell’atto che è uno come radice dei molti (ecco qui c’è Severino, l’Uno come radice dei molti, l’eterno, il tutto come radice dei molti delle cose che appaiono) l’atto se non deve convertirsi in un fatto, se deve cogliersi nella sua natura attuale di puro atto non può essere che pensiero, il fatto è la negazione del pensiero onde lo stesso pensiero si crea il suo altro la natura (la natura è prodotta dal pensiero) appena dall’atto si scende al fatto si è fuori del pensiero nel mondo della natura, non ci sono fatti spirituali ma atti, anzi non c’è se non l’atto dello spirito, il quale non patisce in sé opposizione di sorta (perché è identico a sé ovviamente, è quell’atto di pensiero che è la verità, perché ciascuno pensando qualcosa la pensa vera) la volontà di contro al pensiero non può essere che altro dal pensiero, pensiero essa stessa non come atto ma come fatto di già pensato e divenuto quindi natura. // Se oltre a questo atto dal pensiero che è il pensiero passato, logicamente, non cronologicamente passato più o meno remoto, si ponesse un altro originariamente opposto al pensiero questo verrebbe a spogliarsi e eo ipso (per ciò stesso) di tutti i suoi attributi essenziali, dalla unità su su per tutti quelli già esposti fino alla verità. Cogito ergo sum, sum substantia cogitans, in mesum et per meconcipior; hoc estmei conceptus non indigetconceptu alterius rei,a quo formari debeat (penso dunque sono, sono sostanza pensante poiché sostanza sono un me, e attraverso me concepito, pensato, cioè il concetto di me non necessita di nessun altro concetto che venga da altro e dal quale debba essere formato) nulla insomma trascende il pensiero, il pensiero è assoluta immanenza. L’altra res fuori dal pensiero attuale non c’è. Fuori dal pensiero pensante non c’è nulla, questo sta dicendo, assolutamente nulla) Non c’è attualmente né potenzialmente, non c’è attualmente per la considerazione precedente, non c’è potenzialmente cioè come potenza di quell’atto che è il pensiero assolutamente nostro, ché la potenza è una categoria che può avere un significato per il mondo dei fatti, della natura, della generazione, corruzione non di quella dell’atto che è eterno. // L’atto dell’io è coscienza in quanto autocoscienza, l’oggetto dell’io è l’io stesso, (l’io pensante, si intende sempre) ogni processo conoscitivo è atto di autocoscienza, la quale non è astratta identità e immobilità anzi atto concreto, se fosse un che di identico, inerte avrebbe bisogno d’altro per muoversi (qui torniamo alla questione della dialettica cioè di questo movimento continuo) ma ciò annienterebbe la sua libertà (diceva prima citando Cartesio: il mio pensiero non esige, non ha bisogno di altro per pensarsi e dal quale altro debba essere formato, si forma da sé, e qui introdurrà tra un attimo il concetto di “autoctisi” dal greco “ατς”, da sé, e “κτσις” che è la creazione”. Ecco dice che se fosse identico, inerte avrebbe bisogno di altro per muoversi annienterebbe per questo la sua libertà) il movimento suo non è un “posterius” rispetto al suo essere (quindi c’è l’Essere, il pensiero pensante, e poi qualche altra cosa che lo muove, ma coincide con l’Essere) l’autocoscienza è lo stesso movimento o processo. Come processo originario o assoluto non ha bisogno di essere alterato, è intima alterità non essere ma essere si ripiega su se stesso negandosi perciò come Essere (se il pensiero in quanto pensiero pensante è l’Essere ovviamente si nega perché mentre si pensa già scompare, già è un altro pensiero pensante e quindi quell’altro è diventato pensiero pensato, quindi è l’Essere che per essere Essere deve negare se stesso, deve escludersi continuamente)

Intervento: qui la temporalità funziona, perché se no sarebbe sempre tutto fisso …

(Si è no, perché lui pone la questione dell’astratto cioè del pensiero pensato anche se non dice mai di fatto che avviene prima o dopo, semplicemente sono due enti, c’è il pensiero attuale, il pensiero pensante e il pensiero pensato, il pensiero pensato è tutto ciò che è escluso dal pensiero pensante quindi ponendola in questo modo possiamo anche aggirare la questione del tempo perché il pensiero pensato è tutto ciò che è escluso dal pensiero pensante, non è quello che c’è prima o c’è dopo, è soltanto un’esclusione, esclusione che per altro è quella che è responsabile del fatto che l’Essere per essere deve anche non essere) in quell’astrazione non è consentito fermarci come si è visto, appena lo spirito si ferma o apre si fermi la voce della logica è pronta a gridare “qual negligenza? Quale stare è questo? Bisogna muoversi entrare nel concreto nell’eterno processo del pensiero” e qui??? si muove circolarmente tornando su se stesso e però annientando se stesso come essere, qui è la sua vita, il suo divenire, il pensiero non c’è pura tesi né pura antitesi non essere e non, non essere, “non essere e non, non essere” ma la sintesi, quell’atto unico che siamo noi, il pensiero, l’Essere la tesi nella sua astrattezza è nulla (cioè il pensiero pensante senza tutto ciò che esclude è nulla, una parola fuori dal sistema linguistico è nulla) ma questo pensiero che è eterno non è mai preceduto dal proprio nulla (badate bene, non è che c’è il pensiero ma prima non c’era nulla perché non c’era il pensiero che è l’eterno) anzi questo nulla da esso è posto ed è perché nulla del pensiero il pensiero del nulla ossia pensiero cioè tutto (allora questo nulla lo si può pensare soltanto a partire dal pensiero pensante, è il pensiero pensante che pone il nulla fuori di sé, non esiste prima il nulla e poi il pensiero pensante, se no il pensiero pensante sarebbe produzione del nulla) non la tesi dunque rende possibile la sintesi, ma al contrario la sintesi rende possibile la tesi creandola con l’antitesi sua, ossia creando se stessa e però l’atto puro è autoctisi (cioè non è che la tesi rende possibile la sintesi, ma è la sintesi, è quando questo movimento coinvolge l’Essere e il non essere, usiamo questi termini, solo a questo punto è possibile la tesi cioè è possibile dire, quando c’è l’Essere e il non essere, è possibile dire l’Essere; soltanto quando la parola è inserita all’interno di un sistema linguistico può parlare di qualche cosa, se no non può parlare di niente, non è parola di nulla) il reale dunque è autoctisi “auto creazione”, il reale è un auto creazione perché è pensiero, pensiero è il primo albore della coscienza, ogni fatto psichico in quanto coscienza cioè in quanto atto, pensiero è tutta la coscienza fino alla filosofia é l’Essere é la coscienza dell’Essere è la vita e lo specchio della vita e cioè in conformità della essenza dell’atto puro autoctisi in generale. Essere in quanto coscienza dell’Essere (cioè l’Essere è la coscienza di sé, è questa la sintesi l’Essere che pensa se stesso, pensante se stesso, il pensiero che si pensa è l’Essere che è se stesso in quanto autocoscienza, in quanto sa di essere pensante.) e se il processo della realtà quella dialettica infinita ed eterna che è il pensiero e storia, la filosofia è storia e superamento della storia nel pensamento di essa. (Ecco, è tutto. Vedete che c’è uno sforzo da parte di Gentile di intendere qualche cosa che poi Severino elaborerà e articolerà ulteriormente, intendere contrariamente a ciò che ha sempre pensato la filosofia per esempio l’Essere e la verità come qualche cosa che è fuori dal pensiero, che se ne sta lì e bisogna soltanto andare a pescarlo e vedere quali sono le sue proprietà, vedere quando è vero, quando è falso, no, dice Gentile e anche Schelling in parte, la verità non può che essere nell’unica cosa concreta, reale che esista e cioè il pensiero pensante. Potremmo, tenendo conto dell’articolazione intorno alla struttura del linguaggio, dire che la parola che si dice è l’unica cosa concreta, nel linguaggio la parola, è l’unica concretezza di cui possiamo dire con certezza che stiamo parlando, Gentile dice “stiamo pensando”, non immaginava che per pensare occorreva una struttura che glielo consentisse, perché senza quella struttura non penso niente, sono come un vegetale, come una foglia di lattuga. È importante incominciare a cogliere qualche cosa di differente che riguarda il pensiero comune che immagina sempre che qu ci sia il mio pensiero e là l’oggetto del pensato, che è una posizione metafisica tutto sommato. Si tratta a questo punto di intendere che è come se tutto avvenisse qui e adesso, Gentile è preciso su questo, fuori dal pensiero concreto cioè pensante il nulla, anche se questo nulla non può non essere, perché il nulla è tutto ciò che non è pensato dal pensiero pensante, che è necessario perché il pensiero pensante pensi. Infatti la filosofia di Gentile è nota come “attualismo” l’atto di pensiero, ed è questa prossimità con ciò che la psicanalisi ha inteso negli o negli anni successivi, intendendo, dando importanza a ciò che avviene “qui e adesso” e rendendosi conto che anche il “pensiero pensato”, per usare le parole di Gentile, quando è pensiero pensato è pensiero attuale, perché lo sto pensando adesso, e questo poi è Freud. Tutto ciò che io ricordo è qualcosa che sto costruendo adesso, direbbe Gentile, lo sto creando adesso cioè esiste come astrattezza ma astrattezza in quanto non è mai concreto perché per essere concreto deve essere pensato adesso. Avrete sicuramente notato molte questioni che Severino ha riprese e articolate, l’“eterno” viene da qui, è ovvio che Severino non può accogliere in toto Gentile perché per lui comunque c’è questo movimento dell’Essere e del nulla, l’Essere che si annulla, viene dal nulla e si auto crea, il concetto di autoctisi sarebbe impensabile, auto creazione come? Se viene dal nulla allora siamo in pieno nichilismo, il nichilismo è questo qualcosa che viene dal nulla, poi appare e poi torna nel nulla …

Intervento: anche Gentile pone anche gli “eterni” e quindi come la pone la questione con il nichilismo? Questa questione del “divenire” per lui è un’altra cosa?

Quando sorge dal nulla è eterno cioè quando lo penso in quel momento è eterno, Gentile non parla del nichilismo però lo ha fatto Severino e qualche sua critica a Gentile lo dice, non parla di autoctisi ma è irrilevante. In Gentile c’è l’eterno, ma questo eterno è il prodotto della creazione così come la realtà, la realtà è un fenomeno di autoctisi, di auto creazione che viene creato dal pensiero che, nel momento in cui il pensiero pensante diventa pensiero pensato ecco che ha creato la realtà fuori di sé, immaginando che sia lì, senza rendersi conto che per poterne usufruire, creare per così dire deve pensarla di nuovo, trovandosi di nuovo in un altro eterno, un’altra verità. Intervento: mi sembrava che la nozione di “eterno” escludesse il nulla …

Per Severino sì, per Gentile no, è eterno nel momento in cui si auto crea, l’autocoscienza crea il pensiero, in quel momento è eterno, non c’era prima e non ci sarà dopo, è eterno, è adesso, è un processo che si auto crea, mentre per Severino come sappiamo è già lì, è già nel Tutto in questo astratto di cui parla e che è il tutto, la verità dell’Essere. Per Severino la creazione è il fondamento del nichilismo perché immagina che qualcosa venga dal nulla e torni nel nulla, se viene dal nulla e torna nel nulla allora l’Essere è anche non essere, se l’Essere è non Essere è una contraddizione insormontabile e cioè non è incontrovertibile perché si contraddice, o è Essere o è non Essere, per Severino è la follia.