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22 gennaio 2020

 

Fenomenologia dello spirito di G.W.F. Hegel

 

Siamo al Capitolo VIII, Il sapere assoluto. Lo spirito della religione disvelata non ha ancora oltrepassato la sua coscienza come tale; ovvero, ed è lo stesso, la sua autocoscienza effettuale non è l’oggetto della sua coscienza:… Cioè: rimane una cosa al di fuori. …egli stesso in generale e i momenti che in lui si distinguono cadono nella rappresentazione e nella forma dell’oggettività. Il contenuto della rappresentazione è lo spirito assoluto. Quel che resta ancora da fare è solo il superamento di questa mera forma; o meglio, appartenendo essa alla coscienza come tale, la sua verità deve essere già risultata nelle figurazioni della coscienza medesima. Questo lo diceva già rispetto alla religione: la religione coglie la questione dell’intero, ma non si accorge che questo intero è qui e adesso, e lo pone come un avvenire. A pag. 289. La cosa è Io, in effetto in questo giudizio infinito la cosa è tolta… Se sono io, non c’è più la cosa. …essa non è nulla in sé; essa ha significato soltanto in una relazione,… Questo è importantissimo. Il significato della cosa è perché è in una relazione con me, ed è questa relazione che importa, non più i due elementi. …cioè solo attraverso l’Io e attraverso il suo rapporto all’Io. Per la coscienza questo momento è resultato nella pura intellezione e nel rischiaramento. Le cose sono senz’altro utili, e sono da considerarsi soltanto secondo la loro utilità. Questo è interessante, e cioè che le cose vanno considerate soltanto in relazione alla loro utilità. Hegel non aveva tutti gli strumenti e i mezzi per intendere che la loro utilità è l’attuazione della volontà di potenza. Certo, le cose sono cose in quanto utili; anche linguisticamente ciascuna cosa è quella che è in quanto è utile per qualche cosa, è utile per il suo rinvio, come un significante è “utile” in quanto rinvia a un altro significante. L’utilità delle parole, del linguaggio in generale, sta nel fatto che consente l’esercizio della volontà di potenza, cioè consente di parlare, per dirla in modo semplice. L’autocoscienza coltivata, che ha percorso il mondo dello spirito estraniato, con la propria alienazione ha prodotto la cosa come se stessa;… L’autocoscienza, alla fine, si accorge di avere costruito la cosa in quanto se stessa. …perciò nella cosa conserva ancora se stessa e ne sa la dipendenza, o sa che essenzialmente la cosa è soltanto essere per altro;… Questo è il nucleo della volontà di potenza: ogni cosa è per altro. Essendo ogni cosa per altro, essendo quindi un continuo spostamento, ecco la necessità del superpotenziamento, cioè, di questa rincorsa senza fine. …o, per esporre in modo completo la relazione, vale a dire ciò che solo qui costituisce la natura dell’oggetto, la cosa vale all’autocoscienza come un per-sé-essente; essa enuncia la certezza sensibile come verità assoluta,… La certezza sensibile come verità assoluta: è quello che vedo. …ma questo esser-per-sé lo esprime come momento che altro non fa se non dileguare e passare nel suo contrario, nell’abbandonato essere per altro. Qui sta dicendo un’altra cosa notevole per quanto riguarda il linguaggio: il linguaggio è fatto di un dileguare continuo di ciò che si afferma; o, ogni cosa che si afferma dilegua in ciò che segue. A pag. 291. L’agire è la prima in sé essente separazione della semplicità del concetto,… Importante l’agire per Hegel. Nell’agire c’è sempre qualche cosa in più, qualche cosa che deborda. …nonché il ritorno da tale separazione. Questo primo movimento si muta nel secondo, perché l’elemento del riconoscere come sapere semplice del dovere si contrappone alla differenza e alla scissione che sta nell’agire come tale, formando così un’effettualità in ferreo contrasto con l’agire. Tra quello che voglio fare e quello che faccio, sta dicendo Hegel, c’è sempre una differenza, una contrapposizione: quello che sto facendo non è quello che volevo fare. Qui dunque per l’autocoscienza l’effettualità, anche in quanto immediato esserci, non ha altro significato che quello di essere il sapere puro; - similmente, come esserci determinato o come relazione, ciò che si contrappone è da una parte un sapere questo Sé puramente singolo e, d’altra parte, un sapere il sapere come universale. Questo è il problema antico che Hegel radicalizza, quello fra il particolare e l’universale: l’impossibilità di armonizzare il singolo con l’universale, che Hegel risolve attraverso la sintesi, l’Aufhebung, e cioè il singolo è singolo perché c’è l’universale, l’universale è l’universale perché c’è il singolo; o, come abbiamo detto, il significante è il significante perché c’è un significato, e viceversa. Qui è in pari tempo posto che il terzo momento, cioè l’universalità o l’essenza, vale a ciascuno di quei due elementi contrapponentesi soltanto come sapere;… Questi momenti si contrappongono soltanto come sapere. …ed essi infine tolgono similmente quella vuota opposizione che ancora restava, e sono il sapere dell’Io = Io, questo singolo Sé che è immediatamente puro sapere o sapere universale. Naturalmente, questo puro sapere, Io = Io, è un sapere che si oppone a se stesso, che si nega, perché il secondo Io non è il primo, ma senza il secondo non c’è il primo. A pag. 294. Invero, come negatività, quell’in-sé del cominciamento… Il primo passo, la percezione sensibile: vedo quella cosa. …è altrettanto lo in-sé mediato;… Non è immediato. Ciò che io vedo, che chiamiamo la mia percezione immediata, in realtà, è mediata. …esso dunque si pone ora così come è in verità; e il negativo è come determinatezza di ciascuno per l’Altro, ed è in sé ciò che toglie se stesso. Questo cominciamento, questo primo gesto, è il primo in quanto, diciamola così, è nel linguaggio; non potrebbe esserci un primo se non ci fosse, per dirla con Hegel, già un sapere assoluto, se non ci fosse già l’intero, il tutto. L’una delle due parti dell’opposizione è l’ineguaglianza dell’esser entro se stesso al di dentro della sua singolarità di contro all’universalità,… Prima ineguaglianza entro se stesso in quanto singolo, che si oppone all’universalità; ma ha bisogno dell’universalità, ha bisogno del significato, ha bisogno di qualcosa che lo renda partecipabile. …l’altra è l’ineguaglianza della sua universalità astratta di contro al Sé;… …il primo momento muore al suo esser-per-sé e si aliena, si professa; il secondo momento alla durezza della sua universalità astratta e, quindi, muore al suo Sé inerte e alla sua universalità immota; di conseguenza l’uno mediante il momento dell’universalità la quale è essenza, l’altro mediante l’universalità la quale è Sé, si sono completati. Ciascuno dei due nella sintesi dilegua nell’altro. Questo dileguarsi è qualcosa che mantiene sia l’uno che l’altro, però sia l’uno che l’altro, presi nella relazione, non sono più né l’uno né l’altro, sono un’altra cosa, sono appunto una relazione, sono quel terzo elemento di cui dicevamo. Con questo movimento dell’agire lo spirito, - che sol ora è spirito, dacché è là, dacché eleva il suo esserci al pensiero e, quindi, all’opposizione assoluta, e da questa, mediante essa ed entro di essa, torna indietro, - lo spirito è sorto come pura universalità del sapere, il quale è autocoscienza, è sorto come autocoscienza che è unità semplice del sapere. Io = Io. Ciò che dunque nella religione era contenuto o forma della rappresentazione di un Altro, ciò stesso è qui operare proprio del Sé; il concetto è l’elemento connettivo, onde il contenuto è operare proprio del Sé; - infatti, come abbiamo visto, questo concetto è il sapere dell’operare del Sé in se medesimo, come sapere di ogni essenza e di ogni esserci;… Questo operare del Sé in se medesimo, questo operare del linguaggio su se stesso, è tutto l’operare, non ce n’è un altro. …è il sapere di questo soggetto come della sostanza, e della sostanza come di questo sapere dell’operare del soggetto. Più avanti (11):1 Quest’ultima figura dello spirito, lo spirito che al suo perfetto e vero contenuto dà in pari tempo la forma del Sé e che per questa via, tanto realizza il suo concetto, quanto resta, in questa realizzazione, nel suo concetto, è il sapere assoluto… Quindi, lo spirito, che dà forma a sé, che sa di sé, non può più non sapere di sé. Questo è il sapere assoluto. …il sapere assoluto è lo spirito che si sa in figura spirituale, ovvero è il sapere concettivo. Un sapere che è fatto di concetti, fatto di parole. Non solo in sé la verità è perfettamente eguale alla certezza… Questo è un altro problema, quello della verità e della certezza. La certezza procede dal calcolo, la verità in genere è rivelata. È la questione della scienza e di Dio: la scienza ha come obiettivo la certezza, non la verità; la religione ha come obiettivo la verità, non la certezza: se ha già la verità, della certezza non sa che farsene. Mentre la certezza è un risultato di un calcolo, la verità è il risultato di una fede. Per Hegel le due cose, anche in questo caso, avvengono simultaneamente; certezza e verità sono due opposti che dileguano nella loro sintesi. Non solo in sé la verità è perfettamente eguale alla certezza, ma ha anche la figura della certezza di se stesso, ossia è nel suo proprio esserci, vale a dire è, per lo spirito giunto al sapere, nella forma del saper di se stesso. È per questo che ha unito certezza e verità, perché di fatto sta parlando di sé, sta parlando dell’intero, sta parlando di qualcosa che contiene tanto la certezza quanto la verità, questo tutto, che poi è il linguaggio. La verità è il contenuto che nella religione è ancora diseguale alla sua certezza. Ma questa eguaglianza si istituisce ove il contenuto abbia raggiunto la figura del Sé. Così quella che è l’essenza medesima, cioè il concetto, si è fatta elemento dell’esserci o forma dell’oggettività per la coscienza. Lo spirito, apparente (nel senso che appare) alla coscienza in tale elemento o, ed è qui lo stesso, da essa in tale elemento prodotto, è la scienza. Questo spirito, questo pensiero, che a questo punto appare alla coscienza, che non può più non tenerne conto, coglie in sé gli opposti, cioè li integra, ecco, questo per Hegel è la scienza. La natura, i momenti e il movimento di questo sapere sono dunque così resultati, ch’esso è il puro esser-per-sé dell’autocoscienza; il sapere è Io che è questo Io e nessun altro, e che, altrettanto immediatamente, è mediato o è Io tolto e universale. Io = Io. È lo stesso ma i due Io si oppongono; c’è qualcosa che ha a che fare con la singolarità – l’Io è questo e nessun altro – ma anche con l’universalità, perché questo Io può affermare incontrovertibilmente “Io sono Io”. Che è la stessa cosa che avviene parlando: il significante è quello che è, quello che dico, non ho detto un’altra cosa, ma quella cosa è quella che è per via del fatto che dicendosi diventa altro da sé. L’Io ha un contenuto ch’esso distingue da sé; esso è infatti la pura negatività o scindersi: è coscienza. Parlando avviene esattamente questo: la parola ha un contenuto che la parola distingue da sé, la mia parola è distinta dalle parole che uso per dire che cosa significa quella mia parola, sono due cose diverse. Infatti, se voi cercate la parola “pane” nel dizionario, trovate che cosa? Intanto, non trovate il pane, ma trovate altre parole che non sono quella parola che voi cercate. Questo contenuto, anche nella sua differenza, è l’Io, perché è il movimento del togliere se stesso o è quella medesima pura negatività che è l’Io. Quindi, il secondo Io si toglie. Parafrasando Severino, è come se in questa formula, Io = Io, il secondo Io si togliesse, dilegua, perché viene integrato nel primo Io, che soltanto a questo punto diventa sapere assoluto, un sapere di sé in quanto pura negatività. Questo è fondamentale in Hegel, perché il sapere di sé in quanto pura negatività è la “maledizione” del linguaggio: io posso sapere a condizione di non potere sapere mai. Posso sapere, perché c’è il linguaggio che mi consente di creare delle cose che io chiamo sapere, ma al tempo stesso mi impedisce l’accesso a quella cosa ultima che io immagino esista e che garantisca tutto. A pag. 298. …nella coscienza l’intiero, ma non concepito, è prima dei momenti. L’intero è prima dei momenti, ma fa una precisazione: non concepito. Il tempo è il concetto medesimo che è là e si presenta alla coscienza come intuizione vuota; perciò lo spirito appare necessariamente nel tempo, ed appare nel tempo fin tanto che non coglie il suo concetto puro, vale a dire finché non elimina il tempo. Eliminare il tempo, come se il tempo fosse un qualche cosa che serve per mantenere distinte le cose. In effetti, spazio e tempo sono concetti fondamentali, il tempo senza lo spazio non ha nessun senso, e viceversa. Dice a un certo punto finché non elimina il tempo. Come si elimina il tempo? Quando non serve più. Quindi, intanto occorre sapere a che cosa serve. Serve naturalmente a tante cose, ma serve a porsi, come dice Hegel, come un contenitore vuoto di concetti e nel quale posso mettere tutto ciò che mi pare. Infatti, dice, Il tempo è il puro Sé esteriore ed intuito;… È un Sé esteriore, che io estrofletto, che penso fuori di me, un Sé oggettivato. …quando questo attinge se medesimo, supera la sua forma temporale concepisce l’intuire ed è intuire concepito e concettivo. – Il tempo appare quindi come destino e necessità dello spirito che non è perfetto in sé medesimo, - come la necessità di arricchire la partecipazione che l’autocoscienza ha alla coscienza, di mettere in movimento l’immediatezza dello in-sé, - la forma in cui la sostanza è nella coscienza, - o, viceversa, - prendendo lo in-sé come l’interiore, - di realizzare e di rivelare ciò che è inizialmente interiore, ossia di rivendicarlo alla certezza di se stesso. La cosa che interessa qui è questa sua affermazione: Il tempo appare quindi come destino e necessità dello spirito che non è perfetto in sé medesimo. Che cosa vuol dire che non è perfetto? Che ancora non si è concepito in quanto spirito, per cui ha bisogno del tempo. Che se ne fa del tempo? Dice che è per via della necessità di arricchire la partecipazione che l’autocoscienza ha alla coscienza, di mettere in movimento l’immediatezza dello in-sé, come dire che serve a pensare il movimento. Nel momento in cui non so che il movimento è già presente qui e adesso, ecco che me lo raffiguro come tempo da qualche parte. Per questa ragione devesi dire che niente vien saputo, che non sia nell’esperienza o, come anche si esprime la medesima cosa, che non sia dato come verità sentita, come l’Eterno interiormente rivelato, come il Sacro a cui si crede o come altrimenti si voglia dire. Infatti l’esperienza è proprio questo: che in sé il contenuto – ed esso è lo spirito,… Il contenuto dell’esperienza è lo spirito, cioè il mio pensiero. …è sostanza e quindi oggetto della coscienza. Ma questa sostanza che è lo spirito ne è il divenire fino a farsi ciò ch’esso è in sé; e solo come questo divenire riflettentesi in se stesso esso in sé è in verità lo spirito. Esso è in sé il movimento che è il conoscere, - la transustanziazione di quell’in-sé nel per-sé della sostanza nel soggetto, dell’oggetto della coscienza in oggetto dell’autocoscienza, cioè in oggetto altrettanto tolto o nel concetto. Quel movimento è il circolo ritornante in se stesso che presuppone il suo cominciamento e lo raggiunge soltanto nella fine. Questo è il modo in cui è strutturata la Fenomenologia dello spirito, e cioè ciò che è all’inizio lo si raggiunge soltanto alla fine. Soltanto alla fine si riesce a capire che cosa ha voluto dire Hegel. (16): La comunità religiosa, in quanto essa è da prima la sostanza dello spirito assoluto, è a coscienza rozza la quale ha un esserci tanto più barbarico e duro, quanto più profondo è il suo spirito interiore, e tanto più duramente il suo sordo Sé ha da lavorare con la sua essenza, con il contenuto, a lui estraneo, della sua coscienza. Soltanto dopo di aver abbandonato la speranza di togliere l’estraneità in un modo esteriore, ossia estraneo, quella coscienza… Quindi, dopo che si è abbandonata questa illusione … dacché la guisa esteriore, tolta, è il ritorno nell’autocoscienza, si volge a se medesima… Il passaggio dall’illusione al sapere assoluto. …al suo proprio mondo e alla sua propria presenzialità, la scopre come sua proprietà, e ha fatto così il primo passo per scendere dal mondo intellettuale o, piuttosto, per vivificarne l’elemento astratto con il Sé effettuale. Per Severino sarebbe il passaggio dall’astratto al concreto, cioè da qualche cosa che è singolare all’universale. A pag. 300. Ma solo dopo avere, nella cultura, alienata la sostanzialità, dopo averla così resa esserci e averla fatta passare attraverso ogni esserci; solo dopo esser giunto al pensiero della utilità e, nell’assoluta libertà, aver colto l’esserci come sua volontà, lo spirito trae alla luce il pensiero della sua più interiore profondità, ed esprime l’essenza come Io = Io. Ma questo Io = Io è il movimento riflettentesi in se stesso; infatti poiché questa eguaglianza, come assoluta negatività… È assoluta negatività in quanto il secondo Io nega il primo; anche se c’è il segno di uguale non sono lo stesso. …è l’assoluta differenza, l’autoeguaglianza dell’Io sta di contro a questa pura differenza la quale, in quanto pura e tuttavia oggettiva al Sé che sa se medesimo, è da esprimersi come il tempo, per modo che, come dianzi l‘essenza venne definita quale unità del pensare e dell’estensione, essa sarebbe da prendersi come unità del pensare e del tempo;… questa pura eguaglianza dell’Io con se stesso è, sì, da una parte eguaglianza ma dall’altra è un’assoluta differenza. …ma la differenza lasciata a se stessa, il tempo privo di quiete e di posa, crolla piuttosto in se medesimo; esso è la quiete oggettiva dell’estensione; ma questa è la pura eguaglianza con se stesso, l’Io. Ovvero, l’Io non è soltanto il Sé, ma è l’eguaglianza del Sé con sé;… A pag. 302. Nel sapere lo spirito ha dunque chiuso il movimento del suo figurarsi in quanto questo è affetto della tolta differenza della coscienza. Ha tolto tutte le figure, non ci sono più queste figure nello spirito, man a mano si sono tolte, tolte nel senso che si sono risolte, integrate. Lo spirito ha attinto il puro elemento del suo esserci, il concetto. Il contenuto, secondo la libertà del suo essere, è il Sé che si aliena o l‘unità immediata del sapere se stesso. Questa unità immediata del sapere se stesso non è altro che il Sé che si aliena, che è esattamente il linguaggio. Questa unità immediata del sapere non è altro che questo qualcosa che dilegua nel momento stesso in cui dico di sapere: in quel preciso momento dilegua. Il puro movimento di questa alienazione, considerato nel contenuto, costituisce la necessità del contenuto stesso. È necessario che sia così, è cioè necessario che dilegui per potersi integrare perché la coscienza sia effettivamente coscienza; soltanto dileguando l’autocoscienza, il secondo Io dell’equazione Io = Io; soltanto nel momento in cui il secondo elemento dilegua, ecco che il primo diventa quello che è. Nel momento in cui si pone il significato di un significante, allora e solo allora il significante diventa significante; ma nel momento in cui il significante diventa significante, questo significato dilegua, non è più significato e, infatti, è significante. Nella relazione, non già in sé, il contenuto diverso è come contenuto determinato… Nella relazione, non in sé; il contenuto determinato è una relazione; qualunque determinazione è una relazione. A pag. 303 (19): La scienza contiene il lei stessa questa necessità di alienarsi della forma del concetto puro, e contiene il passaggio del concetto nella coscienza. Scienza è da intendersi qui nell’accezione hegeliana del termine, cioè come sapere puro, un sapere che sa se stesso, che sa se stesso in quanto altro da sé. Ché lo spirito che sa se stesso, proprio perché attinge il suo concetto, è l’immediata eguaglianza con se stesso la quale nella propria differenza è la certezza dell’immediato o la coscienza sensibile, - il cominciamento da cui noi siamo partiti; questo licenziare sé dalla forma del suo Sé, è la libertà suprema e la sicurezza del suo sapere di sé. Questo sapere da cui siamo partiti, questo licenziare sé dalla forma del suo Sé, perché quando parte, dice Hegel, è come se non tenesse conto di ciò che sta accadendo in quel momento, e cioè del fatto che, per potere partire, io ho già bisogno di tutto il linguaggio, ho bisogno del Sé, ho bisogno che io ci sia in quanto esserci, direbbe Heidegger, in quanto mondo: tutto questo deve essere già presente perché io possa incominciare. Tuttavia questa alienazione è ancora imperfetta; essa esprime il rapporto della certezza di se stesso con l‘oggetto, il quale, proprio perché è nel rapporto, non ha conseguito la sua piena libertà. Il sapere non conosce soltanto sé, ma anche il negativo di se stesso o il suo limite. Sapere il suo limite vuol dire sapersi sacrificare. Questo sacrificio è l’alienazione, in cui lo spirito presenta il suo farsi spirito nella forma del libero, accidentale accadere, intuendo fuori di lui il suo puro Sé come il tempo e, similmente, il suo essere come spazio. Quest’ultimo farsi dello spirito, la natura, è il suo vitale e immediato farsi; essa, lo spirito alienato, nel proprio esserci non è se non questa eterna alienazione del proprio sussistere, e il movimento che istituisce il soggetto. Il soggetto non è altro che il prodotto di questo movimento, e cioè di questa eterna alienazione del proprio sussistere: io sussisto in quanto continuamente alienato.

Intervento: Qui torna l’utilità del tempo…

Sì. L’utilità del tempo è quella di porre una sorta di argine, immaginandolo lineare, alla simultaneità, cioè un argine all’Aufhebung, all’integrazione. Nel suo insearsi lo spirito è calato nella notte della sua autocoscienza; ma ivi è conservato il suo dileguato esserci; e questo tolto esserci, - quello di prima, ma rinato or ora dal sapere, - è il nuovo esserci, un mondo nuovo e una nuova figura spirituale. In essa e con la sua immediatezza, lo spirito ha da ricominciare da principio, in modo altrettanto fresco, e da farsi grande partendo da essa, come se tutto ciò che precede fosse per lui perduto, ed esso non avesse imparato nulla dall’esperienza degli spiriti precedenti. Ma la memoria i ha conservati ed è l’interno e la forma, in effetto più elevata, della sostanza. Se dunque questo spirito ricomincia da principio la sua cultura sembrando prender le mosse soltanto da sé, tuttavia esso comincia in pari tempo da un grado più alto. Questo per via di quella cosa che Hegel chiama Aufhebung. Ogni volta non è che scompare ciò che dilegua, permane; anche perché nel linguaggio non può scomparire qualcosa, come fa? Il regno degli spiriti che in questo modo si è foggiato nell’esserci… Questo regno degli spiriti non è altro che il mondo di cui sono fatto. …costituisce una successione in cui uno spirito ha sostituito l’altro e ciascuno ha preso in consegna dal precedente il regno del mondo. Ciascuno prende dal precedente la sua Weltanschauung, la sua visione del mondo; la conserva, la mantiene, superandola in un’altra, ma quella antica non è scomparsa, continua a essere presente; noi continuiamo a pensare come si pensava tremila anni fa. La meta di quella successione è la rivelazione del profondo… Questa successione di cose che man a mano progrediscono procedendo, ma mai abbandonando ciò che hanno superato, è la rivelazione del profondo, cioè il modo con cui possiamo cogliere l’essenza, la presenza del tutto, dell’intero, del linguaggio …e questa rivelazione è il concetto assoluto; questa rivelazione è quindi il togliere della profondità del concetto, o è l’estensione di esso, la negatività di quest’Io inseantesi,… Accorgersi che l’Io contiene, inesorabilmente e inseparabilmente, la sua alienazione, cioè la sua negazione. …la quale è la sua alienazione o sostanza, ed anche il suo tempo,… Questo continuo alienarsi è il tempo in quanto simultaneità di queste operazioni. La meta, il sapere assoluto o lo spirito che si sa come spirito, ha a sua via la memoria degli spiriti com’essi sono in loro stessi e compiono l’organizzazione del loro regno. Questo sapere assoluto non è statico, immobile ed eterno; no, non è altro che il risultato di un lavoro infinito da parte, come dice Hegel, di tutti e di ciascuno. Tutte le cose che sono state dette, fatte, pensate, intuite, immaginate, ecc., sono tutte presenti, e sono tutte quelle cose che hanno contribuito a fare in modo che l’oggi sia esattamente così com’è, e non altrimenti. La loro conservazione secondo il lato del loro libero esserci apparente nella forma dell’accidentalità, è la storia; ma secondo il lato della loro organizzazione concettuale, è la scienza del sapere apparente;… Ciò che appare è il risultato di tutto ciò che c’è e che c’è stato. …tutti e due insieme, cioè la storia concettualmente intesa, costituiscono la commemorazione e i calvario dello spirito assoluto, l’effettualità, la verità e la certezza del suo trono, senza del quale esso sarebbe l’inerte solitudine;… E cita, variandoli un poco, due versi di una poesia di Schiller, die Freundshaft (l’amicizia):

 

dal calice di questo regno degli spiriti

spumeggia fino a lui (lo Spirito assoluto)la sua infinità

 

Cosa vogliono dire questi versi? Dal calice del regno degli spiriti, e cioè dalla totalità delle cose, che ci hanno condotti a essere quello che oggi siamo, spumeggia, cioè sgorga, emerge, l’infinità che oggi siamo, perché siamo infinità. Siamo infinità nel senso che il dio, che è infinito, non è più nel cielo ma è qui, e l’infinità non è altro che il linguaggio nel suo operare. E con questo abbiamo concluso la Fenomenologia dello spirito. In questo capitolo VIII, breve ma denso, in effetti, c’è la summa di tutto il pensiero hegeliano, che potrei riassumere in questa brevissima considerazione, e cioè che per intendere il primo passo devo già possedere l’ultimo. Se non posseggo l’ultimo passo di tutta la catena, il primo non c’è. Questo ovviamente ha delle ripercussioni non indifferenti, anche rispetto a tutto ciò che si pensa della percezione. Io percepisco; sì, posso certamente dire che percepisco, ma percepisco perché sono nel linguaggio. Dire che sono nel linguaggio è come dire che posso percepire perché il percepire è il primo passo, ma io sono già dentro a un sistema dove è già presente l’ultimo passo; solo allora io percepisco. Senza il linguaggio io non posso percepire niente; senza il linguaggio non c’è il primo passo. Peirce aveva intuita questa cosa quando parlava del segno: non c’è il primo segno; se ci fosse vorrebbe dire che questo segno non procede da un altro segno, ma se non procedesse da un altro segno non sarebbe un segno, perché un segno è qualcosa che è sempre riferito a un altro, è uno spostamento, un rinvio; quindi, non può esserci logicamente il primo segno. Il primo segno è già il secondo, necessariamente; quindi, occorre che ci sia il successivo perché ci sia il primo. Questo non perché non potrei conteggiare ma perché esista il primo elemento; perché esista il mio percepire occorre che questa cosa sia già percepita. È quello che Hegel dice a proposito dell’esperienza: io posso fare esperienza perché so già tutto; tutto ciò che ho da esperire è già tutto qui presente. Questa è la condizione dell’esperienza per Hegel. Potremmo dirla molto più semplicemente: perché ci sia esperienza occorre che ci sia il linguaggio, e cioè occorre che ci sia questo “sistema” in cui è già tutto presente; quindi, ogni esperienza che faccio è già esperita, non può non essere già esperita, non può venire da qualcosa che è fuori dal linguaggio, e se è nel linguaggio è già esperita, è già presente. Come dicevamo tempo fa, se qualche cosa è qualche cosa è nel linguaggio. Qui c’è l’obiezione che ogni tanto viene fuori: penso qualche cosa, quindi, questo qualche cosa che penso è un qualche cosa che non è pensiero, è un’altra cosa. Ma questo qualche cosa c’è perché penso, solo allora c’è qualche cosa. Cioè, è perché penso che c’è qualche cosa da pensare. Non è che ci sono le cose e poi le penso; è perché penso che ci sono cose da pensare, sennò non ci sarebbe niente. Abbiamo quindi concluso la Fenomenologia dello spirito, il che ci porta inesorabilmente alla Scienza della logica. Hegel, con tutto questo, ci ha introdotti alla Scienza della logica, cioè al sapere assoluto, come funziona, come si articola, come si svolge, di che cosa è fatto. Questo ce lo dirà appunto nella Scienza della logica.