20-7-2000
Intervento: stavo riflettendo sulla sovrapposizione fra la colpa e la responsabilità, in altri termini sto parlando della paura, questo programma che si inserisce all’interno del discorso per cui non c’è possibilità di accedere all’operatività del linguaggio, per cui l’oggetto opera…..questa metafora non è una metafora
Poi c’è un’altra questione prima, dell’arbitrarietà,
che forse è addirittura precedente alla responsabilità, cosa è arbitrario e
cosa è necessario? Sì perché spesso e soprattutto in questi ultimi anni molti
hanno considerato questa arbitrarietà come fare a seconda del ghiribizzo del
momento, e quindi appunto una qualunque cosa vale una qualunque altra….che però
bisogna risolvere. Avete riflettuto intorno a questo o no?
Intervento: si diceva appunto che tutto può essere arbitrario ma non questo discorso…..
Non tutto è arbitrario perché qualcosa è necessario
che ci sia anche per poter stabilire che qualcosa è arbitrario (perché se si
parte che tutto è parola ovviamente pone un fondamento questo discorso che fa
sì che stiamo parlando adesso… però l’arbitrarietà è ciò che dice, ciò che fa…)
sì in effetti non c’è la necessità che si dia un gioco anziché un altro, ma
all’interno di quel gioco risulta indispensabile l’esistenza di regole, ora
tali regole occorre distinguere, perché è necessario che ci siano ma non è
necessario che siano quelle, è necessario che ci siano delle regole però, ma
una volta che ci sono delle regole, qualunque esse siano, queste risultano
indispensabili per giocare un certo gioco, ora queste regole che come dicevo
essere indispensabili, per giocare un gioco sono quelle che costruiscono il
gioco, a questo punto se io per esempio dicessi posso fare questa cosa o posso
fare quest’altra tanto è tutto arbitrario, cosa sto dicendo con questo? sto
dicendo che qualunque cosa io faccia avrà lo stesso valore, qualunque esso sia,
e quindi posso giocare un gioco oppure un altro a seconda di ciò che mi
aggrada, posso giocare il gioco della Seconda Sofistica oppure credere nei tarocchi,
tutto questo ha lo stesso valore, come dire che se ci sono elementi arbitrari,
questi hanno lo stesso valore, però senza riflettere su che cosa si stia
intendendo con valore o dicendo che è la stessa cosa… questione che è molto
complessa e si incentra sul fatto che se io affermo una cosa oppure un’altra ,
per esempio se io dico che faccio il gioco della Seconda Sofistica oppure dei
tarocchi è la stessa cosa, io posso affermare una cosa del genere in base a
delle regole che governano il gioco che sto facendo, ora se io non conosco
queste regole che mi fanno affermare una cosa del genere, quello che affermo è
nulla, è assolutamente niente non ha nessun senso; il discorso che stiamo
proponendo impone per così dire ciascuna volta un confronto, un accoglimento
delle regole che stanno operando, quindi il gioco che sto facendo, come dire
che se ci si attiene al gioco che stiamo facendo, una formulazione come questa
cioè a fare il gioco della Seconda Sofistica o qualunque altro è lo stesso,
deve tenere conto di quali regole consentono questa affermazione, la quale di
per sé non significa niente, è chiaro che avevamo detto noi stessi molte volte
che non è che il gioco della Seconda Sofistica sia di per sé qualcosa che ha
ancora una volta di per sé un valore particolare, è soltanto quel gioco che
consente di intendere come funzionano gli altri, ed è quello che consente un
maggior rilancio e quindi un maggiore interesse, però abbiamo detto noi stessi
un sacco di volte che non è che per decreto divino sia meglio o peggio di
qualunque altro, la questione è che se uno vuole giocare un altro gioco lo fa,
non c’è nessuna controindicazione, se uno vuole giocare… Il gioco della
paranoia può farlo, non c’è nessun problema è ovvio che se è attratto da questo
discorso della paranoia allora è assente il discorso che stiamo facendo, perché
se è presente allora è impossibile che sia attratto dal discorso della
paranoia. Che cosa attrae? Attrae ciò che diverte, mettiamola pure in termini
molto spicci e ovviamente diverte qualche cosa che ha dei rilanci, ha delle
nuove proposizioni ma se queste nuove proposizioni non risultano affatto nuove
nel discorso che andiamo facendo, questo discorso cessa di interessare, allo
stesso modo come ciascuno di noi ha cessato di giocare con le bambole o con i
soldatini, non è più possibile, se questo discorso che andiamo facendo si
instaura, si installa nel proprio discorso, non c’è più la possibilità, neppure
di porre la questione, se sia meglio fare un gioco oppure un altro, ciascuno
può fare ovviamente e fa quotidianamente mille giochi ma questo che andiamo
facendo rimane da sfondo e impedisce di essere attratti da qualunque fesseria.
Cos’è una fesseria? È una cosa che si propina come vera senza poterlo provare.
È come se Cesare fosse attratto dal giocare con i soldatini e tutto il giorno
giocasse con i soldatini, ormai Cesare è adulto e ha perso interesse per una
cosa del genere, cerca qualche cosa di più interessante che gli dia maggiore
apertura, maggiore emozione anche, ché ovviamente non lo emoziona giocare con i
soldatini, ma vediamo di porre la questione in termini più precisi….
Riprendiamo questa proposizione “se tutto è arbitrario allora qualunque cosa va
bene” innanzi tutto non tutto è arbitrario, una proposizione non lo è, quindi
non tutto è arbitrario e questo non tutto che è arbitrario deve la sua
esistenza a questo elemento che arbitrario non è, però poniamolo pure in questo
altro modo, rispetto alle proposizioni arbitrarie fra queste arbitrarie allora
l’una vale l’altra, come utilizzare questa proposizione? Sembra quasi
un’assenza di regole, le regole quelle che fanno esistere il gioco che cosa
fanno? Cesare? Limitano l’arbitrarietà, hanno questo compito, dire che le
proposizioni sono arbitrarie e allora l’una vale l’altra è come quella proposizione
che dice se dio è morto allora tutto è possibile, cioè se non ci sono più
regole allora posso fare qualunque cosa, ecco perché gli umani cercano le
leggi, il limite, dunque dicevo esistono delle regole quelle che consentono di
parlare, che consentono anche di decidere, che consentono anche di decidere una
proposizione del genere, quindi che cosa rimane arbitrario? Vedete questa
proposizione chiamiamola X, che afferma che se tutte le proposizione sono
arbitrarie una vale l’altra, questa proposizione X essendo equivalente a quella
di Nietzsche, lamenta l’esistenza oppure un moto giubilatorio per l’inesistenza
di regole, però, però si fonda su una sorta di onnipotenza che il linguaggio
consente, come dire io sono padrone del linguaggio, anziché essere un effetto
del linguaggio cioè questo io che sta dicendo “sono padrone del linguaggio” è
una parola, se è nella parola qualunque proposizione, qualunque affermazione è
soggetta a delle regole che sono quelle che costruiscono il gioco, per cui
dicendo che io posso dire, fare qualunque cosa, mi attengo a delle regole ben
precise per cui non posso fare qualunque cosa, questa onnipotenza di cui vi
dicevo che talvolta il discorso che stiamo promuovendo ha ingenerato, può
accadere ma solo se considera il linguaggio come qualcosa che essendo fuori di
me io posso controllare, se non lo posso controllare in quanto io sono il
linguaggio, sono fatto del linguaggio, già non posso dire allora posso fare
questo, posso fare quello, perché io che sto dicendo questo sono all’interno
del linguaggio e quindi in una combinatoria linguistica inserita all’interno di
un gioco che segue delle regole ben precise, quando si dice “allora posso fare
una cosa oppure un’altra” occorre chiedere chi è il soggetto di questo posso,
“io” io esisto fuori dal linguaggio? No, dunque essendo nel linguaggio,
potremmo dirla così sono un elemento linguistico, e come tale connesso con
altri elementi linguistici, la cui affermazione che posso fare una cosa oppure
l’altra non è altro che una proposizione costruita dal linguaggio in base a
delle regole dei giochi che mi sto trovando a fare in quel momento, al di fuori
di questo, questa proposizione non significa assolutamente niente, nulla e in
questo modo abbiamo dato un avvio all’elaborazione intorno a questa questione
come vi dicevo è tutt’altro che semplice e molto importante, però già posta in
questo modo si avvicina a miglior intendimento, la questione centrale della
proposizione X annosa è il fatto che il soggetto non è fuori dal linguaggio che
sta immaginando di potere gestire. È come uno che immaginasse di stare fermo e
di tirare indietro il mare. Cosa sta pensando Cesare?
Intervento: è chiaro che ogni gioco ha delle regole che limitano l’arbitrarietà del gioco, però la scelta è arbitraria del gioco che voglio fare, cioè io posso fare infiniti giochi
Per essere facilitato, Cesare, lei tolga il soggetto
“io”, e usi il linguaggio come soggetto, le sarà più semplice. Allora
sostituisca al “io posso” “il linguaggio può fare” (il linguaggio può fare tantissimi
giochi… infiniti, e il gioco ha le sue regole) giocare un linguaggio qualunque?
Può fare un gioco qualunque? (posso fare un gioco qualunque) tolga posso, un
gioco qualunque? (il linguaggio non può fare un gioco qualunque) perché no? (il
linguaggio può fare il gioco che se ne dice, che dice) può costruire delle
proposizioni e delle regole che inseriscano queste proposizioni all’interno del
gioco e quindi può costruire qualunque gioco, sì non fare qualunque gioco…per
esempio non può fare un gioco autocontraddittorio, il famoso paradosso, non lo
può fare, può costruire giochi cioè costruire delle proposizioni ed inserire
queste proposizioni all’interno di regole che ne limitano le mosse, costruendo
dei meccanismi che sono noti come giochi, ché questo “io posso” è molto
fuorviante dà l’impressione di potere (essere il padrone del linguaggio) sì,
dimenticando che si è presi in una combinatoria linguistica che è fatta di
linguaggio, io senza linguaggio non sarei mai esistito, posso dire io ma sempre
tenendo conto che questo io che dice è un atto linguistico che sta proponendo e
costruendo altri atti linguistici. Quando si dice io posso costruire tutti gli
atti linguistici che voglio bisogna chiedersi che cosa sta dicendo con questo
esattamente, dire che sì il linguaggio può costruire un numero sterminato di
giochi in questo senso, è infinito, cioè è un sistema chiuso però con un numero
infinito di mosse possibili, è chiuso perché non può uscire da se stesso. Può
costruire e costruisce un numero sterminato di giochi, però questo “può” fare
un gioco al posto di un altro chi lo decide? se non l’atto linguistico che si
sta facendo in quel momento, è l’atto linguistico che diciamo “decide” fra
virgolette o che impone la direzione. Che cosa muove il linguaggio? Abbiamo
detto se stesso, si tratterrà di questo è un lavoro ancora da fare, intendere
come il linguaggio muove se stesso, come prende una direzione alcuni linguisti
si sono avvicinati, anche la psicanalisi per alcuni versi, attraverso
associazioni, paronomasie, le famose associazioni libere di Freud, le
associazioni non sono altro che un rinvio ad un'altra cosa mosso da regole di
un certo gioco che si stanno facendo che si può assolutamente ignorare, però
questo gioco impone quella mossa, così come se ho quattro assi in mano, il
poker mi impone di mettere giù i quattro assi, e prendere il piatto perché il
gioco è fatto così, non metto l’unico sette che ho, e questo è tutto un lavoro
da fare che non esiste da nessuna parte se voi cercate né esiste né nei semiologi,
né nei filosofi del linguaggio, né nei linguisti né nei logici né negli
psicanalisti, che cosa all’interno del linguaggio muove l’atto linguistico in
una certa direzione anziché in un’altra, perché una certa associazione anziché
un’altra, perché se io vedo una certa cosa mi viene in mente una certa cosa
anziché un’altra, tutte queste cose in parte la linguistica, in parte la
psicanalisi le hanno accennate ma sempre in termini molto vaghi e
insoddisfacenti, cioè come il linguaggio regola se stesso, per dirla in termini
precisi (non potrebbe essere la questione pragmatica del linguaggio?) restiamo
all’interno del come il linguaggio regola se stesso, la questione pragmatica è
sempre all’interno del linguaggio, se io dico che mi conviene più una certa
cosa anziché un’altra sono sempre all’interno del linguaggio, è il linguaggio
che mi sta muovendo per così dire, che mi impone quella direzione che io posso
chiamare pragmatica, certamente però in questo caso specifico non ci
agevolerebbe, perché che sia per motivi di interesse personale per una certa
cosa, che sia un ricordo che si impone, che sia un’assonanza, in ogni caso c’è
un qualche cosa che è come se regolasse il linguaggio, è un’autoregolazione che
poi ciò che lo regola non sono che altre proposizioni ovviamente (già dai tempi
della Semantica Strutturale, Greimas…) sì tutti quelli che hanno lavorato
intorno al senso hanno cercato qualcosa del genere… (laddove si può vedere la
paronomasia… anche Freud parlava di rumori, di campi semantici, di rumori più che
di campi semantici, come se il rumore fosse al di fuori dell’atto linguistico)
sì c’è un senso ovviamente parlando, però perché va in quella direzione? (noi
andiamo molto oltre ad una affermazione di questo genere e a questo punto non
ci interessa più) come se una certa proposizione fosse attratta da un’altra,
adesso detto così in un modo molto rozzo però qualcosa la attrae, tanto che in
alcuni casi ogni volta che si presenta una certa proposizione se ne presenta
un’altra, come nel discorso nevrotico, nel discorso psicotico, ogni volta che
dice una certa cosa ecco che ogni volta che si presenta un topo, ha paura non è
che una volta il topo, una volta il leone, una volta una pecora, una volta una
capra, no, sempre il topo, come dire che una certa proposizione, un certo
numero di proposizioni sono attratte da altre o come dicevamo tempo fa è come
se fossero programmate per andare in una certa direzione ma che cosa
all’interno del linguaggio o del programma potere dire… ecco questo è ciò che
ci sta interrogando, questione sempre più complicata (io mi sono sempre
fermata, ascoltando il mio discorso, intervenendo una proposizione e
intervenendo la proposizione successiva, ho distrutto in qualche modo il gioco
della ricerca, il proseguire per vedere cosa ne viene fuori perché mi sono
trovata come a tacciare, come dire il mio discorso si trae per questa
paronomasia… Cioè concludendo che era una paronomasia, interviene un giudizio
successivo che dice ho inventato questa successione, mi sono anche divertita ma
chissà quanti elementi ho escluso senza accorgermi che ho continuato a parlare,
ma decidendo dell’arbitrarietà di quella connessione e quindi quella
connessione era possibile ma non necessaria…) dire che l’altro elemento è
arbitrario non è altro che dire che è un elemento linguistico che non necessita
di costringere all’assenso, non è costretta a dire “allora è così” dire che è
arbitrario significa solo questo (è così o non è così è una regola che permette
l’arbitrarietà) non è né così né non è così è un’altra proposizione che si
aggiunge (ciascuna volta che si sofferma e intervengono altri elementi è come
se intervenisse questa ricerca della verità, è il discorso occidentale che
interviene come tappo) quando interviene una proposizione io dico che non è
questo, già in questo modo alludo ad una scala di valori di verità, “ma non è
questo cosa?” perché non la accolgo? Non è necessario né accoglierla né non
accoglierla ovviamente, è una proposizione che il linguaggio ha prodotto e io
non ho nessun altro elemento oltre il li linguaggio se non quello che sto
dicendo, quindi eliminarlo a vantaggio di un altro che non significa
esattamente nulla come il precedente, sottolinea invece l’attribuzione di un
valore, questo non vale e quindi se non vale posso sbarazzarmene, ma non vale
neanche il successivo allo stesso modo… una scala di valori ferrea ben precisa
che si vuole fissare (…) chi fissa una cosa e non l’altra allora perché
quell’altra? Perché gli piace di più? Qualunque cosa sia ciò che gli piace di
più vale di più, quindi abbiamo già in questo caso che una cosa vale l’altra è
una contraddizione in termini se poi scelgo quell’altra, perché se sono una
certa cosa, perché ne cerco un’altra? Che comunque sarà la stessa cosa, a che
scopo? (sembra un paradosso) esattamente, come dire tutti i pacchetti di
sigarette sono uguali però io vado a prenderne un pacchetto a Kansas City,
perché? Evidentemente se vado a prendere quello che sta là, non sono tutti
uguali….Cesare cosa sta pensando? (cosa muove verso una proposizione o verso
un’altra…) la questione sì può porsi, un elemento come sappiamo ha un rinvio
necessariamente quello che stiamo considerando è che alcuni elementi hanno dei
rinvii preferenziali topo-paura anziché entusiasmo- fame- sogno ecc. no, sempre
paura mai la fame, invece uno vede una bella bistecca alla Voronoff- fame,
invece il topo non fa questo effetto, c’è questo rinvio che diciamo
preferenziale, come si forma una preferenza? Ad un certo punto ad una
proposizione ne segue un’altra, a noi interessa come si forma, che cosa
acconsente, che cosa costruisce all’interno del linguaggio questa preferenza
che cosa nel linguaggio acconsente una cosa del genere? Forse in questo modo va
posta la questione, in modo un po’ più preciso.