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18-11-2003

 

Intervento:…

Sì, anche, ma non soltanto, c’è un altro aspetto e cioè il fatto che in ciascun incontro che noi facciamo, ogni volta è come se si compisse qualcosa in quell’incontro, come se qualcosa fosse compiuto, in effetti forniamo elementi tali per cui è così, è come se non ci fosse altro da aggiungere in un certo senso, come se giungessimo a fine corsa in ciascun intervento, è ovvio che per noi non è così, perché c’è l’interesse teorico che nelle persone generalmente non c’è, ma che è lì per sapere e allora ciò che sanno, ciò che vengono a sapere o interessa oppure no, anche se le interessa comunque rimane lì, non c’è un desiderio teorico, è questo il problema più grosso, e muovere un interesse teorico è arduo, per alcuni giovani può essere il pretesto scolastico, ma è talmente lontano da ciò che avviene nell’università che anche questo pretesto lascia il tempo che trova, però in ogni caso proseguiremo. Dopo domani tocca a Beatrice, qualche questione?

Intervento: il linguaggio si trova ad attribuire a sé delle proposizioni e quindi io discorso mi distinguo da un altro discorso

Il linguaggio non è altro che un insieme di procedure, di regole, un sistema inferenziale e delle regole di esclusione, nient’altro che questo e quando tutto ciò è in atto abbiamo deciso di chiamarlo discorso, in effetti non è che possa distinguersi il linguaggio dal discorso ovviamente, perché non è possibile isolare le procedure, le regole, ma è una distinzione che facciamo a scopo didascalico. Il linguaggio non può non essere in atto e quindi non può non essere discorso, però se noi dicessimo che il discorso deve distinguere se stesso da qualunque altra cosa per rimanere se stesso, se utilizzassimo la parola linguaggio creerebbe qualche problema in più, creerebbe confusione, e già ce n’è abbastanza, non è il caso di crearne altra, invece in questo modo è una distinzione sì, come dicevo, didascalica, però può essere utile anche se non significa un granché…

Intervento: la domanda che interviene, interviene perché è un discorso una sorta di messa a confronto, un criterio all’interno di un gioco per cui questo è vero e questo è falso

Sì, altra invece è la questione del corpo, che è una questione complessa, retoricamente può essere utile partire per esempio da Wittgenstein, dove si chiede: “come so che questa è la mia mano?” e risponde “lo so perché l’ho imparato”, non è sufficiente però può essere un punto di avvio, l’ho imparato, cioè mi hanno dato delle istruzioni, delle informazioni “questa qui è una mano” bene! A questo punto so che quella è la mia mano, se non avessi avute quelle istruzioni non saprei che quella è la mia mano, non l’avrei imparato, e imparare non è altro che acquisire delle informazioni e disporle in una sequenza inferenziale di causa ed effetto “se questo allora quest’altro” e allora si impara, si impara a mettere in relazione i vari elementi e cioè ho imparato che è una mano perché ho messo in relazione questo nuovo elemento, questo nuovo significante con altri. La stessa cosa vale per tutto il resto del corpo, se uno non impara che ha un corpo non può sapere di averlo, anche le sensazioni si imparano, si impara cosa vuole dire avere freddo, cosa vuol dire avere caldo ecc. poi per quanto riguarda la questione delle sensazioni, dell’estesia, beh abbiamo detto varie cose, dobbiamo aggiungere forse qualche altro elemento, ciò che abbiamo detto fin’ora è che per potere sentire occorre che la percezione possa descriverla, sappia che cos’è la percezione, perché se non lo so allora non posso neanche sapere di sentire, di avere quelle percezioni, cioè non posso sapere se le ho oppure no, questo può essere determinante, il fatto di non potere sapere se ho una percezione oppure no. Certo, qualche obiezione si potrebbe muovere ancora però a questo punto le obiezioni vertono su una pura e semplice affermazione, se io dicessi che comunque io lo sento lo stesso, che la percezione c’è comunque, come dicevamo anche giovedì scorso “sì posso dirlo, ma che cosa sto dicendo esattamente?” in assenza della possibilità di descrivere la percezione è un grosso problema, anche perché comunque è il linguaggio che mi consente di continuare ad affermare che anche in assenza di linguaggio potrei sentire le sensazioni. Ciò che abbiamo detto rispetto al corpo, cioè il fatto che il discorso per esistere deve poter distinguere un elemento da un altro e quindi anche se stesso da tutto il resto, logicamente è ineccepibile, retoricamente però è un po’ ostico e allora dobbiamo trovare, lungo questa via, un modo più semplice, oppure occorre approcciarla da un’altra parte, potremmo dire che il percipiens, in questo caso il corpo, è tale cioè è un percipiens perché sa di esserlo, se non sapesse di esserlo, se non potesse mai saperlo non sarebbe un percipiens. La questione complessa è sempre fare intendere che le cose in un certo senso girano su se stesse, in definitiva la questione più ardua è fare intendere che il linguaggio è autoreferente, non c’è un referente fuori del linguaggio, e se non si intende questo si va sempre a cercare il referente da qualche parte e cioè in qualche cosa che non è linguaggio, e quindi forse si potrebbe partire dalla questione dell’autoreferenzialità del linguaggio, cioè che il linguaggio per funzionare non necessita di nessun referente che sia fuori di sé, è un sistema chiuso che consente infinite combinazioni ma chiuso, cioè non può uscire da se stesso, questa è una via sicuramente, occorre valutarne e verificarne l’efficacia, possiamo certo dimostrare che il linguaggio non può dire di cose che sono fuori del linguaggio ma rimane una dimostrazione logica, e anche una costrizione logica, però retoricamente non è efficace le persone stanno lì a sentire e non succede niente, rimane comunque l’idea che un po’ come diceva quel tipo che era la prima volta che ci ascoltava “va bene” alla fine ha detto “comunque c’è la vita”. Ancora non ci è chiara la via ma la troveremo riflettendo in termini teorici, è quando le cose sono straordinariamente chiare in termini teorici che diventa più facile esporle…

Intervento: come è possibile non considerare il corpo nel linguaggio?

Non è un paradosso, se considera la posizione da cui muove non lo è, in effetti dire tutta questa serie di cose è possibile perché c’è il linguaggio, ma il linguaggio il nostro interlocutore lo pone come un mezzo per descrivere delle cose che sono fuori dal linguaggio, e che gli consente di conoscerle…

Intervento: è un paradosso perché lui ha inferito per affermare ciò

Sì ma avendo inferito ha utilizzato il linguaggio, lo ha utilizzato…

Intervento:…

Anche se si ponesse questa domanda potrebbe rispondersi che è il linguaggio che gli ha consentito di imparare, imparare la relazione fra le cose, ma queste cose che impara non sono linguaggio, il linguaggio le descrive e descrivendole le organizza, dopodiché c’è l’acquisizione, la conoscenza…

Intervento: se uno non avesse imparato

Non saprebbe l’esistenza di quelle cose…

Intervento: se lui non avesse mai detto nulla non saprebbe nulla

Vero, questo sarebbe anche disposto a concedercelo, ma le cose esisterebbero comunque indipendentemente dal fatto che lui le conosca…

Intervento: sì ma ha posto un’altra proposizione

Sì ma sta continuando a usare il linguaggio, lo usa come uno strumento per descrivere degli oggetti, delle cose, degli stati d’animo, delle sensazioni. Verrebbe da pensare che la sola via sia quella di muovere dalla costrizione logica mostrando come l’elemento di questa costrizione logica proceda attraverso un criterio che è l’unico possibile, se no la vedo difficile. Diciamo questo: qualunque cosa è un elemento linguistico, e poi mostriamo qual è il criterio per potere affermare una cosa del genere, qualunque criterio ovviamente è un criterio logico, ma quale logica? Qual è l’unica logica che ha un fondamento? Che può affermare le cose con assoluta certezza? Cioè che ha un carattere di necessità? Ovviamente l’unica è quella che è fatta dello stesso materiale di quella cosa che gli sta consentendo di compiere questa operazione…

Intervento: secondo me lei dice della difficoltà che hanno le persone di seguire… prima catturare l’attenzione con quello che può interessare il luogo comune, fare un discorso teorico li perdiamo già subito… il nostro discorso deve poter diventare familiare… il nostro discorso deve provocare o curiosità o contrarietà ma non indifferenza nel senso che non ci segue… interessa che la persona risponda

Già la questione è posta in modo più semplice di qualche tempo fa, però in una conferenza manca il modo, manca il tempo, manca l’opportunità rimane…

Intervento: deve servire a loro…

Sì, serve per divertirsi, per imparare una cosa nuova, e sul fatto che sia una cosa nuova anche su questo si può giocare, sul fatto che ciò che andiamo facendo è una cosa assolutamente nuova e differente da qualunque altra…

Intervento: io ho tentato di porre delle questioni partendo dalla psicanalisi… il linguaggio è importante ma… se si riprendono delle questioni demolendo intanto una sorta di ideologia della psicanalisi e riportando all’interno del linguaggio tutte le affermazioni della psicanalisi e dimostrando che questo è l’unico modo possibile per poter praticare come analista

Intervento: nell’incontro di giovedì partirò dal discorso che andiamo facendo da quindici anni e dalla nostra affermazione che qualsiasi cosa è un gioco linguistico e che questo non è un ghiribizzo di una solita associazione culturale ma è il solo modo per poter pensare e quindi poter accogliere la novità

Intervento:  è interessante anche insistere sulla politica della psicanalisi andiamo smontando… c’è una sorta di ipnosi nella società…

Ciò che faremo nel prosieguo è rendere tutto l’impianto logico di questo discorso più potente, non lo è abbastanza, questo è il lavoro che faremo, molto più potente. Va bene, ci vedremo martedì prossimo.