18-9-2013
La filosofia analitica, la filosofia del linguaggio in pratica, sta perdendo terreno. La questione che avrebbe dovuto cogliere e incuriosire Eleonora è il motivo per cui la filosofia analitica sta perdendo interesse, il fatto è che non è riuscita, non riesce e non riuscirà mai nel suo intento, è per questo che viene abbandonata. La filosofia analitica ha fallito il suo compito, fallendo il suo compito fra i filosofi del linguaggio almeno una parte e tra questi Marconi dove si rivolge, non sapendo più che cosa fare? Si rivolge alla psicologia, alle neuroscienze, aspettando da lì la risposta a quelle domande alle quali la filosofia del linguaggio non ha saputo rispondere. La filosofia analitica ha fallito il suo obiettivo ormai da tempo non riuscendo a dare al “significato” una determinazione che fosse almeno soddisfacente, tutte le teorie, a partire da Frege, fino alle più recenti, non hanno mai tenuto conto di un fatto, che è quello che poi gli si è ritorto contro senza che loro se ne rendessero conto, e cioè il fatto che nell’indagine intorno significato e cioè nel tentativo di stabilire un criterio per dire che cosa è il significato, come funziona e poi anche come accade che qualcuno comprenda le cose eccetera, l’impossibilità di stabilire questo procede dal fatto che nessuno si è mai accorto che, potrà sembrare una cosa molto banale, che per indagare il significato si utilizzano significati, senza i quali questa indagine non potrebbe darsi. Questo comporta un effetto, che è quello di spostare continuamente il significato del significato mano a mano che si procede, come se il tentativo di fissarlo, di fermarlo apparisse sempre inadeguato, che è esattamente quello che riscontrano tutti i filosofi del linguaggio, e cioè la inadeguatezza di ogni teoria semantica. È un problema notevole questo, dicevo che nessun filosofo del linguaggio si è accorto che tuttavia ha degli effetti, quali? Il primo è quello di cui parla Marconi, dice che la filosofia del linguaggio è finita, non ha più niente da dire e dobbiamo rivolgerci alla psicologia, alle neuroscienze, questo però è interessante, non teoricamente, ma interessante mettiamola così “clinicamente” perché è come rivolgersi a un qualche cosa che ci si aspetta che possa dire che il significato è l’effetto di certi spostamenti di neuroni o dell’intervento di certe aeree cerebrali. Il problema però Eleonora qual è andando a cercare in quella direzione? Perché il problema non è più riguardo alla teoria semantica un problema di riferimento referenziale o inferenziale, ma è un problema che riguarda il modo in cui certi mutamenti fisiologici, fisici, determinino o possano determinare dei mutamenti semantici, linguistici. Dire che, supponiamo, se i neuroni si muovono in un certo modo, se viene sollecitata una certa area del cervello allora lì si produce la comprensione del significato, non è e non sarà mai un fatto provabile, a meno che non sia quella parte interessata del cervello a esprimersi direttamente e dire che è la responsabile di una cosa del genere: una certa area si illumina perché passa sangue, e aumenta la temperatura, tutto lì, e allora quella è responsabile! Però si accende anche un’altra area che non c’entra niente, e allora che si fa? E continuano a fare i loro esperimenti che non porteranno da nessuna parte, però l’idea è che la psicologia possa rispondere a una cosa del genere. La psicologia è una mitologia, immagina che magicamente avvengano certe cose delle quali non sa rendere conto, nonostante tutti gli esperimenti che fa ininterrottamente. La psicologia muove da alcuni asserti che sono magici, non molto differentemente da alcune posizioni della filosofia del linguaggio, per esempio uno di questi è Donald Davidson per il quale la verità è un concetto acquisito, infatti lui non dice cosa sia la verità, ma è un qualche cosa che si dà da sé. C’è sempre all’origine la magia, la stessa cosa accade anche a Freud quando si inventa l’Es, l’Es sarebbe la scatola delle sorprese, dove dentro ci sono delle robe strane che saltano fuori ogni tanto a scombinare i piani della persona, oppure la pulsione, che avrebbe, così, naturalmente, una spinta verso non si sa cosa né perché, ma c’è naturalmente. Come dire che ciò che non si sa spiegare diventa naturale, per usare un termine più preciso, diventa una ideologia, una credenza, una superstizione e la psicologia è questo, è una superstizione. Le cose che rileva la psicologia sono effetti del funzionamento del linguaggio, non hanno nulla né di magico, né di misterioso. Ora tenendo conto dell’orientamento in cui sta viaggiando Marconi ultimamente, occorre porre la questione del “significato” con qualche variante. Tu parti da Wittgenstein e va bene, in fondo dopo tutto la teoria del significato come “uso” è condivisa praticamente dalla totalità dei filosofi del linguaggio, tranne eccezioni assolutamente irrilevanti, e quindi puoi indicare il significato come l’uso che viene fatto dai parlanti però ponendo una precisazione, perché vedi, ciò che è importante per intendere il significato anche nelle teorie composizionali, che anche quelle sono accreditate, dire che il significato di una proposizione procede dal significato degli elementi che la compongono non va bene, infatti ci sono delle obiezioni a una cosa del genere, per esempio prendi Austin. La teoria semantica di Austin è sicuramente originale rispetto alle varie teorie semantiche, per lui il significato di una proposizione procede dall’adeguamento di quella proposizione alle regole stabilite da un protocollo che definisce quell’operazione, come il famoso varo della nave, io non posso dire “in questo momento varo una nave”, per varare una nave occorre che ci siano delle regole precise, stabilite da un protocollo, intanto ci vuole la nave, primo, che qui non abbiamo in questo momento, poi ci vogliono tutta una serie di personaggi e poi alla fine ci vuole anche la bottiglia di spumante che da sola non fa il varo di una nave. Solo a quelle condizioni è vero, occorrono cioè quelle condizioni che sono state definite come protocolli per eseguire quell’operazione. Questo significa che la teoria semantica di Austin già pone le cose in modo interessante per qualche verso, e cioè che il significato, in questo caso, non è affatto composizionale, per esempio, il significato della proposizione “sto varando una nave” nel caso di Austin, non dipende affatto dai significati dei singoli componenti della proposizione, dipende dalle regole e dal protocollo stabilito perché questa proposizione inserita in queste regole sia vera. Questa ci induce a considerare che c’è qualche cos’altro oltre la composizionalità che pure è importante, ma non è sufficiente, condizione necessaria ma non sufficiente, perché necessaria? È necessaria perché comunque perché un termine sia utilizzabile deve avere un significato: infatti se io ti dico per esempio “il pensiero sovversivo di Freud” ciascuno di questi termini per te ha un significato, ma se io te lo avessi detto in finlandese, e supponendo che tu non conosca il finlandese, ciascuno di questi termini per te non significa niente, cioè questo suono che tu senti della mia voce non rinvia per te assolutamente a niente, quindi non ha un significato. Questo ci dice in prima istanza che il significato deve necessariamente essere un rinvio, solo a questa condizione è utilizzabile dal discorso, se non è utilizzabile non è niente, appunto è la parola finlandese, non è utilizzabile da te, sì, dico una parola in finlandese e cosa te ne fai? Allora è necessario dunque che la teoria composizionale ci sia perché ciascun termine possa essere utilizzato dal discorso, cioè abbia un utilizzo che è quello grosso modo dato dal dizionario. Molti si sono accorti che il significato, almeno se si tratta di un termine, è indeterminato, non è determinabile con precisione, con certezza. È un po’ come il significato che trovi su un dizionario, apri un altro dizionario e trovi un significato che è simile ma non è proprio quello, quindi è determinabile sempre con una certa approssimazione, però sufficiente per potere utilizzare quella parola. Una volta che hai questi elementi puoi utilizzare i termini perché conosci il significato, cioè sai a cosa si riferiscono letteralmente, quindi sono dei riferimenti, hanno dei riferimenti, non alla cosa in sé ma a altre parole, cioè hanno un rinvio, allora puoi utilizzarli, utilizzandoli tu li componi, li metti insieme, li assembli in proposizioni, e passiamo dalla logica dei predicati a quella delle proposizioni che è più complicata perché non ci sono soltanto degli asserti, ci sono delle frasi che possono anche essere lunghissime e complicatissime, ora a questo punto qual è il significato di una proposizione? Dipende da tante cose, e qui si sono sbizzarriti. Per esempio Grice parla di implicazione cioè un termine implica qualche altra cosa ma in modo in particolare a seconda dell’intenzione di chi sta parlando, quindi riprende la questione dell’intenzionalità anche se in modo differente, cosa che poi molti riprendono, e si accorgono che per dare un significato a una proposizione non bastano i significati dei singoli termini, ci vuole qualcosa in più, ci vuole cioè un qualche cosa che dica perché stai dicendo le cose che stai dicendo, qual è la tua intenzione, cosa che anche Austin aveva posta distinguendo gli atti locutori, illocutori, perlocutori. Con perlocutorio intende l’atto che raggiunge un certo obiettivo, cioè soddisfa una certa intenzione. È come se si spostasse sempre di più la direzione della filosofia analitica verso risvolti psicologici, perché quando loro parlano di intenzione, di volontà e tutte queste cose, scivolano verso la psicologia che tendenzialmente si occupa di queste storie, e quindi il progetto di Frege per cui il significato di una cosa è univoco, è quello e non si discute, e cioè è il referente, non è più così semplice, diventa più complicato, diventa più complicato perché si accorgono che intervengono molte altre cose. All’interno di una proposizione intervengono tantissime cose, per esempio il modo in cui io dico una cosa a una certa persona per farle intendere qualche cosa, e può essere totalmente differente dal modo in cui dico la stessa cosa a un’altra persona se l’intendimento è differente. Se per esempio dicessi a Eleonora “ma come sei simpatica questa sera” qual è il significato di questa proposizione? Non lo desumiamo unicamente, anche sì, dalla composizione dei termini che è necessaria perché tu possa capire quello che sto dicendo, ma il senso di questa frase può essere esattamente il contrario per esempio, o può essere invece una conferma cioè dire a Eleonora che è molto simpatica per farle un complimento per spingerla a fare delle cose, l’intendimento potrebbe essere quello, o qualunque altra cosa. Quindi tutto ciò che interviene dà una direzione al significato che ogni volta è differente, e i filosofi del linguaggio si sono trovati ad avere a che fare con queste cose senza avere gli strumenti per affrontarle. Non hanno strumenti psicoanalitici, cioè quegli strumenti che consentono di intendere come intervengono le fantasie e la loro portata. La semiotica si occupa di intendere come si produce del significato nelle proposizioni in base all’andamento delle proposizioni, quindi al racconto stesso, perché è una teoria olistica in un certo senso, perché intende il significato di una proposizione in base al racconto in cui è inserita. Ciò che interessa qui è che una volta stabiliti dei termini, e cioè posto che certi termini sono utilizzabili dal discorso, la domanda è “il discorso in che modo li può utilizzare?” in quanti modi? Finiti? Infiniti? Uno dei problemi della filosofia del linguaggio è trovare teorie che siano finitiste, e cioè stabiliscano dei parametri finiti entro i quali muoversi perché se no il significato non lo troveremo mai, se viene spostato all’infinito per esempio. Quindi si ha bisogno di teorie finitiste, però porre una teoria finitista significa dare un’imposizione. Porrei così la teoria del significato, a partire da Wittgenstein, e poi facendo una breve carrellata di ciò che è seguito alla teoria di Wittgenstein, la teoria del significato come “uso” e mostrando alcuni che fanno ricorso a questa posizione e mostrare il problema che sorge nel momento in cui se si parla del significato come uso, questo porta alla teoria composizionale ma la teoria composizionale comporta un grosso problema che a te piacerebbe mettere in evidenza. Il problema che interviene rispetto alla composizionalità è che pur essendo necessaria, ciò non di meno il significato della proposizione non dipende più dal significato dei termini, (non solo) non solo, brava, da una parte quindi il significato dei termini è necessario, se io le stessi parlando in finlandese delle parole che io utilizzo lei non saprebbe cosa farsene…
Intervento: lui direbbe: io non lo capisco ma un significato ce l’ha, un riferimento anche comunque a prescindere ce l’ha… non capisci il suono della proposizione ma un significato ce l’ha a prescindere…
Non precipitarti, stiamo dicendo che è importante conoscere il significato dei termini senza il quale non puoi in nessun modo conoscere il significato della proposizione, ora io ti facevo l’esempio, “se io ti parlassi in finlandese” tu mi dici “comunque quello che mi dici ha un significato”, per me naturalmente, se io parlo il finlandese, ma se io, finlandese, parlo con te che non conosci il finlandese e ci metto dentro una parola che non significa niente neanche in finlandese, tu non te ne accorgi e quindi a questo punto che significato ha quella parola che io ci ho messo dentro nel discorso che dovrebbe avere comunque un significato mentre non ce l’ha? Non ha un significato anzi, posso farti un primo discorso in finlandese che ha un significato ben preciso, poi ti faccio un altro discorso che imita il suono del finlandese con parole che non hanno nessun significato né in finlandese né in nessun altra lingua, però tu non lo puoi sapere in nessun modo…
Intervento: Il discorso fatto in finlandese in sé ha un significato al di là del fatto che non lo si conosce e questo non lo puoi negare… semanticamente ha un significato ma a livello della comprensione per me non ha significato perché io non lo capisco… il fatto stesso che sia traducibile ha un significato…
Sì, questa è la teoria di Davidson. Lui postulava nella sua teoria dell’interpretazione, la verità come interpretazione, e cioè io faccio un bicondizionale, che sarebbe il “se e soltanto se”, e a sinistra metto una parola e a destra ci metto la spiegazione, ora se il parlante nativo mi conferma che quello che è a destra del bicondizionale è vero allora abbiamo la prova che quello a sinistra è vero. Questo non toglie nulla al fatto che comunque la teoria della comprensione preveda una teoria semantica, perché se no comprendi che cosa? Questa è una domanda legittima, occorre distinguere, sì, didatticamente si distinguono, ma di fatto una teoria della comprensione che non sia supportata da una teoria semantica porta a questa domanda: “la comprensione di che cosa?” oppure “cosa significa quella cosa che qualcuno mi sta dicendo?”. La teoria semantica, lo andiamo ripetendo da tempo, è una teoria del rinvio: se qualcosa non rinvia a niente è un problema, deve rinviare a qualche cosa necessariamente, solo allora diciamo che ha un significato, se no è niente… Intervento: se tu mi dici una parola in finlandese io non la capisco ma so che comunque ha un rinvio anche solo il fatto che io so che è una parola…
Quello che dici tecnicamente sarebbe una possibilità, non una certezza…
Intervento: che la proposizione ha in sé significato è una posizione un po’ metafisica… però dire che non ha significato per il solo fatto che non la comprendi…
Presuppone che abbiamo già stabilito che cosa sia il significato, quindi dobbiamo stabilire che cos’è un significato, e si torna esattamente al punto di partenza. Questa discussione che stiamo avendo io e te in effetti è una discussione che ha operato per decenni nell’ambito della filosofia analitica, e questa impossibilità di determinare il significato in modo univoco oramai è stata comunemente accettata: non c’è un significato di ultima istanza, quello definitivo per cui è così, da dove viene il significato? Ce lo dice Wittgenstein, viene dall’uso, dall’uso stabilito nei secoli, nei millenni e poi adottato, è un rinvio, ecco qui l’intoppo. L’intoppo del significato nella lingua naturale perché quando si parla di linguaggi formalizzati il problema non sussiste praticamente se non in un modo molto, molto minore appunto perché essendo formalizzato ci si occupa solo della forma, basta che la forma sintatticamente sia corretta in quel caso è la sintassi che determina la semantica ovviamente ma invece nelle lingue naturali la cosa è più complicata, ma è di queste che si occupa la filosofia del linguaggio, di quegli altri aspetti si occupa la logica, la matematica. Quindi dicevo che il problema del significato viene risolto così, il significato è l’uso, e Wittgenstein aveva compreso molto bene la cosa osservando una partita di pallone gli è venuta in mente questa genialata. L’uso è ciò che consente di usare una parola, poi il modo in cui la userò all’interno di una proposizione questo non dipende più soltanto da questo, questo abbiamo detto che è necessario che ci sia la composizionalità ma non è sufficiente, non ci dice più niente del significato di una proposizione a meno che non sia un linguaggio formalizzato, ma non è di questo che stiamo parlando. I linguaggi formalizzati sono un’altra cosa, un’altra questione invece nel linguaggio naturale intervengono una quantità sterminata di variabili che sono poi quelle variabili che Freud ha incominciato a interrogare chiamandole “fantasie”, sono queste le variabili, quali fantasie intervengono? Se io dico, come dicevo prima che questa sera Eleonora è proprio simpatica, non c’è soltanto l’eventualità che io lo possa dire come antitesi, retoricamente, cioè alludendo al contrario, ma c’è anche il tono in cui lo dico. Se io modifico il tono modifico il significato, se lo dico con un certo tono Eleonora la prende per una bella cosa, se invece cambio il tono il significato può cambiare del tutto. E tu hai imparato che un tono fatto in un certo modo è un segno anche lui, ha certi rinvii, il tono, per esempio della voce più secco, più asciutto può determinare un significato di irritazione, pur dicendo che invece Eleonora è proprio simpatica sta sera. Tutte queste cose, i toni, i gesti, concorrono a determinare il significato di quella proposizione. Di queste cose la filosofia del linguaggio cerca di farne delle categorie, di incasellarle in categorie più o meno utili, però tanto in là non può andare perché non ha gli strumenti per farlo. La semiotica può fare un passo in più, Greimas in particolare, ma anche Hjelmslev forse.