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12-5-2010

 

Il criterio di prova

 

Questa sera incominciamo a riflettere sul linguaggio, sulla struttura del linguaggio. Quando abbiamo incominciato a considerare il linguaggio in modo più preciso, deciso e anche più appropriato, abbiamo subito considerato la questione della logica e abbiamo avvertito immediatamente la necessità non solo di riconsiderare la logica ma di ridefinirla partendo da che cosa si stesse facendo nel momento in cui si stava riflettendo sulla logica, cioè partendo dal fondamento e cioè domandandoci che cosa effettivamente ci si stava chiedendo domandandoci che cosa fosse la logica, che cosa stessimo facendo. Ciò che ha accompagnato da sempre queste riflessioni è questa ineluttabile considerazione e cioè che parlando, interrogandoci sul linguaggio stavamo utilizzando ciò stesso che era oggetto delle nostre considerazioni, cosa tutt’altro che marginale e irrilevante. Un’altra domanda che si era posta è che definendo il termine logica naturalmente avremmo fornito una serie di elementi, quali tra questi sarebbero stati accolti come una definizione di logica e perché?

 

Criterio di prova

Proposizione 1.1

Cosa ci stiamo domandando esattamente? Cioè questo è il primo quesito, naturalmente questo da per acquisito che ci stiamo domandando qualcosa anziché nulla, no? sembra una cosa assolutamente banale però è parso importante porre la questione,

 

proposizione 1.2

Domandandoci che cos’è la logica occorre in prima istanza la supposizione che esista una certa cosa che chiamiamo logica e della quale cerchiamo migliori informazioni. Potrebbe essere legittimo domandarsi come so della sua esistenza?

 

In effetti se io mi interrogo sulla logica come so che c’è? Posso averlo imparato certo, però a questo punto do per acquisito che esista già un qualche cosa e dare per acquisito questo sapere potrebbe anche sviare la ricerca nel senso di darsi da fare per trovare qualcosa che si sa che c’è, e questo modo di partire potrebbe anche viziare la ricerca. Quindi il percorso che abbiamo seguito a questo punto, visto che si parla di linguaggio, è prestare attenzione a ciò che stava accadendo mentre stavamo facendo queste operazioni: per esempio se mi pongo delle domande occorre che io lo sappia fare, sappia fare delle domande e sappia anche riconoscere una risposta nel momento in cui una cosa del genere interviene, come so tutte queste cose? Le ho imparate ovviamente, qualcuno mi ha insegnato a fare questo gioco. E un gioco per essere tale ha delle regole, è regolato da delle istruzioni: alcune cose sono consentite altre no. Domandandoci che cos’è la logica, nel domandarcelo stesso già ci stiamo attenendo a delle regole. Poco prima avevo posto un’altra domanda assolutamente banale, per esempio chiedendomi che cos’è la logica mi chiedo “che cos’è la logica? Anziché “che ore sono?” come mai? Perché la formulo con queste parole anziché con altre? Sono delle regole ovviamente che indicano il modo in cui si deve proseguire, qual è la direzione nel caso io mi domandi una certa cosa per cui effettivamente mi chiedo “che cos’è la logica?” anziché “che tempo fa fuori?” Per dire che anche questa domanda è vincolata a delle regole senza le quali regole io non potrei chiedermi che cos’è la logica perché domandarmi che cos’è la logica equivarrebbe a domandarmi che ore sono o che tempo fa fuori, delle regole che precisano l’uso dei termini per esempio.

 

Proposizione 1.4 ……quando compongo una proposizione che risponde ai requisiti per poterla chiamare domanda, che cosa ho fatto esattamente se non ciò che ho appena descritto? e cioè costruire una proposizione che risponde ai requisiti richiesti per poterla chiamare domanda. Ma requisiti richiesti da chi?

 

Evidentemente dal gioco che sto facendo, come dire che ho imparato a costruire domande così come ho imparato a costruire delle risposte, più che a riconoscerle, a costruirle, perché una volta che so come si costruisce una risposta allora so riconoscerla, se no riconosco che cosa?

 

1.5 “ devo sapere che se parlo di qualche cosa che è una risposta allora c’è stata un’altra cosa che io chiamo domanda?” potrei non sapere nulla di tutto ciò? In questo caso ciò stesso che sto dicendo non potrebbe essere detto, in questo caso ciò che segue l’ultimo punto interrogativo è ciò che chiamo risposta, ciò che la precede domanda.

 

Perché ho imparato che una certa cosa è una domanda, grammaticalmente si usa generalmente metterci un punto interrogativo, se è scritta, se è parlata si modifica il tono per esempio, un tono può alto per cui ho imparato a fare una domanda e ho imparato a costruire una risposta, l’ho imparato non è che sia una cosa naturale che viene da sé.

 

1.6 dunque riflettendo su queste cose, dicendo tutte queste cose faccio qualcosa in più che applicare le regole di un gioco? Non acquisisco forse informazioni su qualche cosa che è al di fuori del gioco? Anche questa è una domanda …

 

1.7 per potere costruire questa domanda devo essermi attenuto al gioco del quale stavo parlando e cioè quell’insieme di regole che ho imparate e che mi consentono di costruire una domanda e anche di sapere che l’ho fatto perché devo anche sapere questo, ci sono un sacco di cose che devo sapere quando mi faccio una domanda qualunque. Pare necessario che io conosca il gioco per potere affermare che qualcosa non è un gioco, distinguerlo: questo è un gioco e questo no, come lo so? Cioè mi trovo costretto a utilizzare x che è un gioco, per potere affermare che una certa y non lo è, la y sarebbe il non gioco, quindi occorre un gioco per poter affermare che qualcosa non lo è ... Intervento: come dire che io so che esiste il nero perché esiste il bianco?

No, lei è aldilà di tutto ciò, io sono ancora molto al di qua e cioè mi riferisco ad un gioco che consente di costruire delle proposizioni, se non ci fosse un gioco, la possibilità di giocare non esisterebbe. Dunque affermando che qualcosa non è un gioco ovviamente sono costretto a giocare, non posso non farlo, come dire ancora che posso affermare che qualcosa non è un gioco a condizione che esista un gioco che mi consenta di farlo …

Intervento: comunque non potrebbe esserci un non gioco?

È all’interno di un gioco ovviamente, se no non potrebbe porsi neanche la questione, è un gioco e poi all’interno di un altro gioco che posso chiamare non gioco, posso affermare, per esempio, che non esiste il linguaggio, ma è una formulazione paradossale che è vera se e soltanto se è vera la sua negazione, come tutti i paradossi.

 

1.8 abbiamo appena detto che qualcosa non è un gioco se e soltanto se esiste un gioco che mi consente di affermarlo, senza tenere nel dovuto conto l’eventualità che qualcosa sia ciò che è al di fuori di qualsiasi gioco perché se così fosse, se qualcosa è al di là di qualsiasi gioco allora si porrebbe l’eventualità che anche la logica possa porsi in questo modo e cioè fuori dal gioco e dalle regole che cercano di definirla.

Tutto questo per dire che la logica o è all’interno di un gioco oppure è un’entità a sé come molti hanno pensato platonicamente, è lì, in attesa che qualcuno la scopra, come anche Galilei: l’universo è scritto in caratteri matematici si tratta di trovare le leggi che lo regolano. Cioè è posto fuori da ogni cosa e invece stiamo considerando che non sia esattamente così, cioè che la logica non sia fuori da queste regole, naturalmente questo ci condurrà a dire che la logica è queste regole stesse, ma occorrono ancora dei passaggi.

 

1.9 Se la logica, poniamo questa eventualità, si trovasse fuori dal gioco e dalle regole che cercano di definirla questo lo sapremmo oppure no?

Se la logica fosse fuori dalle regole che la definiscono cioè fuori da un gioco linguistico per dirla in breve, allora lo sapremmo questo?

Intervento: sarebbe a dire: coglierla senza linguaggio.

Esattamente, nel caso non lo sapessimo potremmo affermarlo? Sì possiamo affermarlo ma che cosa affermeremmo in questo caso? Un’eventualità nella migliore delle ipotesi, qualcosa che potrebbe essere ma anche non essere, perché se non ho modo di sapere qualche cosa con certezza posso fare un’ipotesi, la questione è che un’ipotesi che non ha nessun modo, nessuna possibilità di essere verificata è una credenza Però teniamo sempre conto continuamente, come i computer, che facendo queste considerazioni stiamo di nuovo utilizzando delle regole, regole di composizione di proposizioni, questo dobbiamo sempre tenere presente, ma queste regole non ci vietano forse di affermare vero ciò che non sappiamo essere tale? Una domanda: queste regole che stiamo utilizzando, di fatto sono il linguaggio, ci consentono di affermare che qualcosa è vero se non lo sappiamo? Per il momento lasciamola in sospeso questa domanda, come dire in altri termini: è necessario che ci siano dei requisiti per potere affermare che una proposizione è vera? Parrebbe di sì perché in caso contrario non potremmo stabilire mai in nessuna occasione se qualcosa è vera oppure no, e pertanto neppure questa affermazione e neppure la sua contraria e neppure qualunque altra. In tal caso la parola “vero” non potrebbe avere più alcun utilizzo. Sto dicendo che la parola “vero” ha un utilizzo se inserita all’interno di un gioco, cioè vincolata a delle regole che ne condizionano l’utilizzo, quali siano queste regole e quale l’utilizzo questo ancora non lo sappiamo, però per potere affermare che qualcosa è vero, è necessario che ci siano delle regole che ci consentano, che ci permettano di stabilirlo in base a qualche cosa, se no qualunque cosa sarebbe vera o falsa indifferentemente, appunto la parola “vero” non avrebbe più nessun utilizzo.

 

1.10 tuttavia se possiamo affermare ciò che stiamo affermando è per via di quelle regole del gioco che stiamo utilizzando, che come abbiamo considerato in precedenza sono regole di esclusione e cioè escludono che un elemento del gioco possa essere altro da sé. Questa è una regola di esclusione importante, ciascun elemento occorre che sia identificato, che sia se stesso, ed è una regola questa, non è un’affermazione né ontologica e neanche un’ipostasi. Se la parola “vero” ha un utilizzo all’interno del gioco allora si danno delle regole che ne vincolano l’uso, in questo caso posso affermare che una proposizione è vera se soddisfa i requisiti stabiliti dalle regole del gioco in cui è inserita, e questa è un’altra regola del gioco o che altro? Poiché la dimostrazione, per esempio, non è altro che una sequenza di proposizioni le quali proposizioni potranno essere costruite soltanto utilizzando quelle stesse regole che mi consentivano di affermare che una proposizione è vera, come dire che qualunque cosa io faccia, qualunque cosa io cerchi di affermare o di negare questa cosa è sempre comunque tale in base a delle regole, se no non esisterebbe niente …

Intervento: ma l’esistenza di queste regole è qualcosa che si intuisce, che si deduce? che è autoevidente?

Prova a rispondere tu Eleonora …

Intervento: io penso che la si deduca …

Esattamente, da che cosa?

Intervento: dal fatto che per affermarle bisogna avere altre regole …

Certo, e cioè si deduce dal funzionamento in atto del linguaggio cioè di quella stessa cosa che stiamo utilizzando per fare queste affermazioni, vale a dire che dal modo in cui parliamo, da ciò che necessariamente dobbiamo fare parlando, possiamo incominciare a dedurre alcune regole. Qui le chiamavamo ancora regole, in realtà sono istruzioni. Se io affermo una cosa e il suo contrario simultaneamente, e sono fuori dalla retorica, perché in retorica si può fare ma per altri motivi, allora se faccio questo il discorso non ha possibilità di proseguire, si arresta, non va avanti, e allora possa incominciare a pensare che questa sia una delle regole che fa funzionare il linguaggio, così come un’altra per esempio, l’identità di un elemento. C’è un esempio che abbiamo fatto un milione di volte, se una singola parola significasse tutte le altre simultaneamente il linguaggio cesserebbe di funzionare, e quindi questa è un’altra regola, una di quelle cose che sono necessarie al funzionamento del linguaggio, che lo fanno funzionare, poi vedremo più in là come queste cose di fatto sono la logica stessa del linguaggio.

 

1.11 Quindi posso definire la logica attraverso un gioco e le sue regole, cioè pare da quanto affermato prima che la logica non possa darsi al di fuori del gioco che la definisce in quanto quest’ultimo costituisce la condizione della sua esistenza. In definitiva siamo partiti dalla logica, dall’idea, dall’intento di definire la logica, ci siamo accorti che qualunque cosa si utilizzi per definire, o questo sistema che si utilizza per definire, ciascuno lo ha imparato, non soltanto, ma per stabilire se una certa affermazione sarà vera oppure falsa, questa ricerca intorno alla logica, questa verità o falsità delle affermazioni che ci troveremo a fare, è definita da delle regole, quelle regole stesse che ci consentono di farci le domande. È un sistema ricorsivo, ogni volta che interviene un’affermazione è come se questa affermazione andasse a ritroso a verificare tutta la struttura che la fa funzionare, cioè va a verificare se questa affermazione non contraddice le premesse da cui è partita. Dunque siamo giunti a considerare che posso definire la logica soltanto attraverso un gioco e le sue regole, e abbiamo anche detto che l’esistenza, della logica in questo caso, è data dal fatto che è inserita all’interno di un gioco e cioè è questo gioco che la fa esistere, questo gioco linguistico, cioè il linguaggio fa esistere questo termine perché per poterlo affermare dobbiamo attenerci a delle regole, se no non potremmo affermare né che sia vero né che sia falso.

 

1.12 ci siamo trovati a parlare di regole come regole di esclusione ma chi definisce queste regole? O se si preferisce chi le impone? Da dove arrivano queste regole, così ferree così inamovibili? Oppure le ho stabilite io in un impetuoso irreversibile, poderoso, atto di autorità? (per me va bene lo stesso che sia stato lei!)

 

1.12 Allora c’è qualcosa che mi vieta di dire per affermare “ci siamo trovati a parlare di regole come regole di esclusione, ma chi definisce queste regole o se si preferisce chi le impone?” di dire per esempio, tornando alla questione di prima “a me piacciono le mele?”, c’è qualcosa che ci costringe a costruire la frase in questo modo anziché in un altro? Perché non posso usare questo ultimo cioè “a me piacciono le mele” per dire tutto quello che ho detto prima? Perché? La risposta a questa domanda ci porterà alla questione, perché potrei usarla naturalmente in un linguaggio cifrato, è ovvio, poi tuttavia per potere essere comprensibile cioè utilizzabile dovrà poter essere ricondotta all’espressione precedente. Dunque quali regole mi costringono a usare un’espressione e non un’altra, perché non posso usarne una qualunque?

 

1.13 Queste considerazioni riconducono a delle regole che sono in atto adesso, adesso mentre ne sto parlando, perché in assenza di tali regole né questa nessun altra cosa può essere scritta, detta o pensata. Dunque la domanda sulla logica riguarda la logica, dunque una serie di istruzioni per costruire proposizioni, cioè quelle particolari stringhe di elementi linguistici che chiamiamo proposizioni. Potrebbe essere, perché escludere questa possibilità? e infatti non la escludiamo.

 

1.14 Chiedendoci che cosa ci stiamo domandando esattamente quando ci interroghiamo intorno alla logica dovremmo rispondere che stiamo ponendo in atto un gioco con le sue regole, nient’altro che questo, o stiamo facendo qualche altra cosa? Anche quest’ultima domanda potrebbe condurre alle stesse conclusioni? Come dire che tutto questo discorso ci conduce attraverso le sue regole a queste conclusioni, e cioè se non ci fossimo attenuti alle regole di questo gioco non avremmo potuto concludere nulla, in nessun modo. La conclusione stessa di cui stiamo parlando non è altro che una serie di proposizioni costruite con le stesse regole, sempre le stesse regole che costruiscono mano a mano tutto, che consentono di costruire una domanda, una risposta, di chiederci che cos’è la logica, di sapere se quello che affermiamo è vero o è falso: regole, nient’altro che regole.

 

1.15 Questo ci conduce a considerare che esistono delle regole che non possono essere trasgredite perché per trasgredirle sarei comunque costretto a utilizzarle, se voglio costruire un discorso che neghi tutto questo che ho detto dovrò comunque utilizzare queste stesse regole e pertanto le confermerò, confermerò che sono costretto a usare questo gioco, queste regole, e da questo non c’è uscita.

 

1.17 Proviamo a considerare di che cosa sono fatte queste regole che fanno il gioco: è sufficiente reperire ciò che è necessario per la costruzione di proposizioni e quindi considerare come è fatta una proposizione. Però sorge un problema: per potere dire come è fatta una proposizione sono costretto a utilizzare le regole di costruzione di proposizioni, ovviamente. Regole che so, che ho imparate, dicevamo, e pertanto non mi resta che indicare la proposizione come una sequenza di elementi linguistici utilizzabili dal discorso e cioè da altre proposizioni ovviamente, ma cosa intendiamo con utilizzabile? Con utilizzabile per il momento intendiamo che la nostra proposizione sia riconosciuta dal discorso e cioè dalle altre proposizioni come tale cioè come una proposizione e cioè come una sequenza di elementi linguistici utilizzabili dal discorso.

 

1.17 Ci appare qui una singolare struttura dove ciascun elemento di questa struttura è definito da un altro elemento della struttura, che a sua volta richiede il primo per potere essere definito, ma non soltanto, potremmo aggiungere che le regole di questo gioco impongono che ciascun elemento esista se e soltanto se fa parte di questo gioco, se ne fosse escluso infatti, non potendo partecipare di questo gioco non potrebbe partecipare di nessun altro, essendo questo gioco quello che mi consente di inventare ed elaborare qualunque altro gioco, perché per fare un qualunque gioco sarò inevitabilmente sempre costretto a costruire delle proposizioni attraverso le regole e con cosa lo farò se non con quelle stesse regole di costruzione di proposizioni di cui abbiamo parlato fino adesso?