10 settembre 2025
Agostino d’Ippona De Trinitate
Agostino ha posta una questione importante, che ormai ci è diventata familiare, e cioè che parlando interviene la Trinità: c’è la Trinità, e la Trinità serve a parlare. Ci dice che occorre che ci sia un terzo elemento che garantisce gli altri due - gli altri due sono significante e significato, cioè, il dire e ciò che il dire dice. Il terzo elemento garantisce che ci sia un qualche cosa per cui ciò che sto dicendo si riferisce a qualche cosa. Tutta la dottrina del riferimento è una teologia perché ogni cosa non può che riferirsi a un terzo elemento che funziona da garante. Ma come fa a funzionare da garante? Occorre la fede, senza la fede non c’è nessun garante e non c’è perché, come sappiamo, non è possibile determinare un significato univoco. Il significato è polivoco, nel senso che posso proseguirlo finché voglio. Quando mi arresto? Quando decido di fermarmi. Aristotele aveva inteso bene la cosa. Che cos’è che decide quel significato? Il fatto che io decido che è quello, è una mia decisione, nient’altro che quello. Quindi, è come dire che la Trinità, tutta la teologia trinitaria è una teoria linguistica, nel senso che mostra che per parlare abbiamo “bisogno” di Dio, cioè di qualcosa che garantisca che io stia effettivamente parlando di qualche cosa, che in quanto tale esiste. E qui si apre una bella questione, quella, per esempio, che ci mostra l’impossibilità della conoscenza, sempre per gli stessi motivi di prima. Cesare potrebbe obiettare: “ma se non è possibile la conoscenza anche questa affermazione rimane impossibile perché è un prodotto della conoscenza”. Sì, certo, è vero, Cesare non ha torto. Sì, perché questa conoscenza che io esibisco non è altro che la conoscenza della doxa, quella che mi viene dalla doxa, qualcosa che ho imparato, che ho appreso. Altro è invece quella conoscenza epistemica alla quale generalmente ci si riferisce per intendere la conoscenza di qualcosa in modo determinato, finito, chiuso, che non è quella della doxa. Tutto ciò che fa Agostino è risultato interessante per una serie di motivi. Per esempio, una strettissima connessione con la volontà di potenza, perché Agostino nella Trinità parla della volontà di potenza, perché gli umani cercano il bene, lo dice continuamente, il vero, il bello, e naturalmente lo trovano. Dove lo trovano? In Dio, che è la potenza assoluta. Ma, se io mi rivolgo al bene assoluto, mi rivolgo quindi anche alla verità assoluta. Questa cosa offre l’illusione di potere avere a disposizione la verità assoluta e, di conseguenza, un potere assoluto sulle cose: il Paradiso. Il Paradiso è quel luogo dove c’è la contemplazione di Dio, ma non è tanto la contemplazione, non è che uno sta lì, come spesso si immagina, a guardare qualcosa, no; la contemplazione, cioè l’estasi mistica, è la contemplazione della verità assoluta, l’idea di possedere la verità assoluta, quindi il controllo totale e assoluto su tutto, perché è questo che promette, è questo che dice di potere fare il cristianesimo: vi forniremo un potere assoluto su tutto e per sempre. La volontà di potenza trova nel cristianesimo - sarebbe il caso di dire più propriamente che il cristianesimo è una creazione della volontà di potenza - trova lì il suo fine, perché a quel punto la volontà di potenza non ha più né da superpotenziarsi, perché ha già raggiunto sopra il cielo, ecc., né può depotenziarsi, perché è il massimo, non c’è più niente oltre: la volontà di potenza ha trovato, potremmo dire, il suo mito. Per questo motivo il cristianesimo è una creazione, una produzione della volontà di potenza. Lì la volontà di potenza ha mostrato agli umani - diciamola così in modo un po’ animistico - di che cosa è capace, e cioè è capace di dare a ciascuno la possibilità di dominare, di controllare tutto e per sempre. E, infatti, a tutt’oggi nessuno rinuncia all’idea che una verità ci sia da qualche parte, deve esserci qualcosa, perché a questo fascino non si rinuncia, cioè, all’idea di potere mettersi nella posizione di Dio e quindi di salvare l’altro, perché Cristo è il salvatore, deve salvare. Se gli si leva la possibilità di salvare il genere umano, Dio non serve a niente, è totalmente inutile.
Intervento: C’è una cosa interessante, che anche nella Trinità il primo elemento è Dio e il terzo diventa null’altro che Dio che torna a sé, in un movimento dialettico.
Sì, per Agostino è così, perché lui dice c’è Dio Padre, c’è il Figlio e poi lo Spirito Santo che li mette insieme, li mette insieme e, quindi, torna indietro, in fondo. È una sorta di Aufhebung: torna indietro e combina questi due elementi in modo tale da ordinarli. Puesch dice una cosa del genere, parlando del greco che invece vedeva un movimento circolare, dove non c’è una progressione, le cose tornano, ritornano, per cui qualcuno, non mi ricordo chi, diceva che la guerra di Troia è sì passata, certo, però siccome le cose tornano, tornerà quindi anche in futuro. C’era quest’idea del tempo come di qualche cosa di non gestibile, di qualche cosa di ciclico - almeno alcuni lo pensavano, non tutti naturalmente - mentre con il cristianesimo interviene il tempo lineare: c’è un punto di partenza e un punto di arrivo; quindi, deve essere ordinato, soprattutto ordinabile.
Intervento: Pensavo allo Spirito Santo come alla funzione di ritorno su Dio, per cui Dio diventa quello che è. Lo Spirito Santo è un po’ come se dicesse che Dio ha un progetto, cioè, è l’idea che Dio ha un progetto.
Sì, potremmo anche dire così, in effetti.
Intervento: …
Dio Padre è attraverso il Figlio che opera, cioè, la manovalanza è il Figlio. Lui è la mente, ma la manovalanza è il Figlio che è il verbo, è la parola che produce, che agisce. E lo spirito? Bisogna sempre tenere conto che Agostino parla di mens, ma lo spirito nei pensatori antichi non è altro che il pensiero. Quindi, lo spirito è il pensiero di Dio, e il pensiero ha questa funzione di sintesi, di mettere insieme e, quindi, deve ordinare. E, allora, cosa ci dice Agostino? Libro dodicesimo, 6. 8. Ma allora perché, dopo aver detto: Dio fece l’uomo ad immagine di Dio, la Scrittura aggiunge nel contesto immediato: Dio lo fece maschio e femmina; li fece e li benedisse. Ora, l’eventualità che Dio possa avere fatta una cosa tanto obbrobriosa, ignominiosa, orribile, e cioè di creare l’androgino. Questo naturalmente andava immediatamente contro tutta la morale cristiana e, quindi, Agostino si premura di interpretare, perché qui l’interpretazione è d’obbligo. Bisogna forse dividere così le parti della frase: Dio fece l’uomo e continuare poi: lo fece ad immagine di Dio, e aggiungere, infine: li fece maschio e femmina? Alcuni hanno timore di dire: lo fece maschio e femmina, perché non si intendesse un essere mostruoso, simile a quelli che si chiamano ermafroditi, mentre si può, senza forzare il senso, vedere in questo singolare un’allusione all’uomo e alla donna, in quanto è detto: Due in una sola carne. Perché, dunque, per riprendere il mio ragionamento, nella natura umana fatta ad immagine di Dio, la Scrittura non menziona che l’uomo e donna? Perché l’immagine della Trinità fosse completa, avrebbe dovuto aggiungere anche il figlio, sebbene fosse ancora racchiuso nei lobi del padre, come la donna lo era nel suo costato. Succede questo, che Agostino si trova di fronte un versetto della Bibbia, che dice una cosa obbrobriosa, e allora questa cosa deve essere salvata, mondata. E questa è l’opera di buona parte della patristica. Che Dio lo fece uomo e donna, non si può neanche sentire una cosa del genere. Il problema era questo: è a immagine di Dio, ma allora Dio è un ermafrodita. Questo segue immediatamente se l’ha fatto ad immagine di Dio. Che poi, in tantissimi miti antichi c’è questa immagine di Dio che è metà uomo e metà donna; lo stesso Buddha, se ci pensate, talvolta non si riesce a capire se sia un maschio o femmina. Anche lo stesso Platone, con il mito dell’androgino. Platone lo cita come mito, quindi vuole dire che questa storia era già presente da chissà quanti secoli. 9. 14. Innamorata del suo potere, l’anima scivola dall’universale, che è comune a tutti, al particolare, che le è proprio per quella superbia che è forza di separazione, chiamata inizio del peccato, mentre, se avesse seguito Dio come guida nell’universalità della creazione, avrebbe potuto essere governata in maniera perfetta dalla legge divina. Desiderando invece qualcosa di più dell’universo, e avendo preteso di governarlo con la propria legge, precipita nella cura del particolare, perché non c’è nulla al di là dell’universo e così, desiderando qualcosa di più, diminuisce:… Vuole qualcosa di più dell’universale, ma, volendo qualcosa di più, diminuisce l’universale, perché questo qualcosa di più risulterebbe un particolare. Qui già l’anima era innamorata del suo potere e ne voleva sempre di più. 10. 15. Quando dunque l’anima con retta intenzione cerca, sia per sé sia per gli altri, di attingere ai beni interiori e superiori che sono posseduti con casto amplesso, non come un qualcosa di privato, ma come un qualcosa di comune, senza esclusione o invidia, da tutti coloro che li amano, anche se essa sbaglia in qualche punto per ignoranza delle cose temporali, dato che compie questo nel tempo e non agisce come si deve, di tratta di una tentazione umana. Vuole dire che deve giustificare l’atto sessuale, ma l’atto sessuale è una cosa umana, per cui è sempre in bilico tra la turpitudine e l’elevazione celeste. 11. 16. Ma il desiderio di fare esperienza del proprio potere fa ricadere, per un suo capriccio, l’uomo su se stesso come su un grande intermedio. Così, quando pretende di essere come Dio… Qui ce l’ha con gli gnostici, naturalmente. …a nessuno sottoposto, per punizione viene precipitato lontano persino da quel grado intermedio che è lui stesso, in ciò che vi è di più basso, cioè in ciò che fa la felicità degli animali. E così, consistendo il suo onore nell’essere l’immagine di Dio, il suo disonore nell’essere immagine della bestia: L’uomo posto in dignità, non lo comprese; si è assimilato agli animali senza ragione ed è divenuto simile a loro. /…/ Infatti, quando, trascurando l’amore della sapienza, che rimane sempre immutabile, si desidera la scienza che viene dall’esperienza delle cose mutevoli e temporali, scienza che gonfia, non edifica, l’anima per questo, soccombendo come al suo peso, e cacciata dalla beatitudine e facendo esperienza di quel grado intermedio che è essa stessa, apprende per il suo castigo quale differenza separa il bene che ha abbandonato dal male che ha commesso...
Intervento: In questo paragrafo ha semplicemente detto che entrambe le vie dell’uomo al superpotenziamento devono essere abbandonate.
Sì, infatti, a breve lui farà la distinzione tra sapienza e scienza. La sapienza è quella rivolta a Dio, è la conoscenza di Dio; la scienza sono le ragioni per cui la sapienza è sapienza divina: il famoso principio di ragione. 12. 17. Completiamo ora, con l’aiuto del Signore, lo studio intrapreso circa quella parte della ragione alla quale appartiene la scienza, cioè la conoscenza delle cose temporali e mutevoli, necessaria per esplicare le attività di questa vita. Come nella storia da tutti conosciuta della prima coppia umana, il serpente non mangiò dal frutto proibito, ma soltanto persuase a mangiarne, e la donna non fu la sola a mangiarne, ma ne diede a suo marito. e ne mangiarono insieme, sebbene abbia parlato da sola con il serpente e sia stata la sola ad essere sedotta da esso, così anche in quest’altro matrimonio misterioso e segreto, che si attua e si riconosce pure in ogni uomo considerato individualmente, il movimento carnale o, per dir così, il movimento sensuale dell’anima, che pone tutta la sua attenzione ai sensi del corpo e ci è comune con gli animali, è estraneo alla ragione che si applica alla sapienza. La sapienza è Dio. La sapienza è, come prima vi dicevo, l’estasi mistica, cioè, il trovarsi di fronte alla verità assoluta, poterne usufruire e, quindi, avere un potere illimitato su tutto, per l’eternità. Il senso corporeo, infatti, percepisce le cose corporee, la ragione che si applica alla sapienza ha l’intelligenza delle cose immutabili e spirituali. Ora, l’appetito è vicino alla ragione che si applica alla scienza, in quanto la scienza, detta dell’azione, ragiona sulle stesse cose corporee percepite dai sensi del corpo; ma se il suo ragionamento è buono, lo fa per riferire quella conoscenza al fine del Bene sommo, se è invece cattivo, lo fa per fruire di quelle cose come di beni tali in cui si possa riposare in una beatitudine menzognera. Libro Tredicesimo. 1.3. E tuttavia la fede incomincia a esistere nel cuore degli uomini a un certo momento del tempo, e, se da credenti diventano increduli, essa scompare e li abbandona. A volte poi la fede si applica anche a cose false, ci accade di dire infatti: “Ha creduto questo, ma la sua fede lo ha ingannato”. Una tale fede, ammesso che su questa si debba chiamare fede, scomparve i cuori senza che vi sia colpa, quando la scaccia la scoperta della verità. Invece è cosa desiderabile che la fede prestata alle cose vere passi alla realtà di queste cose, perché non si deve dire che la fede perisce quando si vedono le cose che si credevano. Ma forse che bisogna chiamarla ancora fede. se nell’Epistola agli Ebrei la fede è stata definita ed è detto che essa è la certezza delle cose che non si vedono? Per cui uno potrebbe avere benissimo fede nei marziani. Per Agostino, come sappiamo, la fede è fondamentale per credere in Dio. Questione che poi viene da Plotino, naturalmente: l’Uno non può essere dimostrato in nessun modo perché è ineffabile, per cui parlare di dimostrazione dell’Uno è una contraddizione in termini. Quindi, lo si può soltanto conoscere per fede, perché lo si sente dentro. E questa cosa qui è rimasta poi per tutto il cristianesimo e ancora oggi: come faccio a sapere che le cose sono così? Perché lo sento che sono così e se lo sento vuol dire che è vero, perché quello che ho dentro non mente, perché è la parola di Dio. 7. 10. Ecco perché in questa vita mortale, così piena di errori e di miserie, è supremamente necessaria la fede con cui si crede in Dio. Infatti, per tutti i beni di qualsiasi genere, in particolar modo per quelli che rendono l’uomo buono e per quelli che lo renderanno beato, non si può trovare non si può trovare altro fonte, eccetto Dio, dal quale vengano nell’uomo e siano messi alla sua portata. Ma quando colui che rimase giusto e buono tra queste miserie sarà giunto da questa vita alla vita beata, allora si realizzerà ciò che adesso è del tutto impossibile: l’uomo vivrà come vuole. Potere assoluto. Una volta che sarai al cospetto di Dio, ecco che finalmente avrai il potere assoluto. La volontà di potenza ha raggiunto il suo apice. Tutto ciò che si amerà ci sarà, né si desidererà ciò che non si sarà. 17. 22. E il Verbo si è fatto carne. Vi è anche un terzo insegnamento: un così grande abbassamento da parte di Dio era proprio adatto a confondere e guarire la superbia dell’uomo, che è il più grande ostacolo alla sua unione con Dio. La superbia. L’uomo impara anche quanto si sia allontanato da Dio; ciò gli dia forza a sopportare le sofferenze salutari nel ritornare, per mezzo di tale Mediatore, che, come Dio, soccorre gli uomini con la sua divinità e come uomo è simile a loro nella debolezza. E quale maggiore esempio di obbedienza… In fondo, che cosa vuole? Niente, solo obbedienza, pronta, cieca e assoluta. …per noi, che eravamo periti per disobbedienza, di quello di Dio Figlio obbediente a Dio Padre fino alla morte in croce? Dove poteva apparire in maniera più splendida il pregno dell’obbedienza, se non nella carne di un così grande Mediatore che è resuscitato per la vita eterna? Il Mediatore è Cristo, il Salvatore. Sta dicendo che questo gesto di Cristo è stato un gesto dimostrativo per mostrare agli umani la necessità assoluta dell’obbedienza, cioè, della sottomissione. 20.25. Voler essere beati è un’aspirazione di tutti gli uomini... Cosa vuole dire essere beati? Vuole dire avere raggiunto un punto tale per cui non c’è più niente da desiderare, perché si ha tutto, perché si è tutto, perché si ha ormai il potere su tutto. …ma non tutti hanno la fede che, purificando il cuore, conduce alla felicità. Così accade che è per mezzo della fede, che non tutti vogliono, che bisogna tendere alla beatitudine che nessuno può non volere. Che vogliano essere beati, tutti lo vedono nel loro cuore, e su questo punto l’aspirazione della natura umana è così unanime, che un uomo, constatando tale aspirazione nella sua anima, può infallibilmente presumere che esista nell’anima degli altri. Lo sento, quindi, è vero, quindi, necessariamente è così per tutti; perché, se io lo sento, è vero. Ma molti disperano di poter essere immortali, perché nessuno possa essere ciò che tutti vogliono, cioè, beato, senza l’immortalità. È vero, perché senza l’immortalità, cioè, senza che questo potere assoluto sia eterno, allora si ripiomba nel depotenziamento: deve essere eterno per essere il massimo. Libro 14. 1.3. Discutendo intorno alla sapienza la definirono così: La sapienza è la scienza delle cose umane e divine. Per questo anch’io nel libro precedente, non ho mancato di dire che si poteva chiamare sapienza e scienza la conoscenza delle une e delle altre, cioè delle cose divine e umane. Ma la distinzione che fa l’Apostolo (Paolo) quando dice: A uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, ci invita a dividere questa definizione, così da chiamare propriamente sapienza la scienza delle cose divine e riservare propriamente il nome di scienza alla conoscenza delle cose umane. Di questo ho trattato XIII, non attribuendo certamente alla scienza tutto ciò che l’uomo può sapere circa le cose umane, in cui si trova tanta vanità superflua e pericolosa curiosità, ma solo la conoscenza che genera, nutre, difende e fortifica la fede supremamente salutare, che conduce l’uomo alla vera beatitudine, scienza che non possiedono in modo vigoroso molti fedeli, sebbene sia assai vigorosa la loro fede. Hanno la fede, però non hanno la scienza, cioè non sanno argomentare, mentre per Agostino occorre sapere argomentare contro gli infedeli, contro gli eretici. Gli eretici sono i molti, sono i cattivi. 2.4. Perciò, poiché è scritto: Mentre siamo nel corpo peregriniamo lontani dal Signore, perché camminiamo per fede, non per visione, fino a quando il giusto vive di fede, sebbene viva secondo l’uomo interiore e per mezzo di questa medesima fede temporale si sforzi di attingere alla verità e tendere alla Verità eterna, tuttavia nel possesso, nella contemplazione, nell’amore di questa stessa fede temporale non si trova ancora una trinità che si debba chiamare immagine di Dio … Perché è quella dell’uomo, ancora legato alle cose terrene. …non bisogna ritenere che sia posta nelle cose temporali un’immagine che deve essere posta nelle cose eterne. Infatti, lo spirito umano quando vede la sua fede, con la quale crede ciò che non vede, non vede qualcosa di eterno. No. Infatti, vede la sua fantasia. Non è infatti eterno ciò che cesserà di esistere quando, al termine di questa peregrinazione in cui viaggiamo lontani dal Signore, succederà la visione con cui contempleremo faccia a faccia;… La fede ci farà vedere questa immagine di Dio, che però non è l’immagine di Dio; l’immagine di Dio la vedremo a suo tempo, al momento giusto, e allora potremo effettivamente contemplare. Anche in questa trinità che ora consiste nella memoria, nella visione e nell’amore della fede, che è presente e perdura, ci accorgeremo allora che è finita, è passata, che non dura sempre. Se dunque questa trinità è già immagine di Dio, si deve concludere che anche questa immagine si trova non nelle cose eterne, ma nelle cose che passano. 3.5. Ascendendo dalle cose inferiori alle superiori, o entrando dalle cose esteriori a quelle interiori, abbiamo trovato una prima trinità formata dal corpo percepito, dallo sguardo del soggetto, che quando percepisce è informato dal corpo, dall’attenzione della volontà che unisce l’uno all’altro. Questo è il compito del terzo elemento: unire l’uno all’altro. È importantissimo perché questa unione è quella che garantisce che ci sia il passaggio dall’uno all’altro, che ci sia la famosa processione; è il terzo che garantisce che dalla A si passi alla B, e cioè che dall’antecedente si arrivi al conseguente, o che dall’1 si possa passare al 2. Se non c’è il terzo che li mette insieme, questi due elementi possono fare qualunque cosa, possono anche, per esempio, essere l’uno e l’altro, perché non sono più ordinati, non sono più nell’ordine, che invece è stabilito dal terzo. Se ciascuno dei due è l’altro simultaneamente crolla tutto. Qui c’è una nota che dice "Questo testo e quelli che seguono sono molto importanti per la dottrina antropologica agostiniana sia naturale che supernaturale. Da essi emergono tre grandi verità che riguardano la grandezza dell’uomo e la naturalità dell’immagine di Dio in lui, il vero concetto della giustificazione. La grandezza dell’uomo si misura nel rapporto a Dio di cui è naturalmente capax, cioè, è capace di essere elevato fino alla contemplazione immediata della Trinità. Un essere immutabile aperto dall’immutabile. L’immagine di Dio poi, che consiste appunto in questa capacità, è impressa indelebilmente nella sostanza immortale dello Spirito, perché lo Spirito è per sua natura capace di conoscere Dio e di giungere fino a Lui. Ne segue che il dono ineffabile della giustificazione non crea ma restaura nell’uomo l’immagine divina, deturpata ma non distrutta dal peccato. Qui e altrove Agostina moltiplica la similitudine per spiegare in qualche modo la misteriosa trasformazione della grazia. Il peccato deforma, oscura, logora, invecchia, rende prigioniera, ferisce l’immagine di Dio; la grazia della giustificazione la riforma, la illumina, la restaura, la rinnova, la libera e la sana. Se questa dottrina fosse stata tenuta presente, la storia della teologia avrebbe registrato qualche falsa interpretazione in meno del pensiero agostiniano. Perché gli eretici si annidano ovunque, bisogna sempre guardarsi intorno. Insomma, c’è questa capacità di cogliere Dio che è impressa nell’animo, e bell’è fatto. 9.10. Quella che ora chiamo intelligenza è quella con cui comprendiamo quando pensiamo, cioè, quando il nostro pensiero è informato da ciò che scopriamo presente nella memoria, ma non era pensato; e quella che chiamo volontà, amore o dilezione, è il principio che unisce il termine generato a quello che genera. Continua a insistere su questo aspetto, che è fondamentale, è il pilastro della teologia trinitaria. Il tre che unisce i due, che unisce il termine generato a quello che genera, Gesù Cristo con il Padre. È il terzo elemento che li unisce, è il referente, l’albero di de Saussure. 8. 11. Queste realtà ed altre simili si ordinano nel tempo, ed era per noi più facile discernervi la trinità della memoria, della divisione e dell’amore. Infatti, alcune di esse precedono la conoscenza che se ne acquisisce. Sono infatti conoscibili anche prima che vengano conosciute e generino in coloro che le apprendono la conoscenza che esse acquisiscono, sono cose che si incontrano in luoghi determinati… /…/ Tutte queste cose, quando si apprendono, costituiscono una specie di trinità, formata dalla loro configurazione esteriore conoscibile prima di venir conosciuta, a cui viene ad aggiungersi la conoscenza di colui che le apprende (conoscenza che comincia a esistere nel momento in cui la si apprende) e, come terzo elemento, la volontà che unisce quei primi due. Il terzo elemento è sempre quello che unisce.
Intervento: La cosa interessante è che dice e unisce, non ordina.
Sì, però da qualche altra parte ha posto la funzione dell’ordine, cioè della necessità che ci sia un ordine, perché in effetti il Figlio procede dal Padre. È ciò che tiene unito. E, infatti, altrove parla dell’amore, dell’amore che unisce, è l’amore il terzo elemento. 9.12. Il grande maestro dell’eloquenza, Tullio, le considera tuttavia tutte e quattro, quando ne discute nel suo dialogo "L’Ortensio”. Se, egli dice, quando avremo emigrato da questa vita, ci fosse concesso di condurre una vita immortale nelle isole dei beati, come raccontano le favole, a che ci servirebbe l’eloquenza, dato che non ci sarebbero dei giudizi o le stesse virtù? Non avremmo bisogno della fortezza perché non ci sarebbero più difficoltà e rischi; né della giustizia, perché non ci sarebbe più alcun bene altrui che susciti la nostra cupidigia, né della temperanza per dominare le passioni inesistenti. La sola conoscenza della natura e la scienza ci renderebbero beati, esse che costituiscono l’unico bene della vita stessa degli Dei. Dice che se dovesse accadere una cosa del genere, cioè se ci fosse effettivamente questa sorta di paradiso dei cristiani… però, si dimentica di ricordare che il grande Tullio dice letteralmente “come raccontano le favole”. Così quel grande oratore, celebrando i meriti della filosofia, raccogliendo gli insegnamenti della tradizione filosofica, che espone con stile delizioso e sublime, ha affermato che tutte queste quattro virtù ci sono necessarie solo in quanto in questa vita… Senza naturalmente citare che il grande Tullio parla di favole. Qui c’è un altro richiamo alla sottomissione. 12. 15. Ma come si parla anche di giustizia di Dio, non solo per designare la giustizia per la quale Dio è giusto, ma per designare quella che egli dà all’uomo quando giustifica il peccatore, e che ci raccomanda l’Apostolo sempre quando dice di alcuni uomini: Ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire la loro propria giustizia, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. /…/ Ignorando la Sapienza di Dio e volendo costituire la loro sapienza, non si sono sottomessi alla sapienza di Dio. Questo è il crimine: la curiosità, e poi la sapienza.