9-11-2005
Intervento: …l’obiettivo
è trovare cose semplici
Sì, faccia un esempio di cose semplici: perché gli umani
cercano la felicità?
Intervento: gli umani
sono infelici, mancanti… la ricerca della felicità comporta moltissimo
linguaggio… la felicità è il compimento di qualcosa di fortemente desiderato… una volta raggiunto l’obiettivo…
Se è raggiunto non è più desiderabile, ma sanno quando sono felici? Come sanno di esserlo? Ché uno dovrebbe accorgersene…
Intervento: è benessere però… sembra che la felicità non esista, la
felicità non esiste
Come no? Più che non esistente non dura, è caduca, è
momentanea…
Intervento:…
Un momento, non può dire prima che la felicità è il
compimento di qualcosa di desiderato, e poi dire che
la felicità è la ricerca della felicità, è una contraddizione in termini, come
fa la felicità ad essere la ricerca della felicità? Deve fornire un’altra
definizione di felicità…
Intervento:…
Va bene partire dal luogo comune, però non è il caso di
starci rimanerci, potrebbe esistere la felicità senza
linguaggio? Sarebbe felice di che? Quindi la felicità è qualcosa che riguarda
il discorso, anche se comunemente si pensa sia la persona ad essere felice ma in realtà questa felicità segue o è insita nel suo
dire, nel suo discorso, in ciò che va raccontando e quindi attiene al
linguaggio e dove situare la felicità all’interno del linguaggio o del discorso,
a seconda dei casi, se non nel compiersi di un discorso come discorso compiuto
in modo soddisfacente e quindi un discorso che giunge a qualcosa di vero, ad
affermare qualcosa di vero? Potere stabilire che la propria ricerca ha
raggiunto qualcosa di vero, soltanto a quel punto c’è la soddisfazione e quella
sensazione nota come felicità: si è compiuto ciò che aspettavo, come dire che si è rivelato essere vero, cioè è così, e allora
c’è la felicità per cui potrebbe concludere che soltanto la verità è ciò che
consente la felicità, ma quale verità? Quella limitata all’interno di un gioco o
la verità assoluta? Certo, la verità limitata
all’interno di un gioco può produrre quel sentimento momentaneo che è simile
alla felicità, uno può essere felice per avere vinto una partita a tressette,
ma finita la partita già la felicità della partita è scomparsa, se invece c’è
la possibilità di accorgersi che esiste un modo differente di vivere, di
esistere, che non si fonda né si attarda più su una soddisfazione momentanea,
parziale e tutto sommato irrilevante, ma si va cercare soddisfazione di ben più
ampia portata perché non soggetta a cambiamenti, a caducità ma che permane,
ecco che allora, a questo punto, la felicità collima con l’assoluta libertà di
potere pensare senza vincoli, senza paure, senza il timore che qualche cosa
possa arrestare il proprio discorso, in varie forme e in vario modo, e quindi
l’ultimo passaggio è la felicità dentro di sé come libertà assoluta, è questa
la felicità dentro di sé, il potere disporre dei propri pensieri senza alcun
limite e cioè senza paura. La paura è l’unico limite che viene
imposto dal proprio discorso, se non c’è paura non ci sono limiti né si è
limitati, se uno ha paura si crea dei nemici per esempio, e questi nemici
limitano la capacità di azione, mentre in quel caso è assolutamente libero,
libero di seguire qualunque pensiero, di confrontarsi con il linguaggio, con le
parole con tutto ciò che il linguaggio produce, crea ininterrottamente. Qualcosa
del genere, adesso l’ho detta così in modo molto rozzo, lei saprà dire molto
meglio…
Intervento: questa
felicità della felicità… nel luogo comune la felicità è posta fuori dal linguaggio e lì sì che è caduca la felicità per
fare il verso a Freud se io devo raggiungere il potere raggiunto quel livello
di potere, dovrò raggiungere l’altro livello…
Intervento: il denaro non
sarà mai sufficiente per farmi sentire perfettamente felice… ciò che mi fa
rendere felice non è qualcosa che appartiene al mio discorso
ma è qualcosa che è fuori dal linguaggio perché non dà sicurezza perché
fuori dal linguaggio non sono in grado di poter provare che sia effettivamente
quello che mi dà la felicità e allora può essere qualunque cosa, può essere
ancora un’altra e allora devo rilanciare continuamente
Cesare, ha tratto qualche elemento?
Intervento:…
Non è molto lontano da ciò che intendeva Austin rispetto
alla nozione di felicità di un enunciato, un enunciato è felice
quando si compie attenendosi e soddisfacendo tutte le regole del gioco
in cui è inserita quell’affermazione, quell’enunciato, e quindi è vero.
Prendete il famoso varo della nave: affermo che sto varando una nave, questa affermazione è vera se e soltanto se mi trovo in un
porto, con una nave di fronte e con una bottiglia di champagne da scagliare
contro la chiglia e sono autorizzato a farlo, se invece sono in montagna che
bevo del vino caldo ecco che l’enunciato “varo una nave” è infelice perché non
si attiene alle regole previste da questo evento…
Intervento: in analisi
dove avvenire una cosa di questo genere… rendere infelici gli enunciati cioè togliere il contesto in qualche modo
In parte avviene anche questo…
Intervento: Austin diceva che l’enunciato è felice se funzionano tutte le
regole, cioè prevede quel contesto quando si beve il vino caldo e si vara una
nave… in una analisi se gli enunciati vengono svolti e inseriti un altro
contesto, in un altro gioco questi enunciati non servono più a fare quel gioco…
questo è ciò che è auspicabile che avvenga
Intervento: c’è la
consapevolezza dell’enunciato infelice se no non ci sarebbe la ricerca
forsennata della felicità… sembra quasi che il discorso occidentale voglia
imporla questa felicità, tutti inseguono qualche cosa, tutti cercano qualche
cosa e deve essere quello che li completi, raggiunto questo qualcosa non è mai
tutto, manca sempre qualcosa che invece è la fortuna tutto sommato…la impone e
la sottrae… l’oggetto della felicità è fuori dal
proprio discorso… è comunque sempre nel suo discorso…
Intervento: però
l’unica esigenza del linguaggio è quella di costruire proposizioni vere
Intervento: la ricerca
della felicità è cercare esattamente ciò che voglio
Intervento: poi viene abbandonata questa posizione
Intervento: Finisce un
gioco e se ne costruisce un altro ma all’interno di
quel gioco non in un altro che comincia invece
Intervento: la felicità
è sempre la conclusione di un gioco perché una volta concluso
rilancia necessariamente ad un altro
Intervento: però
occorre far intendere che il passaggio è fra giochi linguistici altrimenti è un
salto
Tenga conto che nessuno sa che cos’è un gioco
linguistico, occorre dirne due parole almeno, che
cos’è un gioco linguistico?
Intervento: una sequenza
di proposizioni che partono da qualcosa che chiamiamo premessa e attraverso una
serie di passaggi coerenti con la premessa concludono…
Intervento: qualunque
conclusione questa sarà il compimento di una felicità… infatti
Austin ha sfiorato la questione…
Sarebbe potuto e dovuto andare molto oltre, perché
la questione può porsi in modo molto più radicale di come l’ha posta Austin, e
cioè domandandosi se qualunque affermazione, qualunque enunciazione, qualunque
proposizione costruita dagli umani è felice oppure no, perché al di là del
gioco particolare che sta facendo, quello del varare la nave o qualunque altra
cosa, in quel caso ci si attiene alle regole di quel gioco del varare la nave
però rispetto alle regole del linguaggio comunque quel gioco rimarrà sempre
infelice perché per essere felice, come lui ha intravisto, occorre che si
attenga alle regole di quel gioco e quindi potremmo giungere a concludere che
gli unici enunciati, le uniche affermazioni felici sono quelle che si attengono
alle regole di quel gioco che chiamiamo linguaggio, e nessun altro gioco può
rendere felice delle affermazioni…
Intervento: Non ho
afferrato molto bene per questo motivo… in teoria qualunque enunciazione può
essere felice importante che si attenga alle regole di quel gioco particolare
che sta facendo
È questo che sostiene Austin, cioè
se si attiene alle regole è felice se no, no…
Intervento: a questo
punto qualunque gioco chiunque parla pensando di dire il vero
Lo pensa, però può errare rispetto alle regole di un gioco
che non conosce alla perfezione per cui in molti casi
si compiono affermazioni infelici, ma la questione che stavo ponendo è che
invece l’unica condizione, la sola condizione perché l’enunciato sia felice è
che si attenga alle regole che fanno funzionare il linguaggio, e se è felice
l’enunciato allora è felice la persona…
Intervento: anche
Austin si attiene all’enunciato è felice: premessa, inferenza e conclusione
Le regole del gioco del tressette non sono esattamente
le regole che fanno funzionare il linguaggio…
Intervento: no, è solo
un gioco particolare
E quindi se io mi attengo e gioco correttamente il
tressette allora le affermazioni che faccio
all’interno di quel gioco saranno felici, no? Cionondimeno le regole del
tressette non sono le regole che fanno funzionare il linguaggio, quindi la
felicità di una affermazione all’interno del gioco del
tressette rimarrà una felicità, per adesso diciamola così, assolutamente
parziale e insoddisfacente perché limitata a un gioco particolarissimo, ma se
invece noi ci atteniamo alle regole che fanno funzionare il linguaggio allora
le nostre affermazioni saranno necessariamente e irreversibilmente felici
sempre, il che comporta che se l’enunciato è felice allora è felice anche la
persona che è fatta di questi enunciati…
Intervento: sì però
Faioni quando noi diciamo che una proposizione sia
vera… quando è che una proposizione è vera? Quando
permette al gioco di proseguire…
Sì: “questo è un orologio”
questa che ho fatta è un’affermazione felice…
Intervento: è chiaro
che se poi quello che io ho affermato ritengo che non sia linguaggio allora…
L’affermazione “questo è un orologio” è
un’affermazione felice all’interno delle regole del gioco che sto facendo, ma questa affermazione che ho fatta, è necessaria? No, se io invece
dicessi che qualunque cosa questa è necessariamente un
elemento linguistico, questo è necessario?
Intervento: certo
Quale sarà, adesso diciamola così in modo rozzo, più
felice? La prima dell’orologio o la seconda? Esattamente, perché?
Intervento: perché non può non essere
Esatto, perché non può non essere e quindi la felicità, adesso
usiamo questo termine, che mostra sarà assoluta, sarà
totale. L’enunciato dell’orologio è felice nell’ambito di un
particolare gioco, l’altra è necessaria. Questo le potrebbe servire
soltanto per mostrare, dimostrare e provare in un modo ineccepibile
che l’unica felicità possibile passa attraverso il discorso che stiamo facendo,
perché fuori da questo discorso non c’è nessuna felicità possibile se non
assolutamente aleatoria, caduca, insoddisfacente e vana, vana perché si appunta
su delle cose che non sono necessarie e che quindi rimangono sempre e comunque
debitrici di qualche altra cosa, mentre il discorso che andiamo facendo no, non
è debitore di nient’altro se non di se stesso, e da qui trae tutta la sua
potenza…
Intervento: se non uno
non si accorge di come funziona il linguaggio il quale linguaggio nella ricerca
della felicità deve creare dei problemi per risolverli
Intervento: il varo di
una nave è cercare la felicità?
Sì, se è un armatore per esempio, in
questo caso sì, soddisfattissimo…
Intervento: se non
permane la ricerca della felicità sostanziale qualcosa che renda felici
Cosa che per altro gli umani hanno sempre avvertito fino dai tempi di Aristotele in fondo, in parte le religioni
sono state inventate anche per questo, perché di fatto non c’era nulla che
fosse così soddisfacente, cioè rispondesse in modo così totale e quindi
producesse e potesse promettere e mantenere una felicità di tale fatta, ecco
che allora si è inventato dio e la felicità si è spostata nel paradiso. Tutto
questo mostra che di fatto in qualche modo gli umani
hanno percepito questa cosa, però ovviamente non hanno avuto né la possibilità
né i mezzi, né i modi per intenderla appieno e quindi ecco la felicità dell’aldilà
oppure, oppure ci si accontenta che sia caduca, insoddisfacente, non regge e
non regge perché è qualcosa sì di compiuto e di vero, ma all’interno di un
gioco che non è affatto necessario, è assolutamente arbitrario, è gratuito e
pertanto insoddisfacente.