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9 luglio 2025

 

Paolo di Tarso Le Lettere

 

Siamo a pag. 259. Non vergognarti dunque di testimoniare il nostro Signore e me, il suo prigioniero. Io sono il suo prigioniero. Lui mi tiene prigioniero della sua bontà. Soffrì invece con me per l’Evangelo secondo la potenza di Dio, che ci salvò e ci chiamò con chiamata santa, non già secondo le nostre opere ma secondo il suo proposito e la sua grazia a noi data in Cristo Gesù... A pag. 261. Ricorda tutto questo agli altri, scongiurandoli davanti a Dio di tralasciare i duelli verbali utili a nulla e distruttivi per gli ascoltatori. Sia tua sollecitudine di presentarti a Dio degno di approvazione, operaio senza motivi di vergogna, che taglia drittamente la parola della verità. Ma i loro vaniloqui profani evitali, poiché non li faranno progredire se non nell’empietà, e la loro parola avrà la pastura della cancrena. A pag. 263. Questo devi conoscere: che negli ultimi giorni insorgeranno momenti difficili, poiché gli uomini saranno egoisti, avidi, millantatori, orgogliosi, calunniatori, ribelli ai genitori ingrati, sacrileghi, infidi, maligni, sfrenati, aspri, nemici del bene, traditori, eccitati, annebbiati, amanti più del piacere che di Dio, formalmente devoti ma rinnegatori della potenza della devozione. Distogliti da costoro. Ve ne sono infatti che si insinuano nelle case e catturano certe donnicciole cariche di peccati, trascinate da svariati desideri, sempre intente a imparare e mai capace di pervenire alla conoscenza della verità. Passiamo alla lettera a Tito. Siamo a pag. 275. Vi saranno infatti molti insubordinati, futili parlatori e seduttori, soprattutto fra i suoi circoncisi; e bisogna che egli chiuda loro la bocca, poiché sconvolgono case intere insegnando per turpe guadagno ciò che non si deve. Uno di costoro, un loro proprio profeta, disse: “Cretesi, mentitori sempre, cattive bestie, ventri pigri”. Guardarsi dunque dagli affabulatori, che sono demoni. Ora l’ultima, la lettera agli ebrei. Qui dà la sua definizione di fede. A pag. 319. La fede è certezza delle cose sperate, convinzione delle non vedute. In essa gli antichi ricevettero testimonianza; per fede intendiamo che i secoli vengono costituiti dalla parola di Dio, cosicché ciò che si vede non deriva da ciò che appare. Per la fede Abele ha offerto a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino, e per essa fu attestata la sua giustizia, rendendo Dio stesso testimonianza sui suoi doni. Per essa, benché morto, egli parla ancora. Per fede Enoc venne trasferito, di modo che non vide la morte, e non fu più trovato, poiché Dio l’aveva trasferito. /…/ E poi per fede Abramo… Fa tutta una serie di cose miracolose accadute per fede, tutte cose che appaiono, come direbbe Celso, opera di saltimbanchi, giocolieri, prestigiatori. Ci ha insegnato molto San Paolo sull’anima bella. Anima bella che richiede una serie di considerazioni. Intanto, la prima cosa è che l’anima bella muove da un un’idea precisa: occorre sottomettersi per sottomettere. Questa è una posizione, potremmo dire, squisitamente femminile. Chi per sottomettere deve prima sottomettersi è perché non può, non vuole, non ha il coraggio di affrontare direttamente il nemico - provate a pensare a un eroe greco che si sottomette, non se ne parla proprio. E, invece, qui con la sottomissione ha inizio la femminilizzazione del popolo. Sottomettetevi. A chi? Naturalmente, a Dio che è il padre, ma anche il figlio, che è quello belloccio che compare e, quindi, lo Spirito santo. Sapevano già allora che le fanciulle sarebbero state attratte dal figlio belloccio. Inizia, dicevo, la femminilizzazione, perché l’anima bella si sottomette a qualcuno, a qualcosa, si sottomette naturalmente a qualcosa che suppone il più potente di tutti, perché, come diceva giustamente Paolo: sì, io mi sottometto a Dio ma non a voi; se mi sottometto a voi lo faccio per finta, lo faccio solo per sottomettervi; ma io non mi sento sottomesso a voi, che non siete niente, io sono sottomesso solo a Dio, cioè, al più potente di tutti. C’è in questo un aspetto interessante, che merita di essere considerato, e cioè il fatto che questa che ho chiamata femminilizzazione inizia con Paolo, inizia, cioè, con l’idea che esista un qualcuno più potente di tutti a cui non ci si può che sottomettere; non, come magari pensavano gli antichi, da combattere, ma qualcuno a cui sottomettersi, con letizia, eventualmente. L’anima bella è il fondo, è l’essenza della metafisica, perché, se consideriamo al di là delle questioni più emotive, e cioè del piacere della sottomissione - piacere femminile in un certo qual modo -, ma la consideriamo invece come struttura, allora vediamo nell’anima bella, come dicevo, il fondo della metafisica, la condizione della possibilità della metafisica, perché l’anima bella pre-suppone un qualche cosa, il bene assoluto, che non può essere messo in discussione, non può essere argomentato, non si può fare niente, da cui procede per fare qualunque cosa; quindi presuppone la verità assoluta, l’assoluto, come voleva Platone. In Platone non c’era questo aspetto della sottomissione, era ancora forse troppo vivo il ricordo degli eroi omerici, però ne ha posto le basi, immaginando il bene che sta lassù. L’anima bella è, dicevo, il fondo della metafisica, la condizione della possibilità della metafisica, perché è la prima volta che viene posto un bene assoluto a cui obbedire, a cui sottomettersi. Quindi, pensare l’anima bella è pensare la metafisica. Cos’è la metafisica? Facciamo come fanno tutti: tradizionalmente si incomincia dalla parola metafisica, μετα e poi φύσις. Però, possiamo a questo punto proporre noi una traduzione di metafisica più interessante, e cioè φύσις, nel senso eracliteo, come ciò che sorgendo dilegua e μετα come ciò che va oltre. Ma cosa c’è che va oltre la parola? Cosa c’è oltre il linguaggio? C’è l’oltre il linguaggio, c’è questa fantasia di un qualche cosa che non è linguaggio. E, difatti, la metafisica si fonda su questa fantasia di un qualche cosa che è fuori del linguaggio, perché soltanto fuori del linguaggio può garantire la sua assolutezza. Quindi, c’è la parola φύσις, ciò che sorgendo dilegua, ma occorreva andare al di là perché non dileguasse più, e perché non dileguasse più era necessaria l’idea di qualche cosa fuori del linguaggio; ecco allora Dio di Paolo, l’Uno, che è stato istituzionalizzato nell’Uno di Plotino, che poi ha prodotto il cristianesimo. Ma occorreva questo gesto di andare al di là della parola. Lo vedremo poi con Agostino: qual è la soluzione che trae lui? Perché gli antichi sapevano bene che il problema era il linguaggio; lo sa anche Paolo, che ci tiene a mettere in guardia dagli affabulatori, da coloro che ingannano con le parole e che, quindi, non dicono la parola vera, che è la parola di Dio, naturalmente. La parola è da sempre il problema, perché da sempre ci si è accorti che per determinare qualunque cosa, cioè, per sapere che cos’è una qualunque cosa, senza le parole non lo possiamo fare. Da qui Aristotele che nelle Categorie dice esplicitamente che la sostanza non è altro che ciò che se ne dice. La metafisica, invece, pre--suppone che ci sia un elemento, almeno uno, fuori del linguaggio sul quale costruire tutto, qualche cosa che funzioni quindi da garanzia, da supporto, da sostegno, da puntello per ogni affermazione, perché altrimenti si disperde nel nulla più assoluto, si disperde nell’ᾂπειρον. E questo non è bene, soprattutto se il mio intendimento è quello di sottomettere il prossimo. Questa operazione di sottomissione del prossimo avviene - è sempre avvenuta, ma prima era tutt’altra cosa - attraverso che cosa? Attraverso l’esempio, attraverso il mostrare tutte le magnificenze di Dio, attraverso il racconto. In fondo, tutte queste storie, inventate da Paolo, sono racconti. Paolo faceva esattamente quello che lamentava degli altri, affabulatori che ingannano il popolo, dei capipopolo, che però non dicono la verità. Quindi, l’anima bella deve avere alle proprie spalle un qualche cosa di assolutamente certo, indiscutibile, indissolubile, indistruttibile e incontrovertibile. Come fare questo? Paolo ha trovato una via, che poi ha funzionato, almeno non subito, visto che a un certo punto l’hanno decapitato. Paolo ha inventato questo sistema: tu dammi la fede, io in cambio ti do il potere di giudicare tutti quanti, perché tu, se hai fede in Dio, ricevi da Dio la parola autentica, la parola vera e questa parola vera ti consentirà di primeggiare su tutti, sarai al di sopra di tutti. Come dicevo all’inizio, non è che ha funzionato tanto, poi però un po’ una volta questa idea di dare potere a chi non l’ha mai avuto e non l’avrebbe mai avuto, ha preso piede. Infatti, bisogna rivolgersi ai nullatenenti, ai poveri di spirito, ai poveretti. E qui Celso si divertiva: tutti i peggiori mentecatti venivano educati al cristianesimo, anche perché solo loro potevano essere educati al cristianesimo... Però, con queste persone lui riusciva a insinuare questo inganno: tu non sei nessuno ma da questo momento, se mi dai la tua fiducia, tu diventi padrone del mondo. Quindi, le persone, soprattutto quelle che si sentono umiliate, colpite, indifese, soverchiate da chi è più potente, queste persone sono quelle alle quali Paolo rivolge la sua attenzione: voi adesso non siete niente - sottolineando il fatto che non sono niente, mentre io sono colui che parla per voce di Dio - voi non siete niente ma se mi date la fiducia, se cioè avete fede, allora questa fede vi trasformerà nelle persone più potenti dell’universo. Ci hanno creduto, naturalmente le persone che non avevano potere, persone che effettivamente, come diceva anche Celso, non avevano niente.

Intervento: Che però era la massa.

Esatto. Infatti, lui giocava sui grandi numeri. Sicuramente non cercava di andare a persuadere il filosofo dell’Accademia. Quindi, l’anima bella, da Paolo in poi, ha continuato imperterrita e indefessa a operare sempre esattamente allo stesso modo perché si è accorta che funziona. Funziona perché l’anima bella si pone come colui che sa, che ha la verità, non la verità degli umani che è cosa da poco, ma la verità, quella scritta a caratteri cubitali, perché è quella che appartiene a Dio e, quindi, avendo questa verità, essendo sorretto, confortato da questa verità, posso ergermi a giudice di tutti, perché loro non conoscono la verità, e posso non essere giudicato da alcuno, perché per giudicare me dovrebbero giudicare Dio, e chi può giudicare Dio? Si offre in questo modo alla persona qualcosa di irrinunciabile. E, infatti, continua a funzionare da duemila anni. Io so - e qui sta la portata metafisica - io so perché conosco l’ineffabile, cioè, conosco ciò che è a fondamento di tutto. Tutto il pensiero, da questo momento in poi, da Paolo in poi, ha seguito questa direzione e non se ne è mai più discostato, perché è fruttuosa, mette me nella condizione di sentirmi superiore e mette anche nella condizione di dovere, come ha detto Paolo, correggere il prossimo. Correggere l’altro, cioè, raddrizzarlo, educarlo, rimetterlo nella giusta via, che è la via della verità. Correggere l’altro significa anche avere la necessità che ci siano altri da correggere. E chi sono questi altri da correggere? Quelli che non sanno ciò che io so. Ora, nel caso di Paolo era la parola di Dio. In questo modo Paolo, praticamente inventando la possibilità stessa della metafisica, costruisce anche la possibilità di persuasione, perché per persuadere occorre far intendere che esiste la verità: non si può persuadere se nessuno è convinto che una verità esista. C’è un altro modo, quello che passa attraverso le emozioni, ma delle emozioni dovremmo parlare perché è una questione non semplice. Comunque, si tratta qui di intendere che l’anima bella, cioè, colui che deve correggere, che deve sempre correggere l’altro – anzi, lo dice Paolo, è un suo dovere, lui non è che vuole correggere l’altro per sentirsi bello, ma vuole correggere l’altro perché Dio lo vuole o, come si direbbe oggi, perché le cose stanno così. L’elemento metafisico sarebbe l’ente irrelato, quello che non è in relazione con niente, quindi è niente, però c’è. Già lo cercava Platone, inutilmente, però pensate all’Uno di Plotino è irrelato, indicibile, ineffabile, inosservabile, introvabile, ecc. Quindi, fondamentalmente è irrelato e, infatti, è nulla. Da qui poi tutta la teologia negativa. Dunque, si è passati nel corso dei secoli prima a Dio, al Dio di Paolo, che è l’irrelato, perché non può essere in relazione a qualche cosa, sennò dipende da ciò rispetto a cui è in relazione; poi, l’Uno di Plotino, naturalmente; poi, con Spinoza è diventata la natura: la natura è ciò che governa tutto; dice Spinoza: Deus sive natura, Dio e natura sono lo stesso. Alla fine, è diventata la scienza. La scienza in fondo non è altro che quella tecnica che si occupa di misurare la natura.

Intervento: La metafisica e il mito della caverna sono sempre la stessa cosa: è la notte che viene illuminata. Quindi, la metafisica, se proprio vogliamo dare una sorta di traduzione poetica, è l’ora prima dell’alba. È il momento in cui non si vede ancora, ma si ha l’aspettativa di vedere…

Per il greco è la luce ciò che consente di vedere; per lui ciò che si vede, il fenomeno, è l’essere, né più né meno.

Intervento: Però, la metafisica ha la pretesa di dire che c’è una ragione della luce. Quindi, di fatto, la metafisica va a “riempire” di luce ciò che non è illuminato...

Sì. Per fare tutte queste cose la metafisica si è dovuta inventare una sorta di metafisica della luce: c’è una ragione della luce e, quindi, della tenebra. La metafisica, che, come dicevamo, nasce con Platone, ha trovato in Aristotele la sua disfatta, pur essendo partito anche Aristotele da questa idea di trovare l’άρχή e l’αἳτια, l’origine e la causa di ogni cosa. Mentre Platone la sistema sopra il cielo, Aristotele invece - già dopo aver considerato nelle Categorie che si tratta di predicati, che ci sono solo predicati - incomincia a mettere in gioco questa cosa, questa origine: di questa origine io posso solo parlarne. Lui non usava la parola metafisica, che ancora non era stata inventata, lui parlava di filosofia prima. Questa filosofia prima era quella che doveva rendere conto, in effetti, di ogni cosa, e lui va in questa direzione. Attraverso che cosa? Attraverso l’unico strumento di cui disponeva: la logica. Poi, per ironia della sorte, è diventato il padre della logica, mentre è il distruttore della logica, è colui che l’ha terminata. Come dicevamo, tanto la logica formale quanto quella modale sono distrutte completamente, sono distrutte perché né l’una né l’altra sono in condizioni di potere affermare una verità epistemica, che non c’è, è un’invenzione, così come l’universale, è un’invenzione, non esiste, lo stabiliamo noi per potere parlare. La metafisica, siccome fa tutte queste operazioni, ha avuto la sua fortuna e ce l’ha ancora oggi, perché in fondo una buona parte dei testi che si leggono o delle discipline che vengono praticate, sono metafisica, cioè, muovono dall’idea che ci sia un qualche cosa che garantisce, che supporta, senza la quale cosa crolla tutto. Ma ci vuole questo qualche cosa, sennò come possiamo inventarci la matematica, la fisica, l’ingegneria e tutte quante le discipline, che non hanno nessun fondamento? E, allora, questo fondamento glielo dobbiamo trovare e dobbiamo garantirlo. L’unica cosa che può garantire questa cosa, che si è trovata, è Dio. È stato chiamato così: Dio. Non il Dio di Aristotele, naturalmente, il Dio di Aristotele non è altro che il pensiero teoretico, ma un Dio che è l’Uno di Plotino, ineffabile, indicibile, ecc., da cui procede tutto quanto, che ordina tutto quanto: intelletto, anima e poi fino alla materia. La metafisica e l’anima bella, in effetti, sono la stessa cosa. Dicevo all’inizio che l’anima bella è l’aspetto femminile del pensiero; infatti, non esisteva prima, al tempo degli eroi non era neanche pensabile l’anima bella, è diventata pensabile nel momento in cui si è costruito questo discorso a partire da Paolo. Bisognerebbe poi vedere i successivi, per esempio Origene, Tertulliano, cioè, quelli coevi di Plotino, che ancora non partivano da Plotino, non erano ancora neoplatonici, platonici, sì, perché tutti quanti seguivano Platone. Anche questo fa intendere perché Platone sì e Aristotele no: perché Platone era perfettamente funzionale alla metafisica, Aristotele meno. La metafisica è presente ovunque, la metafisica non è nient’altro che il discorso che pre-suppone di essere fondato. Questa è la metafisica: qualunque discorso che pre-supponga di avere un fondamento alle spalle, qualunque essa sia, non importa; un discorso pensato, costruito, immaginato così, è metafisica, né più né meno. In fondo, è il pensiero di Platone: qualunque cosa io veda, qualunque aggeggio, è un riflesso delle idee, per cui se non ci fosse l’idea non ci sarebbe neanche quello. Bisogna pensare bene questa questione della metafisica, perché la metafisica, come dicevo, non è altro che un qualunque discorso si pre-supponga fondato, quindi fondabile, naturalmente. Ora, qualunque discorso muove naturalmente da delle premesse, non può muovere da altro, e queste premesse - questa è stata la grande interrogazione di Aristotele - devono essere vere per sostenere tutta la l’argomentazione, sennò su che cosa la sosteniamo? Ecco, allora, le prime figure che gli consentono di stabilire, in base a certi criteri, che cosa può essere vero oppure no: sono tutte le varie figure dei Primi Analitici. Tutte riconducibili a un’unica figura, che è quella da cui muove tutto, Barbara. Che non è una fanciulla ma è quella parola che i medievali inventarono, insieme con molte altre, per indicare tre affermazioni universali: tutte le A sono B, tutte le B sono C, tutte le A sono C. Questo è il sillogismo Barbara, al quale sillogismo tutti gli altri devono potere essere ricondotti. E va bene. Però, si è trovato di fronte il problema, che è il problema della metafisica: come fondare questa cosa? Su cosa la fondo? Sull’universale, naturalmente. E l’universale? L’universale come è costruito? Per induzione, per analogia. Quindi, questo universale non è altro che l’insieme di tutti gli elementi, dei particolari, che io ho messo assieme per costruirlo, per inventarlo, ma lui non esiste, non può esistere, perché io dovrei avere tutti i particolari, e per questo bisogna attendere, con Severino, che tutti gli astratti partecipino del concreto. Ma nell’attesa possiamo riflettere su come ha funzionato questa cosa, perché ci si è trovati di fronte a quel punto - non so quanto Paolo conoscesse Aristotele, Platone sì, Aristotele non so - alla necessità di cancellare Aristotele e imporre Platone, cioè, imporre la metafisica. Aristotele, nonostante abbia scritto un libro ponderoso chiamato Metafisica, ha posto lui stesso il limite invalicabile della metafisica, la doxa, oltre alla quale non si va, cioè, si va ma trovando altra doxa, naturalmente. Quindi, tutto questo in fondo ci dice che il successo dell’anima bella è il successo della metafisica, cioè, di una idea che si presuppone fondata. L’anima bella parla perché immagina che quello che dice sia vero e l’altro deve esserne informato, sennò continua nella sua dabbenaggine e non ne verrà mai fuori. Quindi, è mio dovere, è mio preciso dovere portare la democrazia ovunque. È un dovere, Deus vult, non è un’idea balzana che ci è venuta così perché siamo strampalati, no, Dio lo vuole. C’è sempre questa idea, anche se non viene pronunciata la frase tipica e emblematica “Deus vult”, ma è sempre presente: quando l’anima bella parla a qualcuno e gli spiega come stanno le cose è perché Dio lo vuole, non è lui che è ambizioso e vuole apparire migliore.

Intervento: Nell’Ottocento con il colonialismo si trattava di portare la civiltà.

Certo, c’è sempre qualcosa da portare.

Intervento: Che non lo vuole.

Non lo vuole perché non sa.

Intervento: È anche il ragionamento di tante donne: lui non sa che ha bisogno di me.

Lui mi ama, ma ancora non lo sa. Anche questa è una frase tipica. Si muove dal fatto che l’altro non sappia e allora si compie questa operazione che giustamente Paolo chiama evangelizzazione. Ma chi l’autorizza l’evangelizzazione? Dio, solo lui può autorizzare questa operazione, nessun altro. Portare la parola, portare il verbo, quindi, portare la conoscenza, portare la tecnologia, portare la scienza, portare la sapienza, portare tutto quanto.

Intervento: Pensavo al mito di Prometeo. Lui dona ma non pretende la sottomissione, l’anima bella sì.

Esatto. Sì, perché, se questa verità è assoluta, questo bene è assoluto, se questa democrazia è assoluta, non ci si può che sottomettere, cioè, non si può che accoglierla; è inevitabile, se è sano di mente, sennò è malato. Portare la parola, dunque. Ogni volta, quando le persone parlano tra di loro, c’è sempre quello che deve persuadere, deve convincere, piegare l’altro, ma non lo fa - e questo è un retaggio del cristianesimo - perché lui vuole apparire bello e intelligente, pieno di cultura, lo fa perché Dio lo vuole, perché questo è bene, perché questa è la verità. Questa è la funzione della metafisica: dare questo fondamento, che non c’è, lo si inventa, dopodiché funziona. Chi si occupa di cose vane, vuote, insignificanti, è perché non conosce la parola di Dio, perché non sa come stanno veramente le cose. La parola, per non essere vuota, deve essere parola vera, parola di Dio, parola che dice come stanno le cose. Il fatto è che questa parola è fondata sul nulla, sul niente, sul vuoto; quindi, ciò che si impone come rimedio al vuoto è fondato sul vuoto. Però, questo vuoto - è sufficiente non interrogare, poi funziona benissimo - è l’Uno di Plotino, è il vuoto, il nulla, è ciò che consente di non essere mai messi in discussione e di non mettersi mai in discussione, perché mettersi in discussione comporterebbe il rischio di perdere questo potere che io penso di avere: il potere di correggere l’altro.

Intervento: Per esempio, abbiamo poi costruito tutti i racconti successivi per bambini sulla base della manifestazione dell’anima bella, perché ci servivano le parabole per insegnarlo.

 Certo. È così che la cosa poi col cristianesimo è diventata universale, e cioè attraverso la educazione dei bambini, cui si insegnano le parabole, le parole, le fiabe, ecc., che hanno questa struttura.

Intervento: Ecco la centralità della donna nella diffusione di un culto.

Parlavamo forse l’altra volta di Greimas, anche lui non si avvede che la struttura che individua nel racconto epico è la struttura neoplatonica, non è altro che l’applicazione della dialettica hegeliana: tesi, antitesi e sintesi. La tesi è il fanciullo che deve liberare la fanciullina, l’antitesi è il drago e poi la sintesi, che è il ritorno all’Uno. Questo è lo schema e questo è l’Uno di Plotino: Uno, Intelletto e Anima, quindi, ritorno all’Uno. L’anima bella fa tutte queste cose e ha ormai un potere incontrastato perché si è riusciti, attraverso duemila anni di cristianesimo, a fare credere che questo discorso sia fondato, cioè, si è riusciti a persuadere della validità, della veridicità della metafisica. Da quel momento si è sempre pensato in termini metafisici e l’anima bella pensa naturalmente in termini metafisici, non può fare diversamente. Un buon antidoto alla metafisica è sicuramente la lettura dell’Organon di Aristotele, della Metafisica e della Fisica, possibilmente non letti attraverso il Neoplatonismo, perché l’invenzione, chiamiamola così, di Porfirio - trovare due sostanze, l’una quella che si dice, l’altra che invece sta in cielo - è esattamente la stessa soluzione che usa Agostino nei confronti della parola, lo vedremo. Mercoledì prossimo inizieremo Il maestro e la parola, che è un testo breve, però significativo sulla necessità di domare, dominare, controllare il linguaggio, renderlo inoffensivo. E c’è un solo modo perché sia inoffensivo: la parola deve essere univoca. Ora sappiamo che la parola non lo è, lo sappiamo perfettamente, ma questa parola, che non è quella che noi usiamo, è un riflesso della parola di Dio, la quale è univoca, assoluta e incontrovertibile. Solo in questo modo si doma linguaggio, cioè, di nuovo, ricorrendo a Dio, cioè, alla metafisica, non c’è un’altra via. La cosa importante è intendere dove nel discorso di ciascuno si insinua, si annida l’anima bella, quella che non rinuncia al suo potere, e per non volere rinunciare al suo potere deve non rinunciare all’idea che ci sia un fondamento. Se perdiamo il fondamento crolla tutto. Non è che si cessa di parlare, no, si continua a parlare tranquillamente, solo che si sa di non potere determinare univocamente ciò che si afferma, tutto qui. Tutto ciò ha delle implicazioni non irrilevanti.