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7-1-2015

 

/…/ viene contrapposto all’essere il pensiero, non è soltanto qualcosa di essenzialmente diverso dal divenire e dall’apparenza ma anche la direzione dell’opposizione è essenzialmente diversa. Il pensiero si colloca in guisa tale di fronte all’essere che questo gli risulta pro-posto e pertanto gli si oppone come un oggetto (Gegenstand). (sta dicendo che rispetto all’essere il pensiero è un oggetto semplicemente) Ogni comprensione in quanto costituisce un modo fondamentale di apertura si muove necessariamente in un determinato campo di osservazione (questa cosa ad esempio l’orologio) ci rimane preclusa in ciò che essa è qualora non si sappia previamente che cosa sia il tempo, il tener conto del tempo, la misura del tempo (sta dicendo che per sapere un qualche cosa devo già sapere molte altre cose) il campo di osservazione di ciò che osserviamo deve risultare già in precedenza aperto, noi lo designiamo come campo preliminare di osservazione (quando lui parla di “esserci” parla di questo, cioè che l’uomo è quello che è in relazione a tutto ciò sa, che ha imparato, che desidera, che detesta,  tutto ciò che lo riguarda compreso tutto ciò che ha acquisito è all’interno di questo orizzonte che può comprendere che cos’è questo aggeggio qua perché sa un sacco di cose) noi lo designiamo come campo di osservazione, come prospettiva, si chiarisce così che non solo l’essere non è compreso in modo indeterminato ma altresì che la comprensione determinata dell’essere si muove già essa stessa in un campo di osservazione previamente determinata, la cosa vale per l’essere (anche quando parliamo di essere siamo già inseriti all’interno di un mondo senza il quale non ci sarebbe mai venuto in mente di chiederci che cosa sia l’essere) Il pensiero reca qualcosa davanti a noi, ce lo rap-presenta, questo “rap-presentare” deriva pur sempre da noi, è un libero disporre ma non arbitrariamente bensì è in un certo modo obbligato che noi rappresentando pensiamo il rappresentato, lo ponderiamo smembrandolo, scomponendolo e poi ricomponendolo, inoltre pensando non ci limitiamo semplicemente a rappresentarci ossia a porci davanti noi, da noi stessi, qualcosa, a smembrarlo perché resti smembrato ma riflettendoci sopra noi seguiamo il rappresentato, non lo accettiamo semplicemente come ci capita ma ci volgiamo a scoprire, per così dire, quello che c’è dentro, là giunti ci rendiamo conto della cosa, ce ne facciamo un concetto, cerchiamo il generale (sta dicendo che cosa accade quando uno incomincia a riflettere su qualche cosa. lo smembra, dice lui, lo suddivide per analizzarlo) Fra i caratteri indicati di ciò che si suole chiamare “pensare” ne rileveremo anzitutto tre: 1) la rappresentazione che proviene da noi, considerata come un comportamento dotato di libertà propria (cioè il modo in cui mi rappresento la cosa) 2) la rappresentazione concepita come ricongiungimento che si opera attraverso uno smembramento (prima lo colgo a modo mio, dopo di che lo faccio a pezzetti per vedere di che cos’è fatto, come facevo io da piccolo con le robe, che le smontavo poi non sapevo più rimontarle e poi cogliere rappresentativamente il generale, cioè lo colgo intanto poi lo smembro e poi lo rimetto insieme) 3) cogliere rappresentativamente il generale. A seconda della cerchia in cui si svolge questo rappresentare, a seconda del grado di libertà, a seconda della perspicacia e sicurezza dell’analisi, a seconda della portata del cogliere il pensiero, può risultare superficiale oppure profondo, vuoto o pieno di contenuto eccetera, da tutto ciò non possiamo ancora per altro inferire per quale ragione proprio il pensiero debba pervenire a quella accennata posizione fondamentale nei confronti dell’essere, il pensiero è una delle nostre facoltà accanto al desiderare, al volere, al sentire, noi siamo in rapporto con l’essente per mezzo di tutte le nostre facoltà e modi di comportamento e non solo per via del pensiero (il tatto per esempio) ma la distinzione di essere e pensare designa qualcosa di più essenziale del semplice rapporto all’essente, questa distinzione si origina da una primitiva intrinseca appartenenza all’essere stesso di ciò che viene distinto e separato (ciò che io comincio a comprendere, a cogliere prima ancora di smembrarlo e di raggrupparlo è qualche cosa che deve essere, questo essente ha alle spalle, come abbiamo visto la volta scorsa, l’essere, per cui occorre primariamente che ci sia l’essere perché io possa comprendere qualcosa) la formula essere e pensare designa una distinzione che è per così dire richiesta dall’essere stesso: una siffatta intrinseca appartenenza del pensiero all’essere non si desume certamente dalle caratteristiche del pensiero fin qui prodotte, perché? Perché noi non ci siamo ancora fatta una sufficiente idea del pensiero, ma da dove possiamo ricavarla? Chiederci questo è fare come se non esistesse da secoli una logica, essa è la scienza del pensare, la dottrina delle regole del pensare le forme del pensato, essa è inoltre, nell’ambito della filosofia, la scienza e la disciplina in cui punti di vista o indirizzi che esprimono una concezione del mondo hanno poco o nessun peso (cioè dice la logica di per sé non ha molto a che fare con i giudizi di valore, con il bello, il brutto eccetera) inoltre la logica è considerata una scienza sicura e degna di ogni fiducia, da sempre essa insegna la stessa cosa / poi dice/ che la logica ci libera da ogni preoccupazione di indagini complicate sull’essenza del pensare (sembra quasi qui porla come una sorta di algoritmo, uno lo segue e va avanti tranquillo) vorremmo non di meno avanzare ancora una domanda “che significa logica?”, il termine è un’abbreviazione per πιστήμη λογικ (cioè scienza del λόγος, abbiamo visto πιστήμη è la scienza e λόγος designa qui la proposizione) la logica dovrebbe tuttavia essere la dottrina del pensare, perché mai allora è essa scienza della proposizione? Perché il pensare risulta determinato a partire dalla proposizione? Perché? È cosa che non si comprende affatto da sé, abbiamo prima spiegato il pensare senza rifarci alla proposizione, al discorso, la riflessione sull’essenza del pensare è per conseguenza qualcosa del tutto particolare se essa si compie come riflessione sul λόγος e finisce per diventare una logica, la logica e il logico non possono affatto essere considerati così come sono, è assolutamente come se fossero senz’altro i modi di una determinazione del pensare. /…/  non è che si voglia rinnegare il logico, nel senso del correttamente pensato (questo è ciò che si intende generalmente con “logica” cioè pensare correttamente) al contrario è proprio per servire il pensiero che cerchiamo di raggiungere ciò da cui si determina l’essenza del pensare ossia l’αλήθεια e la φύσις, l’essere come non latenza, quello che proprio attraverso la logica è andato perduto, da quando dunque esiste la logica che ancor oggi governa il nostro pensiero, il nostro dire, e che dall’origine interviene essenzialmente a determinare la concezione grammaticale della lingua, e per conseguenza la posizione fondamentale dell’Occidente riguardo al linguaggio? (da quando dunque esiste “questa cosa”? quando è che ha inizio la formazione della logica?) dal momento in cui la filosofia greca perviene alla sua fine e si trasforma in un affare di scuola, di organizzazione, di tecnica, questo incomincia con l’ἑόν l’essere dell’essente appare come δέα e come tale diventa “oggetto” dell’ “episteme” (quindi è questo che ha fatto il pensiero occidentale ad un certo punto ha posto l’essere dell’essente come δέα e questa idea l’ha posta come l’oggetto, l’oggetto dell’episteme, quindi come ente) La logica ha bisogno essa stessa che si spieghi la sua origine e si giustifichi la legittimità della sua pretesa a costituire l’interpretazione determinante del pensiero, (sta cercando cioè l’essenza, il fondamento della logica. Questo potrebbe essere un problema per esempio se si considera l’aspetto particolare su cui lavora Severino della logica e cioè il principio di non contraddizione, un’obiezione che potrebbe fare Severino rispetto, come abbiamo visto peraltro, all’idea di trovare il fondamento della logica e quindi del principio di contraddizione (Łukasiewicz) e che per fare questa operazione è necessario previamente il principio di non contraddizione)  È necessario considerare i seguenti quesiti: 1) perché poteva e doveva sorgere nell’ambito della scuola platonica una cosa come la logica? 2) perché siffatta teoria del pensiero si è presentata come dottrina del λόγος, nel senso della proposizione? 3) su che cosa si fonda dopo di allora la potenza ogni ora crescente del logico, potenza che trova la sua espressione conclusiva nella seguente frase di Hegel “il logico è la forma assoluta della verità, anzi di più, è la pura verità stessa” (Enciclopedia) È in forza di questa preminenza del logico che Hegel chiama a ragione veduta “logica” quella disciplina altrimenti comunemente denominata “metafisica”. La sua “scienza della logica” non ha niente a che fare con un trattato di logica del tipo consueto. // Dopo aver così caratterizzato la distinzione di essere e pensare (e cioè la distinzione che ha fatto è quella della logica, diceva prima che appare come “ιδša” quindi come oggetto eccetera) Come si presenta la originaria unità di essere e pensare come la stessa di φύσις e λόγος? (cioè dell’essere e della proposizione? Cioè questa unità come si presenta? Poi, come si produce la originaria contrapposizione di λόγος e φύσις di prima? La domanda è l’unità, poi la contrapposizione) 3) come si giunge all’emergere e al presentarsi del λόγος? Come il λόγος (il logico) diventa l’essenza del pensare? Come giunge questo λόγος, quale ragione e intelletto a esercitare il suo predominio sull’essere fin dai primordi della filosofia greca? (per Heidegger questo predominio del λόγος sulla e nella filosofia compare già, è già presente in Platone e in Aristotele) Allora cominceremo con l’assodare che se è vero che la contrapposizione di essere e pensare è una contrapposizione intrinseca e necessaria, essa deve risultare fondata in un originario appartenersi di ciò che risulta in seguito diviso. (cioè originariamente queste due cose si appartengono dopo di che avviene una divisione, però originariamente sono la stessa cosa) la nostra domanda sull’origine di questa divisione verte quindi e in pari tempo, e prima di tutto, sull’appartenenza essenziale del pensiero all’essere. Storicamente il problema si presenta così: che ne è di questa appartenenza nel momento decisivo in cui ha inizio la filosofia occidentale? Come è inteso all’inizio di essa il pensare? (si sta chiedendo che cos’era il pensiero per gli antichi, sta cercando quella parola originaria, come faceva nelle pagine precedenti) IL fatto che la dottrina greca del pensare finisca per diventare dottrina del λόγος, λόγος può fornirci un’indicazione, di fatto ci imbattiamo in un’originaria appartenenza di essere “φύσις e λόγος” occorre solo liberarci dall’idea che λόγος e λγειν significhino in origine e propriamente qualcosa come pensiero intelletto e ragione (perché secondo lui non è così, per l’antico “λόγος” “λγειν” non significano pensiero e intelletto o ragione) finché resteremo di questa opinione e ci serviremo inoltre come criterio per l’interpretazione di “λόγος” della concezione che ha di esso la logica successiva, non faremo nel nostro tentativo di riaccedere all’inizio della filosofia greca, che incorrere in assurdità. Inoltre con questa concezione non potremmo mai intendere: 1) per quale motivo il lόgos ha potuto in linea generale venir separato dall’essere dell’essente? 2) perché il lόgos così inteso ha dovuto determinare in seguito l’essenza del pensare e portarla a contrapporsi all’essere? (come è potuto accadere?) Veniamo subito all’argomento decisivo e domandiamoci: che cosa significano “λόγοςλγειν, se non significano pensare? “λόγος” significa la parola, il discorso e λγειν il parlare. Il dia-logo è il discorso che si scambia e il monologo è il discorso di uno solo … Ma lόgos in origine non significa “discorso” “dire”, come è stato tradotto e viene tradotto sempre, quanto al suo significato la parola non ha alcun immediato rapporto con il linguaggio, “λόγος” “λγειν” in latino “legere” corrisponde come parola al nostro “cogliere”, cogliere delle spighe, della legna, dell’uva o anche scernere. La lettura di un libro è solo un caso particolare del “cogliere” nel senso proprio del “legere” del leggere, è solo un aspetto particolare, questa parola significa “porre una cosa vicino all’altra, metterle insieme, in breve “raccogliere”, con ciò le cose vengono contemporaneamente distinte l’una dall’altra, mentre si raccolgono queste cose, (per raccoglierle devo distinguerle, sono varie cose e le raccolgono, il “legere” latino, “λόγος” greco, per Heidegger fa questo)  È questo l’uso che i matematici greci fanno della parola, una raccolta, una collezione di monete non costituisce un semplice ammasso di monete alla rinfusa, nell’espressione “analogia” troviamo addirittura entrambi i significati giustapposti, quello originario di rapporto, relazione e quello di lingua, discorso ma come nel termine “corrispondenza” noi non pensiamo ormai più al “rispondere” (cor – rispondere) così inversamente i greci dal canto loro nel pronunciare la parola “λόγος” non pensavano ancora o almeno non necessariamente al discorso e al dire, (cioè pensavano al raccogliere delle cose, coglierle insieme) Quale esempio della significazione originaria di “λγειν” nel senso di raccogliere (Odissea): Anfimedonte, per quale distretta siete stati quaggiù nel buio della terra sprofondati, tutti voi eccellentissimi e coetanei, talché ben difficilmente, altrimenti, chi li ricercasse per tutta una città ne potrebbe di così nobili raccogliere. (Aristotele, dice, non ci interessa). Non andremo per ora in cerca di come la nostra parola dal suo significato originario, che non ha niente a che fare inizialmente con “lingua” “parola” “discorso pervenga a significare “dire” e “discorso”, ci contenteremo soltanto a ricordare che il termine “λόγος” anche quando da lungo tempo già significava discorso o proposizione ha mantenuto il suo significato originario inteso a designare il rapporto di una cosa con l’altra. (Λόγος: “discorso” “proposizione”?) (qui ci sarebbe una questione da porre che riguarda l’etimo e l’uso che si fa generalmente dell’etimo delle parole, lui dice che questo termine “λόγος” ha mantenuto il suo significato originario, è sottointeso nella traduzione che se ne fa oggi, come ha fatto? cioè sarebbe come dire che c’è un qualche cosa dentro la parola che si mantiene identica a sé per tre mila anni e nonostante tutto intorno a sé vari, muti continuamente, quella cosa rimane la stessa. È questa l’idea di Heidegger e non solo sua e che tanto ha interessato molti all’etimo, come se trovasse o fosse possibile trovare qualche cosa di originario che è rimasto intatto fino ad oggi, che se mi consentite è una follia, sarebbe come immaginare che qualche cosa nella parola rimanga esattamente quello che è nonostante la parola cambi, come fa quella cosa a rimanere la stessa? E come faccio a sapere che è la stessa?) Riflettendo sul significato fondamentale del “lόgos” come raccolta, raccogliere non si è fatta ancora molta strada nel chiarire fino a che punto per i greci essere e λόγος siano la stessa cosa, originariamente uniti tanto da potere e dovere necessariamente per determinate ragioni dividersi. (adesso ci dice perché per i greci λόγος e φύσις sono praticamente la stessa cosa) Il riferirsi al significato fondamentale di “λόγος” (cioè come raccolta, addirittura come rapporto di una cosa con un’altra) non può dare un’indicazione a patto di intendere previamente ciò che significhi l’essere per i greci la “φύσις”. Da parte nostra non soltanto ci siamo sforzati di intendere in generale l’essere secondo la concezione greca ma ponendo poco sopra in risalto l’essere di contro al divenire e all’apparenza, abbiamo fatto in modo che il significato dell’essere risultasse circoscritto con sempre maggiore chiarezza, a patto di tenere costantemente presente il già detto possiamo dire l’essere in quanto φύσις è lo schiudentesi imporsi. In contrapposizione al divenire esso si mostra come costanza, come costante presenza, questa si manifesta in contrapposizione alla mera apparenza come apparire come la presenza manifesta. (ora ha fatto un breve riassunto, dice: come si pone l’essere “dischiudentesi permanente” in relazione al divenire? Perché il divenire si manifesta come ciò che permane rispetto a ciò che diviene, ciò che permane è l’essere. La stessa cosa rispetto all’apparire, all’apparenza, l’essere si mostra come la presenza manifesta in ciò che è apparenza) Che cosa ha a che fare il λόγος (raccolta) con l’essere così inteso? (Come ciò che permane e ciò che si manifesta in ciò che permane) Per fornire la prova dell’intima connessione di λόγος e di φύσις agli albori della filosofia occidentale incominceremo con un’interpretazione di Eraclito (fa una disquisizione su come è stato frainteso Eraclito, questo dice è dipeso dal cristianesimo poi aggiunge che ancora Hegel si trova in questa linea) La dottrina del λόγος di Eraclito è intesa come preannuncio del λόγος di cui si tratta nel Nuovo Testamento il prologo dell’Evangelo di Giovanni. Il λόγος è Cristo. Siccome già Eraclito parla già del λόγος i greci sarebbero giunti (per il cristianesimo) addirittura alla soglia della verità assoluta ossia della verità rivelata dal cristianesimo (però questo qui ci interessa poco). In base a tale concezione della filosofia comunemente diffusa sotto diverse forme (filosofia cristiana) i greci sarebbero i classici della filosofia per essere stati dei teologi cristiani in embrione (qui ci sta dicendo come è potuto accadere che la filosofia greca sia stata tradotta e trasformata nel modo in cui si presenta oggi: è stata opera del cristianesimo) allora cita due frammenti di Eraclito: 1) ora mentre il λόγος permane costantemente tale, gli uomini si comportano come degli insipienti (Eraclito quello del πάντα ε “tutto scorre”) così prima di aver inteso come dopo di aver udito. Tutto infatti diviene essente κατά τόν λγον τνδε, a misura e secondo questo λόγος; (cioè tutto diviene a misura di questo λόγος) nondimeno essi (gli uomini) assomigliano a quelli che, privi d’audacia, non hanno mai fatto esperienza di nulla benché si affannino tanto in parole ed opere, come quelle che io compio allorché analizzo ogni cosa cat¦ φύσις, secondo l’essere (Eraclito analizza ogni cosa secondo l’essere, non secondo il divenire, secondo l’essere κατά φύσις) e spiego come essa (ogni cosa) si comporti. Ma agli altri uomini (alla generalità: ο πολλο – letteralmente i “molti” generalmente tradotto con “la plebe”) rimane nascosto ciò che essi propriamente fanno quando sono svegli, come quello che han fatto nel sonno ridiviene in seguito per essi nascosto.

2) Per questo è necessario seguire questo, ossia attenersi a ciò che costituisce nell’essente l’insieme ma mentre il λόγος è presente come questo insieme nell’essente la massa vive come se ognuno avesse l’intendimento (il senso) suo proprio. (Il λόγος è presente come un insieme nell’essente e il λόγος è ciò che raccoglie nell’essente e raccogliendo lo rende possibile, lo rende coglibile, conoscibile) Che cosa dobbiamo desumere da questi due frammenti? Del λόγος abbiamo detto: 1) che esso ha come propria prerogativa la stabilità, la permanenza. 2) che esso si presenta nell’essente come l’insieme, l’insieme dell’essente, il raccogliente. 3) che tutto ciò che avviene ossia sopravviene nell’essere sussiste in conformità di questo stabile insieme. Questo è ciò che si impone (das Waltende). Quanto viene detto qui del λόγοςλόγος” corrisponde perfettamente al vero significato della parola tedesca “Sammlung” la quale designa: 1) l’atto del raccogliere 2) l’insieme raccolto. Così qui λόγος significa: l’insieme raccolto, raccogliente, il raccogliente originario (dell’ente, l’ente sarebbe fatto di questo raccogliente originario) Λόγος non vale qui né significato, né parola, né dottrina ancor meno “significato di una dottrina” ma come l’insieme raccolto originariamente raccogliente e che costantemente in sé si impone (cioè questo insieme raccolto originariamente, originariamente nel domandare. Tenete conto per Heidegger l’uomo autentico è quello che si trova sempre nell’apertura del domandare, questo va tenuto sempre presente, o sfuggono un po’ di cose) (questo raccogliente in teoria è il linguaggio?) (Λόγος è un raccogliere originario raccogliente cioè nel suo cogliersi, non è un raccogliente che è stato messo là, è un raccogliente nell’atto del raccogliersi. Questa particolarità è sempre presente in Heidegger cioè di un qualche cosa che viene considerato nel momento in cui questo qualcosa sta agendo, non come l’agito o ciò che agirà, ma ciò che sta agendo adesso) Certamente nel frammento (1) il contesto sembra propendere verso una interpretazione del λόγος nel senso della parola, del discorso e persino reclamarla come la sola possibile, infatti si tratta dell’udire degli uomini. Esiste un frammento in cui questa connessione fra λόγος e udire, è espressa in maniera immediata “poiché avete udito non me ma il λόγος, è saggio dire conformemente: l’Uno è il tutto. (questo è un altro frammento, il frammento 50 di Eraclito. Sì occorre dire che Heidegger mette in atto queste torsioni e contorsioni linguistiche allo scopo di mostrare ciò che lui vuole mostrare, e cioè che la parola greca originaria è quella che contiene l’essere autentico e che pertanto l’uomo autentico che si pone nell’apertura del domandare e quindi consente all’essere di aprire il suo orizzonte e quindi all’ente di sopraggiungere. Questo essere autentico è quello che mantiene la tradizione del rapportarsi originario alla parola, al λόγος, quindi alla φύσις, quindi all’essere e cioè è l’uomo tedesco per eccellenza. Perché questo è il senso, come dicevo forse l’altra volta dell’avvicinarsi, anzi dell’aderire nei primi tempi di Heidegger al nazismo, l’idea che il nazismo avrebbe potuto riproporre l’uomo autentico anziché l’uomo della chiacchiera, l’uomo del sentito dire, l’uomo che si accontenta di quello che altri sanno e lo fa suo e lo ripropone all’infinito ma che non si trova più nella domanda autentica, e cioè la domanda che continua a domandare e quindi a rilanciare l’apertura dell’essere. Questo per dire per quale motivo Heidegger fa questi contorcimenti linguistici, etimologici, filologici, lui non era un filologo tra l’altro, conosceva molto bene il greco e la filologia ovviamente ma tutte queste contorsioni hanno questo obiettivo: mostrare, se non proprio dimostrare, che l’autentico, l’originario sta nella parola greca e soltanto l’uomo che ripercorre e sa soprattutto ripercorrere questa strada per ritornare alla tradizione greca è l’uomo autentico, quello degno di dominare il mondo. Questo non lo dice, questa è stata l’evoluzione e soprattutto il modo in cui è stato utilizzato Heidegger dal pensiero nazista, Heidegger, ma anche Nietzsche, badate bene, è stato utilizzato anche lui, Heidegger, Nietzsche e poi Wagner ma queste sono altre storie.) (se non ci fosse stata quella parola tedesca) (“Sammlung” “raccogliere” per questo sto parlando di contorcimenti linguistici, di torsioni e contorsioni legittime fino ad un certo punto, anche perché qui dà sempre come acquisito che per esempio la parola tedesca “Sammlung” significhi quella cosa lì, sia quella cosa lì, sia l’atto del raccogliere, sia l’insieme raccolto, sia questo. E se noi volessimo addirittura giungere a considerare che l’uomo autentico è colui, come dicevo prima, che si mantiene sempre nella costante apertura della domanda e non abdica mai a questo domandare “originario” nel senso che è sempre all’origine del suo essere, del suo dire, del suo fare questo domandare continuo, beh questo è lo psicanalista, però è anche l’uomo autentico e anche il nazista. Se volessimo fare torsioni e contorsioni ne potremmo fare quante ne vogliamo. Dai frammenti di Eraclito: Gli uomini stanno di fronte al λόγος come coloro che il λόγος non comprendono. Eraclito usa spesso questa parola ἀξύνετοι per dire che non comprendono, essa è la negazione di συνίημι che significa portarsi l’un l’altro. ἀξύνετοι sono gli uomini che non si portano l’uno con l’altro, che cosa? (che cosa? si chiede, che cosa non si portano l’un l’altro? Il λόγος, ciò che è costantemente insieme, l’insieme raccolto. Cioè gli uomini che chiama “sprovveduti” sono quelli che non si trasmettono il λόγος cioè questa cosa che continuamente si raccoglie, questo raccogliente) Gli uomini rimangono coloro che non lo “mettono insieme” non lo “com-prendono” non lo compongono in unità abbiano o non abbiano essi di già udito. (sta dicendo che l’uomo autentico è quello che comprende cioè mette insieme, compie questo raccoglimento, il raccogliere, ma il raccogliere che cosa? raccogliere ogni cosa κατά φύσις secondo l’essere, è questo il raccogliere raccogliente, raccogliere secondo l’essere cioè raccogliere secondo ciò che permane in questo raccogliente raccogliersi) Gli uomini non pervengono al λόγος nemmeno se lo tentano con le parole (πα). Si fa indubbiamente menzione di parole e discorso ma proprio in quanto differenti dal λόγος e addirittura a lui opposti. Eraclito vuol dire: gli uomini indubbiamente odono e odono delle parole ma in questo udire essi non sanno ascoltare ossia (sembra che stia parlando dell’analista) seguire ciò che non è udibile come parola, ciò che non costituisce un particolare ma il λόγος (cioè questo tutto raccoglientesi che permane) (vedete come già incomincia ad alludere alla questione dell’interpretazione, l’interpretazione sta nell’ascoltare ciò che la parola non dice, portare alla luce ciò che è nascosto, portare alla non latenza (αλήθεια). Questo è per Heidegger l’interpretare ma poi anche per, l’ermeneutica d’altra parte si fa nascere con lui, tutto il pensiero ermeneutico, anche se si considera un primo grande ermeneuta, come tutti sapete, Schleiermacher) Se interpretiamo bene il frammento 50 (cioè lo interpretiamo come pare a lui) esso dice: voi non dovete rimanere attaccati alle parole ma apprendere il λόγος e proprio perché λόγος e λγειν significano discorso e dire e non di meno tutto ciò non costituisce l’essenza del λόγος, che λόγος viene qui contrapposto a πα, (discorso), corrispondentemente al semplice udire, orecchiare si contrappone l’autentico essere ascoltante, l’essere ascoltante è colui che appunto riesce a cogliere nel λόγος non ciò che con λόγος è stato inteso dopo il discorso, la proposizione eccetera ma come l’originario raccogliere di ciò che appare nel momento in cui l’essere compare all’orizzonte (compare l’essere e quindi se c’è l’essere solo allora può apparire l’ente e ciò che permane, ciò che permane in questo apparire è il λόγος che è uno dei modi, lui non lo ammetterebbe mai, ma è una delle figure dell’essere come la φύσις, come l’αλήθεια eccetera, sono tutte “figure”, mettetelo fra virgolette perché Heidegger non lo dice mai, ma per dare un’idea molto spiccia “figure” dell’essere, il modo in cui l’essere appare, mettiamola così forse è più corretto). Il semplice udire, si disperde e si dissipa in ciò che comunemente si opina e si dice, nel sentito dire, nella δόξα, nell’apparenza, l’autentico ascoltare non ha nulla a che fare con l’orecchio e con la bocca ma vuol dire “prestare obbedienza a ciò che il λόγος è: l’insieme raccolto dello stesso essente”. (come dire in altri termini che l’essente in quanto si mostra come qualche cosa di raccolto, non sono cose messe lì alla rinfusa, sono quelle cose che appaiono mentre si raccolgono, ascoltare ciò che la parola non dice è intendere, cogliere ciò che appare dalla non latenza come qualcosa di raccolto, in un certo modo, secondo il modo dell’essere e cioè ciò che appare di autentico in ciò che si dice) noi non possiamo udire autenticamente se non siamo già disposti all’obbedienza (e cioè l’uomo nel suo domandare apre all’essere e obbedisce all’essere cioè a ciò che di autentico appare) Chi non è disposto all’obbedienza è destinato fin dall’inizio a rimanere lungi dal λόγος, escluso da lui sia che egli abbia precedentemente udito con l’orecchio o meno, coloro che odono soltanto orecchiano dappertutto e riportano in giro quanto hanno sentito, sono e rimangono degli incomprensivi. // (ancora sulla non comprensione) Λόγος è (pag. 139) il raccoglimento stabile, insieme raccolto e che si mantiene in se stesso dell’essente (cioè ci sta dicendo di cosa è fatto l’essente) vale a dire l’essere (che cosa si mantiene costante nell’ente che è qualcosa che muta, che cosa si mantiene e permane? L’essere. Questo insieme dunque raccolto che si mantiene nell’ente e che lo rende tale è l’essere, solo che in questo caso l’essere è λόγος) Per questo nel frammento (1) κατά τ χρεν ha lo stesso significato di κατά φύσις. Φύσις e lόgos sono la stessa cosa (cioè secondo il λόγος o secondo la φύσις, è sempre la stessa cosa dice lui, cioè secondo l’essere, che si manifesti come λόγος o che si manifesti come φύσις. Φύσις e λόγος sono la stessa cosa, lo dice qui) Λόγος caratterizza l’essere da un punto di vista nuovo e pure antico ciò che è essente, ciò che sta in sé ben eretto e caratterizzato, è in sé e da sé raccolto e si mantiene in tale raccoglimento (questo è l’aspetto specifico del λόγος) L’ἑόν, l’essente è nella sua propria essenza ξυνόν “presenza raccolta (l’essente è una presenza raccolta, non significa il generale ma ciò che raccoglie in sé tutte le cose mantenendole insieme, parla ancora di porre insieme) L’unità originariamente unificante di ciò che diverge (tutti questi elementi che il λόγος raccoglie insieme sono diciamola così “potenzialmente divergenti” ma è il λόγος che li mantiene raccolti insieme ed è ciò che consente la comprensione) (qui parla dell’etica, dell’estetica, “perché il λόγος ha valore?” perché è un raccoglimento originario non un ammasso confuso, una mescolanza di tutto con tutto il medesimo valore, lui dice che è per questo che gli competono rango e sovranità. Poi qui esagera) Proprio perché l’essere è λόγος, è armonia, αλήθεια, φύσις, φανεσθαι, dunque proprio perché l’essere è queste cose che non si mostra a discrezione, il vero non è per tutti ma solo per i forti, questa intrinseca superiorità e celatezza dell’essere viene espressa da quella singolare massima che proprio perché è così poco greca in apparenza, esprime l’essenza dell’esperienza greca dell’essere dell’essente. Frammento (124): Come spazzatura alla rinfusa ammucchiata il mondo più bello. // Si è soliti compendiare la filosofia di Eraclito nel detto πάντα ε questa espressione qualora provenga veramente da Eraclito non significa che tutto è cangiamento puro e semplice, che si disperde e scorre senza posa, pura instabilità ma vuol dire (qui è l’interpretazione di Heidegger del “πάντα ε”) la totalità dell’essente viene nel suo essere continuamente rigettata da un contrario all’altro, l’essere è l’insieme raccolto di questa instabilità antagonistica. (Tutti questi elementi che si contrappongono vengono raccolti in un tutto, in un tutto raccolto, l’essere è l’insieme raccolto di questa instabilità antagonistica, questa instabilità di cose che vanno in conflitto fra loro) (come fa ad essere così sicuro di cogliere l’“autentico”?) (perché lui coglie nell’accezione greca dell’essere ciò che di autentico c’è stato nel primo sorgere del pensiero che ha già posto la questione perché se ne è accorto, in questo senso “originale” viene dall’origine e poi è stato disperso dalla filosofia, in buona parte come diceva prima a causa dell’intromissione della religione nella filosofia, che ha visto addirittura nel λόγος il Cristo, però l’originario è ciò che sta nella parola del greco antico, è per questo che sta facendo tutte queste storie con le parole greche) Una volta afferrata la concezione fondamentale del λόγος cioè dell’essere come raccoglimento e come insieme raccolto, occorre considerare e tenere per fermo quanto segue: il raccoglimento non è un semplice mettere insieme, un ammucchiare, esso mantiene in una coappartenenza reciproca ciò che tenderebbe a separarsi e a contrapporsi (cioè di tutti questi elementi di cui è fatto l’ente, elementi che si contrappongono il λόγος li mantiene insieme, in una relazione fra loro) Non lo lascia mai cadere nella mera dispersione e dissipazione. In quanto ritenzione il λόγος ha il carattere dell’imporsi predominante della φύσις (e naturalmente l’essere mantiene, mantenendo sotto forma di λόγος questi elementi contrapposti uniti, mantiene anche una continua tensione e domandare è rilanciare questa tensione in definitiva) pag. 145: Dov’è che il λόγος viene menzionato da Parmenide? E soprattutto dov’è che si parla dell’oggetto della nostra attuale ricerca, cioè del contrapporsi di essere e λόγος? Se in Parmenide si trova qualcosa a questo proposito sembra essere proprio il contrario di una contrapposizione, il frammento (5) ci trasmette una frase di cui esistono in Parmenide due versioni “τ γάρ ατ νοενστιν τε κα εναι” grosso modo e secondo la maniera di ogni tempo invalsa di tradurre ciò vorrebbe significare “ora il pensare e l’essere sono la stessa cosa” νοεν è il pensare e εναι è l’essere). Ora il fraintendimento non greco di questa celebre frase non è inferiore alla falsificazione subita dalla dottrina del λόγος di Eraclito, si intende “noein” come pensare e il pensare come attività del soggetto, il pensiero del soggetto determina ciò che l’essere è (questo nella filosofia tradizionalmente) l’essere non è altro se non ciò che è pensato dal pensiero, ora siccome il pensare rimane un’attività soggettiva e pensare ed essere devono, secondo Parmenide, risultare la medesima cosa, tutto diventa soggettivo, non vi è un essente in sé, ora stando a quanto si insegna una tale dottrina si trova in Kant e nell’idealismo tedesco, Parmenide in fondo non avrebbe fatto che anticipare tale dottrina, pertanto egli viene lodato per questa impresa progressista soprattutto nei confronti di Aristotele che fu pensatore greco più tardo. // Ma che cosa significano “to auto” cioè lo stesso, che significa νοεν che significa εναι? (sta dicendo “che significa pensiero, essere, in Parmenide?”) Perché in νοεν nominato al secondo posto resta tuttavia oscuro per lo meno qualora non si voglia tradurre senz’altro il verbo con “pensare” nel senso della logica come attività analizzante dell’enunciazione, νοεν significa prendere, νος significa apprensione cioè in due sensi strettamente connessi: “prendere” significa anzi tutto accogliere (prima parlava del cogliere adesso dell’accogliere e cioè:) lasciare pervenire a sé ciò che per così dire si mostra, ciò che appare, accogliere è lasciare venire a sé ciò che appare. Apprendere significa inoltre sentire, esaminare un teste, assumere una testimonianza accertare così un fatto, stabilire di che si tratti e in che consiste. Quindi si tratta di un lasciar pervenire a sé consistente non in una semplice accettazione ma in una presa di posizione nei confronti di ciò che si mostra. (questa è la posizione proprio tipica di Heidegger cioè prendere posizione nei confronti di ciò che si mostra, l’uomo autentico è uno che prende posizione cioè sa di essere nel mondo si rende conto che essere nel mondo procede dal domandare, pone in essere la domanda, ponendo la domanda in atto apre all’essere, ma non è passivo rispetto a tutto questo, l’ uomo di Heidegger non è passivo rispetto al mondo, è sempre un essere in atto, un esserci (Dasein) un essere qui adesso e assumere la responsabilità di questo “esserci”, questo “essere qui adesso” con tutto ciò che questo comporta e quindi questa “apprensione”, questo accogliere ciò che appare, dice che ciò che “mi appare” non viene recepito dall’uomo autentico passivamente, come uno spettatore, come un osservatore ma in questo “accogliere” c’è tutto Heidegger e cioè c’è il porsi come agente, cioè come colui che agisce questo accogliere, non lo subisce lo agisce. Poi considera il τ ατ cioè “lo stesso”. Ci fermiamo qui. (Pag. 147) È piacevole la lettura di Heidegger, mostra molti aspetti, mostra come sia possibile torcendo e ritorcendo le parole a proprio volere fare tutto quello che si vuole. Lui pensava che però non stesse compiendo questa operazione di torsione delle parole ma immaginava di andare a cogliere l’essenza originale, “originaria” anzi la più originaria, la parola autentica perché lì in ciò che gli umani hanno pensato originariamente prima di essere traviati dalla filosofia, lì c’è l’autentico, lì c’è il vero aprirsi all’essere. (Torce le parole come se all’origine ci fosse la verità) (In un certo senso, αλήθεια è il nascondimento). Il lavoro che ha fatto Heidegger è stato quello di porsi nei confronti dell’essere in maniera particolare, cioè per lui l’essere è il problema, ha problematizzato l’essere, in tutta la filosofia greca e a seguire fino a, beh si salva Nietzsche in parte, l’essere è sempre stato pensato come la “cosa stessa”, che quindi è quella che è ed è immutabile, quindi se anche l’uomo è l’essere anche l’uomo è quello che è, e questo andava a urtare il pensiero nel quale Heidegger si è formato e cioè un pensiero dei primi del 900 delle avanguardie artistiche e le prime manifestazioni di opposizione nei confronti del positivismo, che aveva portato all’industrializzazione a una grandissima fiducia nella tecnica e nell’industria che invece si era rivelata, dopo la prima guerra mondiale, non così vicina all’esigenza dell’uomo. Allora tutto questo, ma non solo, ha portato Heidegger a considerare l’essere in un altro modo e si è domandato “se l’essere non è la cosa, non è quella roba lì, allora che cos’è?” e ha incominciato a rispondersi “perché intanto ci sia l’essere occorre che ci sia l’uomo, perché è con l’uomo che si pone la domanda intorno all’essere” da qui l’“esistenzialismo”, cioè è dall’esistenza che si parte, dall’esistenza l’uomo, a questo punto ha incominciato a dirsi che è l’uomo che si pone come colui che si pone la domanda fondamentale, la famosa domanda fondamentale, e allora ciò che l’uomo domanda è, sì, intorno all’essere ma non tiene conto del fatto che questo “essere” di cui l’uomo sta domandando è in qualche modo già presente nel suo domandare. Questa è la tesi di Heidegger, e cioè si tratta per Heidegger, rispetto all’essere, non più della “cosa” ma del mondo in cui l’uomo e la cosa si corrispondono, perché quando l’uomo si rapporta alla cosa si rapporta sempre per un motivo: vuole modificarla, vuole fare varie storie quindi questa “cosa”. Questo “essere” non è più la cosa in sé, tale e quale, ma viene modificata continuamente dall’uomo stesso, ecco perché l’essere per Heidegger non è più una cosa ferma e stabile ma è l’“esserci” cioè l’essere me in questo momento particolare, specifico, con tutto ciò che io sono, perché non sono soltanto quella cosa lì fatto di una testa, due braccia eccetera, sono tutto ciò di cui sono fatto ma sono anche quelle cose che altri prima di me hanno fatto, io sono tutte queste cose. La portata del suo pensiero è stato quello di ricondurre l’essere all’uomo, fare un umanismo, e cioè ha posto l’uomo, l’esserci dell’uomo al centro dell’indagine, non più come l’osservatore, lì c’è l’uomo e lì c’è la cosa e l’essere appartiene a quella cosa lì, no, l’essere è qui, qui dove sono io. La filosofia di Heidegger ha segnato una svolta indubbiamente, senz’altro ha costituito una grossa frattura, certo non è stato l’unico esistenzialista, ci sono stati Jasper, e Sarte, e Kierkegaard prima di loro. Però per quanto riguarda l’interpretazione, cioè l’ermeneutica, ha dato un avvio decisivo perché posta la questione in questi termini allora non c’è più “la cosa”, ma ci sono io che mi rapporto alla cosa, con tutto il mio bagaglio culturale, questa è la tesi di Heidegger e dell’ermeneutica di conseguenza, e cioè di tutto ciò che è stato elaborato come interpretazione. Heidegger ha segnato fortemente la teoria dell’interpretazione, era già stata posta da Nietzsche ovviamente, ricordate? “Non esistono fatti ma solo interpretazioni” dice Nietzsche, Heidegger lo ha teorizzato.