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6-4-2000

 

In molti casi è molto più facile sostenere una tesi se non è la propria di quanto lo sia sostenere la propria perché ci si espone in prima persona, e quindi se l’altro colpisce se è una tesi mia in prima persona, colpisce me, se no colpisce altri, come quando ci si ripara dietro “ipse dixit”, cioè lo dicono gli altri mica lo dico io, pararsi dietro quindi ad altro, per cui la responsabilità, togliere la responsabilità rimane sempre importante, perché accennavo martedì del fatto che da qualche tempo molte persone sono diventate molto più arroganti in quanto si ritengono, perché c’è chi le fa ritenere, si ritengono più importanti, sia i politici, sia la pubblicità, tutta una serie di cose, la religione stessa, è come se operasse un martellamento continuo in modo da farle sentire molto più importanti e sempre più “responsabili” fra virgolette, per esempio, di ciò che avviene, proprio perché non sono responsabili di niente, né possono decidere alcunché, ma l’idea tuttavia è che, almeno per molti si è consolidata l’idea di essere importanti però senza una vera e propria responsabilità di ciò che stanno facendo o dicendo, la responsabilità comunque attiene sempre ad altri, questo dà molta arroganza, come dicevo prima questa sorta di sicumera, come se a questo punto non fosse più necessario pensare, altri lo fanno e sono quelli che si assumono la responsabilità. Il discorso che andiamo facendo è fortemente responsabilizzante al punto che tutto ciò che faccio, che dico, che penso è una produzione del mio discorso e quindi mia, io non sono altro che il discorso che faccio, oltre a questo chiaramente porta anche una notevole solitudine, questo è anche uno dei motivi per cui c’è sempre una più forte religiosità delle persone, non tanto religiosità nel senso di andare in chiesa o praticare, ma religiosità nel credere o meglio ancora nello sbarazzarsi, dicevamo giovedì scorso della premessa maggiore di una qualunque argomentazione, potremmo anche dire che il discorso religioso è definito dall’impossibilità di potere affrontare o provare la premessa maggiore da cui muove, la premessa maggiore è definita proprio dal non fare una cosa del genere, non lo può fare perché se si confronta con la premessa maggiore del suo discorso c’è il nulla ovviamente, parlando di responsabilità invece in accezione di cui stiamo avanzando, la responsabilità insiste e consiste proprio in questo aspetto della premessa maggiore di una qualunque argomentazione, quando diciamo che ciascuno è responsabile di ciò che dice indichiamo che non può sottrarsi dal considerare se ciò che sta dicendo ha un fondamento oppure no, no? Se non ha nessun fondamento non può non accogliere una cosa del genere questo non significa che taccia ovviamente, però il fatto di non poter considerare il fondamento di ciò che dice è ciò che decide il fatto che una persona si assuma oppure no la responsabilità di ciò che sta affermando. Cosa comporta questa responsabilità? Prima dicevo della solitudine estrema, diciamo già da tempo, ma soprattutto un confronto continuo con ciò che si dice fra ciò che non può non dirsi cioè ciò che è necessario e ciò che è arbitrario, è questo che ci distingue da qualunque altro modo di pensare, il potere sapere con facilità, se ciò che viene affermato risulta necessario cioè attiene alla struttura del linguaggio oppure no, se no è assolutamente arbitrario e quindi viene considerato e trattato come tale, comunque arbitrario per cui non richiede nessuna credenza, nessuna adesione particolare, assolutamente nulla. Ora di fronte al dilagare della religiosità, in questa accezione, risulta sempre più arduo il nostro discorso e difficile da proporre e forse si tratta anche di tenere conto di questo nelle conferenze e nella pubblicità che ne facciamo, è come se della premessa maggiore di una qualunque argomentazione nessuno volesse saperne nulla, assolutamente nulla ed è la condizione questo, di non volerne sapere nulla per potere continuare a credere, a pensare in un certo modo, proprio la condizione, la “condicio sine qua non” dei latini e in effetti è una questione di cui abbiamo detto un sacco di volte, la premessa maggiore di una qualunque argomentazione cioè che cosa la sostiene, ed è muovendo da qui che ci si accorge che la più parte delle argomentazioni sono costruite su niente, cioè su elementi assolutamente negabili per cui posso affermare una cosa e il suo contrario che è certamente la stessa cosa, sì ?

Intervento: Lei diceva martedì di come questo chiedere perdono abbia la funzione di azzerare tutto ciò che è avvenuto però azzerare in che modo? Perché martedì la questione della confessione è stata un po’ bistrattata ma forse da questa via si può intenderne la funzione e cioè la immissione di elementi nel discorso resi all’ascolto dell’altro al quale si chiede perdono, ma per continuare a fare questo gioco, questo azzeramento non è un azzeramento ma mantiene le cose allo stesso modo serve soltanto a chiudere una partita per poterla ricominciare, non è che chiesto perdono per un genocidio, il genocidio non sia più interessante, non interessi più, è come se a quel punto prendesse valore perché non si deve più fare è un divieto e quindi proprio perché divieto invita e mantiene l’interesse, a questo punto il pericolo di genocidio esiste ed è reale, come dire che ciò che si vieta diventa per il divieto reale… quindi la seduzione e l’obiettivo che può comportare gli stessi elementi, anzi li stabilisce. Proprio la dottrina cristiana ha inventato la confessione, che funzione ha questa operazione? quella di rendere all’esistenza il peccato e di mantenerlo…

Sì come dicevo riconoscendo la responsabilità si riconosce il male che è stato fatto e questo è sufficiente ad ottenere dall’altro la cancellazione, ché il perdono è sempre la cancellazione di un danno che è stato fatto a qualcuno (sì, ma a questo punto la premessa maggiore cioè il male permane ed è come se fosse la premessa maggiore di ciascuna argomentazione, quindi non può che provocare altro male) ovvio (ci si può solo vietare di arrivare alla cosa e quindi di giocarla ma è come se a questo punto tutti gli altri giochi che si pensa di poter fare tenessero conto di una sola premessa) (però nel luogo comune funziona benissimo il fatto di chiedere perdono ed essere perdonati) sì anzi se non avviene il perdono si prende quasi come un’offesa, ho chiesto perdono devi, è quasi un obbligo, se non lo fa è un’offesa personale… (sempre per ribaltare la responsabilità sull’altro perché dio è stato inventato per questo scopo e effetti dio può intervenire nella dottrina cristiana come il salvatore, comunque dio non è più dio) Sandro qualche considerazione sulla responsabilità? (Le Bon dice che le persone non si seducono assolutamente mai con l’argomentazione quindi ciò che conta è l’ordine o lo slogan, bisogna tenerne conto nelle conferenze, questo non vuol dire che bisogna cambiare, è una considerazione e bisogna tenerne conto) Verdiglione per quanto ne parlasse non c’era nessuna logica in Verdiglione, tutto assolutamente strampalato assolutamente insostenibile (nell’ossessivo l’impossibilità di dire no, che deve sempre dire sì, come se l’impossibilità di dire no comportasse una sorta di impossibilità di decidere e quindi di esporsi) forse più che di decidere, di accogliere la decisione, perché se l’impossibilità di dire no, l’intenzione di dire no ma non lo può fare, per cui la decisione di dire no, però non può accogliere questa decisione (e invece se l’altro può dire no che cosa diventa importante a questo punto? diventa importante il mio rifiuto) sì (è come se perché mi aspetto che di fronte ad un mio no, l’altro mi rifiuti? – perché voglio essere rifiutato – sì però di fronte a una cosa del genere è un po’ come se fosse paralizzante forse occorre proseguire questa questione, è una cosa di cui non sappiamo cosa farcene, la questione che mi ponevo è che io non posso dire nulla perché l’altro mi può rifiutare, a questo punto non dico niente di più, io mi son sempre interrogato sul timore di essere rifiutato…) mi sfugge la connessione lei dice io non posso dire di no, però accolgo il rifiuto dell’altro, come se fosse il mio (cioè l’altro può dire di no, come dire, come se fosse il potere dell’altro, l’altro ha un potere cioè il potere di potere dire sì, e io devo accogliere questo potere, ma questo no che l’altro… è come se dovesse sempre far passare questo rifiuto il suo rifiuto nel rifiuto dell’altro cioè è un po’ come se avesse bisogno del rifiuto dell’altro per far passare il proprio…) se l’altro mi dice di no allora posso farlo anch’io, (no, non lo può fare perché non lo può dire, lo deve accettare anche se non lo accetta perché l’ossessivo dice di sì ma lo dice per cortesia, la domanda dell’accoglimento della decisione fosse sempre e comunque un rimandare la decisione, come se l’altro possa in un certo senso decidere) l’altro se, io vorrei dire di no, l’altro ha già fatto una richiesta precisa, quindi l’altro ha già preso una decisione di domandare una certa cosa a questo punto io vorrei dire di no per mille motivi, magari per fargli dispetto, però se dico di no l’altro se ne ha a male, sicuramente, perché è esattamente quello che faccio io quando l’altro mi dice di no, la prendo a male non dico niente ma poi gliela faccio pagare, quindi se dico di no quell’altro mi abbandona o comunque è un danno (è sempre una questione di abbandono) l’abbandono caratterizza gli umani… (l’impossibilità di esprimere l’odio, perché non può rendersi responsabile di questo odio, questa è una sorta di impotenza, come anche l’impotenza sessuale è impotenza rispetto all’odio, è questo timore del rifiuto che impedisce di dire no, che costringe anche a una continua seduzione che serve a eliminare sempre tutto ciò che in qualche modo può implicare una rottura) la responsabilità di una rottura se io dico di no a qualcuno, mi assumo la responsabilità di ciò che può avvenire e quindi l’eventuale rottura, certo (che è data per scontata questa rottura) nel discorso ossessivo spesso dico che dico, è talmente carico di odio che qualunque cosa dica immagina che questa piccola cosa abbia l’effetto di un ordigno nucleare, tanto qualunque elemento è caricato di odio, un potere deflagrante spaventoso, una fantasia, poi in realtà non succede niente… (quando parlavo di rifiuto è il suo odio questo che sta in qualche modo attribuendo all’altro perché è l’altro che rifiuta comunque, questo no lo rifiuta perché lui lo attribuisce all’altro, non gli appartiene) però spesso l’ossessivo non ha tutti i torti come dire rispetto alla sua fantasia, se io dico questa cosina, questa cosina si porta appresso quindici testate nucleari e quindi succede un macello e quindi l’altro chiaramente di fronte a questo massacro come minimo mi ricambierà la cortesia, perché l’idea come dicevo è che una qualunque parola si porti appresso tutto l’odio millenario di cui dispone, ogni parola è terrificante (però l’altro non è convinto che prima era un no e poi…) no l’altro non sa nulla, quello che fa l’invito, non sa nulla quello che pensa sarà comunque vincolato ai suoi tic (lui trova l’odio negli altri quello che non riesce a fare e trovare e dire è il suo odio, la questione più difficile è di porlo di fronte a questa cosa, costringerlo a confrontarsi in qualche maniera con il suo desiderio) (quello che non intendo è come sia trasferito sull’altro questo odio) come dire io lo odio talmente tanto che se ne accorgerà e accorgendosene mi ammazzerà questo per dirla in termini molto spicci cioè l’altro capta cioè se ne accorgerà perché è talmente spropositato e quindi mi massacrerà e allora dico di sì e così lo frego (perché così lo frego?) sì perché comunque la fa pagare ma senza esporsi, senza esporsi cioè senza mostrare apertamente l’odio (ma così lo frego è quel qualcosa che serve a continuare il gioco se no non intendo, cioè è sempre e comunque una questione di soddisfazione) deve farlo perché comunque lo odia, per questo deve danneggiarlo (ma il suo odio è anche un folle amore tutto sommato perché io lo percepisca…) si io stavo dicendo che lo vuole distruggere poi per quale motivo questo è un altro discorso, certo, c’è molto erotismo (parlavo di spostamento e tralasciavo la condensazione) sì come in ciascun discorso l’altro è responsabile del proprio disagio per cui deve essere eliminato o educato a seconda dei casi però a seconda dei casi il discorso ossessivo è anche responsabile di tutto in generale (l’odio presuppone questa dipendenza continua) come ciascun discorso, in ciascun discorso dipende sempre dall’altro (l’abbandono presuppone il discorso continuo con l’altro… presuppone la impossibilità di pensiero perché manca quell’interlocutore, ecco come rendere funzionale questa questione per cui l’altro non sia fantasmaticamente potente) smorzargli la potenza? (porre l’altro come un operatore deittico non il supporto di una colpa. La questione di Lacan quello per cui io ricevo il messaggio in forma capovolta o invertita, come se questa affermazione comportasse la mia parola come parola dell’altro, per cui non posso ascoltare quello che dico ma quello che dico è ciò che ho assunto dall’altro) (forse sono io che lancio un messaggio invertito all’altro) (però se non me ne accorgo?) (in effetti questa costruzione rispetto all’altro chi la fa?) legittimo (e quindi mi viene da dire che sono io che lancio il messaggio capovolto e lì mi ci perdo ) (è questo che lì ci si perde con questa questione perché tira appresso un sacco di storie) (il rifiuto dell’altro è qualche cosa che ha a che fare con il proprio rifiuto quindi in qualche modo messaggio capovolto, per cui io proietto sull’altro qualche cosa che mi appartiene) (però se ci si attarda su queste cose, nei termini di Lacan è come se io attendessi dall’altro il ricapovolgimento del messaggio perché io lo possa intendere, il raddrizzamento e a questo punto son sempre dipendente dall’altro) (ecco questa questione che chiamo questione Lacan pare che nel discorso occidentale funzioni abbastanza, così che poi lo raddrizziamo o lo capovolgiamo, è un po’ la proiezione del paranoico che vede il mondo in un certo modo ed ha bisogno di deresponsabilizzarsi in questo modo) (perché si attribuisce all’altro la responsabilità? Perché si attribuisce all’altro la risposta, quindi è l’altro che ha la risposta per esempio mi sono trovato… quando escono i dati americani che dicono che la disoccupazione sta crescendo, a seconda di come sono questi dati la borsa sale o scende… perché? (lo scandalo della collega che non riusciva a cogliere il paradosso della inflazione che scende quindi c’è lavoro e la borsa che cade) ovviamente questo non ha nulla a che fare con la realtà è come la matematica che non ha un riscontro reale, da lì si è arrivati alla questione del potere come dire che c’è un potere che lavora il tutto, e mi veniva in mente la questione della mano invisibile come quando ci si appella al mercato, come quando ci si appella a dio, a qualunque cosa, a questo altro con la A maiuscola, è come una mano invisibile che in qualche modo viene a condizionare ed è ovviamente religioso perché è come se questa mano invisibile agisse in modo magico sulle cose, è un modo anche questo per rinnegare una sorta di responsabilità anche in queste considerazioni, è un gioco anche quello dell’economia, come quello della matematica, il guaio quand’è che incomincia? Quando si pensa che non siano più regole di un gioco ma siano la realtà delle cose perché a questo punto diventa problematico perché si cerca di incidere su questa cosa e da lì subentra che cosa poi? L’incapacità, ché non potendo agire in modo definitivo in quanto non sono la realtà delle cose ma sono semplicemente delle regole, a questo punto si assume questa impotenza) sì interessante (e quindi ci si appella a questa mano invisibile, a questo Altro che ha il potere, la capacità, è responsabile) (è come renderlo visibile questo altro) ( no perché è un po’ come nel discorso isterico, al momento in cui questo altro si rappresenta, non è più altro) è lui (è interessante questa non visibilità della cosa) è come la premessa maggiore perché tutto funzioni (la questione del perdono è quella di mantenere il peccato, perché il peccato non si possa incarnare nel responsabile cioè che tolto il responsabile si possa togliere il peccato) ecco esatto (il peccato deve trascendere…) già bene, un passo avanti ci vediamo giovedì prossimo.