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1-2-2006

 

Ciò che chiamiamo malattia

 

Questioni intorno alle cose che andiamo dicendo? Qualcuno ha riflettuto?

Intervento: Come si diceva prima: la malattia che funzione ha? La funzione di far sì che ciò che si manifesta come malattia non sia altro che una verità cioè che il proprio discorso sa di aver trovato qualche cosa che è così perché l’ha verificato il proprio corpo…

Ciò che lei descrive potrebbe non soltanto essere una malattia perché può trovare delle cose piacevoli sul proprio corpo e non per questo le ritiene una malattia…

Intervento: in genere sì però diciamo che anche le cose piacevoli hanno questa struttura perché io devo sempre verificare e la verifica mi viene sempre data dal corpo… anche la felicità stessa il mio corpo deve verificare “ah questa cosa c’è perché la sento, la tocco questa cosa che io voglio”… riflettevo quando il proprio discorso non ha più la verità ecco che a questo punto la malattia gioca un grande ruolo perché in prima istanza ciò che concludo è vero perché il mio corpo non può dire il falso… è molto comodo accolgo delle verità e il mio discorso non ha più necessità di trovare proposizioni vere al di fuori di queste…su questa malattia si adagia… malattia come benessere tutto sommato perché mi dà una certa tranquillità non ho…

Intervento: mi viene in mente un libro che sto leggendo sulla malinconia dal romanticismo ai giorni nostri… una questione interessante è la questione della noia… la malattia come una sorta di rincorsa contro la noia, in fondo dicevamo che la cosa che gli umani cercano sono problemi da risolvere e la malattia diventa un problema da risolvere… la cosa che mi interessa di più è perché la noia, perché se tutto il resto diventa un rimedio contro la noia… perché questa noia a me interessa di più sembra quasi che venga prima

Cioè lei sta chiedendo a noi perché a lei interessa la noia?

Intervento: no mi interessa la questione della noia perché mi sembra che tutto il resto stia funzionando come rimedio… la sofferenza è un qualche cosa che ha come riferimento la noia…

Intervento: però potrebbe essere anche quando il proprio discorso non produce più proposizioni vere… la disillusione rispetto al mondo… il rimedio alla depressione, il credere nei valori… l’idea è che senza le emozioni ci sia un’assenza di rilancio cioè… ne abbiamo parlato in questi termini poi bisogna vedere come uno lo pone chiaramente la questione è come il linguaggio produce tutto questo

Intervento: il linguaggio deve costruire delle proposizioni per andare avanti e quindi giocando con il gioco della noia o con il gioco della depressione o della felicità, gioca...

Nel luogo comune il corpo diventa importante quando segnala un mal funzionamento generalmente, se no nessuno si occupa del suo corpo, oppure quando deve essere strumento di seduzione, sono le uniche due circostanze in cui il corpo diventa importante. Hanno qualcosa in comune queste due situazioni? Entrambe funzionano da seduzione, sia abbellendolo, mettendogli su vari aggeggi oppure mostrandolo infermo, incapace, entrambe esercitano generalmente una forma di seduzione nei confronti di altri. Ora la questione è questa: in entrambi i casi ci si attende dall’altro una sorta di certificazione di qualche cosa, come se in entrambe queste circostanze si avvertisse una sorta di en passe, di difficoltà rispetto al proprio discorso il quale discorso deve trovare una conferma, una certificazione da parte di altri, cioè gli altri devono darmi ragione. Se per esempio una fanciulla pensa di essere bella, se altri glielo dicono allora questo viene certificato, non è sufficiente che se lo dica da sé il più delle volte, e così nel caso della malattia, altri certificano il mal funzionamento, in ogni caso diranno che le cose stanno proprio così. In entrambi i casi il corpo è uno strumento, uno strumento per reperire nell’altro, nell’interlocutore, una conferma, una certificazione. Noi abbiamo posto tempo fa il corpo come strumento del discorso, uno strumento che serve a modificare le cose in modo tale da giungere a concludere con un’affermazione vera, qualunque cosa sia non importa, in effetti il corpo viene utilizzato, per esempio, per modificare delle cose in modo da soddisfare dei desideri, delle richieste. La questione della malattia o più propriamente di ciò che noi chiamiamo malattia, occorrere fare questa precisazione: siccome riguarda il corpo, che è uno strumento del discorso, allora la malattia è uno strumento del discorso, e abbiamo detto a che cosa serve, nel caso più generale a riprodurre le situazioni in cui tutto ciò che mi accadeva veniva certificato immediatamente dall’altro il quale accudisce, si faceva l’esempio del bambino piccolo che viene accudito e quindi altri si occupano di lui, questo perché è importante che altri si occupino di lui, potrebbe non importargliene assolutamente niente e invece in linea di massima è importante, perché nel momento in cui il linguaggio si installa avviene grosso modo questo, che ciascun desiderio deve essere soddisfatto dall’altro, il bambino piccolissimo se ha fame non può cavarsela da solo, deve attendere che qualcuno gli fornisca da mangiare, per esempio, o qualunque altra cosa, cioè il suo discorso ha l’occasione di considerare che ciò che desidera viene soddisfatto da altri, potrebbe non essere marginale una cosa del genere, certo, ad un certo punto questo desiderio viene soddisfatto da sé, ma che rilievo ha il modo in cui il discorso si produce, si articola, si svolge, il fatto che dall’inizio questo discorso abbia dovuto ricorrere ad altri per essere soddisfatto? È assolutamente indifferente oppure no? Potrebbe non esserlo. In fondo ciascuno mantiene in qualche modo la necessità, almeno fantasmaticamente, che ci sia qualcun altro che soddisfa i suoi desideri, l’innamoramento è uno dei casi più evidenti. Ma perché tutto questo? Che se ne fa il discorso di una cosa del genere? E soprattutto come il discorso considera una cosa del genere fin dall’inizio? Cioè il fatto di non potere da solo essere in condizioni di costruire proposizioni che giungono a buon fine, che siano felici, come direbbe il nostro amico Austin, perché tutto ciò ha molto a che fare con ciò che chiamiamo malattia, almeno così appare, come se nella mala parata, e cioè quando non si riesce a venire fuori da una situazione che è rappresentata il più delle volte da una fantasia di abbandono, e cioè dal fatto che le altre persone non mi danno ragione, in fondo è riconducibile a questo, allora l’estrema ratio perché mi diano ragione è mostrare che sono malato, in questo caso ho la certezza assoluta che mi daranno ragione e cioè certificheranno che è così come dicono “che sono malato” e questo ha sicuramente qualche vantaggio. Come se fosse sempre estremamente importante per ciascuno reperire la ragione da parte di altri, come se ancora l’assenza di questo ritorno, di questo riconoscimento fosse qualcosa di intollerabile, d’altra parte o c’è la possibilità di reperire stringhe di proposizioni vere, se non addirittura necessarie all’interno del proprio discorso, oppure si va a ricerca di conferme che, non potendo venire dal proprio discorso, sono necessariamente dipendenti dai discorsi altrui, non che questi altrui siano in condizioni di garantire una cosa del genere, però qui interviene un altro elemento, e cioè il fatto che se qualcuno dice qualcosa questo qualcosa esiste e se lo dice è perché lo crede vero necessariamente, almeno che non menta, ma questo è un altro discorso, se lo crede vero sarà vero, e se nessuno mi dà ragione e se io non sono in condizioni da me di reperire delle stringhe che risultino vere allora è un problema, come dire che queste stringhe non riescono a concludere un qualcosa che sia soddisfacente, che cioè mi consenta di proseguire in quella direzione, e se ritengo quella direzione fondamentale ecco che mi trovo in quella mala parata di cui dicevo, e a quel punto, siccome sappiamo che il linguaggio non si arresta allora cosa continua a fare? A costruire proposizioni che continuano ad andare in quella direzione naturalmente, e cioè quella che afferma che io sono incapace di pensare, di fare etc. Poiché sappiamo che il linguaggio è un sistema operativo, di quello che dice non gliene importa niente, mentre per il discorso è diverso, il discorso è sostenuto da una serie di costruzioni, di fantasie che si sostengono a vicenda e che sono giochi linguistici, il discorso non è altro che una serie di giochi linguistici…

Intervento:…

Su questo occorre che ci riflettiamo bene, perché va precisata la distinzione che stiamo ponendo tra discorso e linguaggio, certo il linguaggio non è altro che un sistema operativo, un sistema inferenziale, e la possibilità di distinguere un elemento da ciascun altro in fondo non è nient’altro che questo: un discorso è tutto ciò che viene costruito da questo sistema operativo, cioè giochi linguistici che, essendo giochi, ovviamente si attengono a delle regole, queste regole possono venire in conflitto tra loro e creare quei problemi che sono noti agli umani mentre il linguaggio di per sé non crea nessun problema, non può farlo, è soltanto un sistema operativo, mentre il discorso sì, perché essendo, come dicevo, giochi linguistici, può intervenire quello che nei computer si chiama un conflitto di file e si arresta il sistema, non il linguaggio, non si arresta mai, ma il discorso sì, può arrestarsi, può arrestarsi lungo una via che all’interno di quel gioco ha acquisita un’importanza notevole e senza la quale quel gioco non può proseguire, e questo gioco può essere fondamentale per una serie di altri giochi linguistici che lo hanno preceduto, a questo punto c’è l’arresto, il blocco, non del sistema operativo ma del discorso, di quel discorso, di quel singolo gioco linguistico che deve trovare assolutamente,una soluzione, uno sbocco. Il fatto che io mi trovi a non reperire la ragione da parte di nessuno, questo costituisce un arresto del discorso, il discorso non può più proseguire perché non è confortato, non è confermato, non è certificato anzi, tutti quanti dicono che è falso, verrebbe quasi da pensare che in quel particolare frangente il proprio discorso è come se implodesse su se stesso, adesso uso questa figura, prendetela per quello che vale, e implodendo su se stesso abbia la necessità assoluta di venire certificato perché non può più sostenersi, e l’unica cosa che può essere certificata immediatamente da chiunque è la malattia, è l’unica cosa, non ce ne sono altre perché chiunque a quel punto mi dà immediatamente ragione e mi conferma. Poi non è l’unica situazione ovviamente, anche se può essere quella prioritaria, sicuramente non è l’unica, per esempio la sensazione di incapacità a proseguire in una certa direzione che viene considerata dal discorso come prioritaria e fondamentale può generare quella sorta di avvilimento tale da indurre anche una malattia, ciò che chiamiamo malattia, ma qui si tratta di intendere molto bene la questione e forse di considerare la questione stessa della malattia in tutt’altri termini: perché se il mio discorso non procede in quella direzione io mi ammalo, perché? Magari non ho la necessità che il mio discorso debba essere necessariamente certificato cionondimeno… a meno che in quella circostanza il discorso, come dicevamo prima, non ritorni immediatamente a una situazione dove questa en passe non esisteva, come dire che torna a un punto dove tutto funzionava bene. I sistemi operativi più recenti hanno un programma che consente, quando c’è un mal funzionamento, di tornare a un precedente punto di ripristino, cioè ripristina l’ultima configurazione funzionante perfettamente. Potrebbe essere qualcosa del genere, certo questa è una metafora che vale quello che vale, tornare a una sorta di punto di ripristino dove questi problemi non c’erano e dove quindi ci si trova in quella condizione di essere accuditi, dove altri si occupano dei problemi, risolvono i problemi. Per il momento sono tutte ipotesi, è ovvio che si tratta di lavorarci e verificare in termini molto precisi tutta la questione, adesso stiamo girando tra varie fantasie e varie ipotesi, non c’è ancora assolutamente nulla di necessario. Ma si tratterà di considerare il funzionamento del linguaggio e reperire la necessità di tutto ciò, e cioè giungere a concludere che nel momento in cui il discorso si trova preso in una sorta di conflitto che non può, ché non ha gli strumenti, risolvere, allora la soluzione è quella, magari non è necessario che sia proprio quella però è una soluzione o, più propriamente, la malattia è sempre necessariamente il rimedio a una difficoltà insuperabile, che in nessun modo il discorso può superare con gli strumenti e attenendosi alle regole che si è costruito, se si mantengono quelle regole e continua ad avere solo quegli strumenti non ha via d’uscita se non quella di trovare l’unico elemento che verrà certificato da tutti, e quindi il discorso in quella direzione potrà proseguire, magari immaginando che risolto quel problema della malattia allora magari anche altri potranno risolversi; sono tutte fantasie possibili, però rimaniamo nel campo delle fantasie, delle possibilità, il lavoro teoretico è altro: muove da ciò che è necessario e per deduzione costruisce altre affermazioni necessarie, per il momento di necessario non c’è nulla, solo possibilità: è possibile che sia, è possibile che non sia, ma per giungere a qualcosa di necessario dovremo tornare alla questione del corpo e intendere una volta per tutte qual è la funzione non del corpo, ma di ciò che noi chiamiamo corpo, qualunque cosa sia… c’è qualche questione nel frattempo? Sorga, Daniela…

Intervento: questa necessità di autocertificarsi è comune a tutti i discorsi, questa autocertificazione esterna di qualcun altro?

No, non è necessaria, è necessaria all’interno del discorso ma non che venga dall’esterno, per esempio il mio discorso non ha nessuna necessità di essere certificato da altri perché è in condizioni di farlo da sé, di sapere cioè se ciò che sta affermando è necessario oppure no e se non lo è prendere atto che è arbitrario con tutto ciò che ne segue, tuttavia se non c’è la possibilità di accedere al sistema operativo e cioè di intendere che cosa sta funzionando e come funziona e che tutto ciò è prodotto dal linguaggio allora sì, allora è inevitabile la ricerca di una certificazione che venga da parte di altri, da qui la necessità di convincere, di persuadere, di fare tutta una serie di operazioni…

Intervento: la necessità di rivolgersi a una realtà fuori di sé

Esattamente, la realtà è la certificazione, la cosiddetta malattia è la realtà dei fatti, viene certificata, non è più una mia idea, un mio pensiero che può essere messo in discussione da chiunque in qualunque momento ma è qualcosa di certo, di certificato: “sono ammalato” e questa è la realtà delle cose, funziona da garanzia, la funzione della realtà è questa: garantire che c’è qualche cosa che non dipende da me…

Intervento: ma perché questa difficoltà nel discorso di considerare se stesso e il suo funzionamento?

Perché non ci sono gli strumenti per potere considerare che cosa è necessario in ciò che si dice, non essendoci

Intervento: per l’addestramento?

Sì, si è addestrati a pensare così certo, però se il mio discorso non ha la possibilità di intendere che cosa lo fa funzionare e perché, allora non sarà mai sicuro di niente, così come avviene nel discorso occidentale, non è mai sicuro di niente, solo tutte ipotesi, tutte cose buttate lì in attesa di essere verificate ma che non potranno mai essere verificate se non si intende che cosa le fa funzionare e questa insicurezza del discorso, “insicurezza” strutturale del discorso fra virgolette nel senso che può levarsi, però se non c’è questa consapevolezza è inevitabile, e questa insicurezza è alla base di tutto ciò che muove gli umani a cercare altrove questa garanzia, questa sicurezza può essere l’opinione altrui, può essere la parola di dio, può essere la realtà delle cose, una legge di natura, può essere qualunque cosa purché dia questa sicurezza che comunque non troverà mai, ci si può credere è ovvio, però la certezza non c’è mai, è una fede, l’unica condizione è questa: sapere che cosa fa funzionare tutto, cioè qual è la condizione di qualunque cosa che è il linguaggio allora, a questo punto, il suo discorso può avere l’opportunità di trovare un aggancio a qualcosa che è assolutamente certo, che è necessario che sia, e quindi distinguere ciò che è necessario da ciò che è arbitrario e tenere conto sia dell’una cosa che dell’altra, non temere né l’una cosa né l’altra. Se io so che il mio pensiero è arbitrario va bene, tengo conto con tutto ciò che questo comporta e cioè so che non è necessario, può essere utile o vero all’interno di un gioco che sto facendo, ma so che al di fuori di questo gioco non significa assolutamente niente come quando gioco a carte con gli amici, mi attengo a delle regole ma so che al di fuori di esse quel gioco non significa assolutamente niente. Contrariamente invece a ciò che fanno gli umani che ritengono che queste cose siano assolute, siano appunto la realtà delle cose, siano quindi necessarie, mentre non lo sono, è la menzogna e l’abbaglio su cui si regge tutto il discorso planetario…

Intervento:…

Il linguaggio costruisce proposizioni, quindi discorsi, quindi giochi linguistici all’infinito, però una delle possibilità è che se non si rende conto di sé allora la malattia sia inevitabile, e cioè prima o poi giunga a un punto di arresto tale da, come dicevo prima, da implodere, crolla su se stesso cioè non ha più la possibilità di andare avanti e quindi ricorre a quell’unica forma di certificazione di cui ha l’assoluta certezza “sto male”…

Intervento: la malattia come la depressione, come la sofferenza

Il più delle volte funziona così, come il raffreddore, qualcosa che funzioni come una sorta di cosmesi, in fondo la cosmesi abbellisce il corpo per cui lo rende attraente, abbellire il corpo per sedurre oppure come dicevo all’inizio mostrarlo malandato…

Intervento: la malattia è sempre per l’altro?

C’è questa possibilità, è questo che abbiamo detto questa sera, sì perché l’altro deve rinviare una certificazione, in questo senso diciamo che è per l’altro, questione di qualche interesse, è un’esibizione esattamente come la cosmesi è per l’altro che deve vedere…

Intervento: anche l’amore è sempre per l’altro nel senso che ha bisogno dell’altro no?

Forse, e l’amor sui?

Intervento: io non ci credo

Il fatto che lei non ci creda non è determinante

Intervento: il narcisismo ha comunque sempre bisogno dell’altro per…

Sì è possibile, lei dice che in amore è sempre l’altro che certifica, che offre questo ritorno, già però non è la malattia, ma ciò che noi chiamiamo malattia, è diverso, ché non esiste in quanto tale, non è un’entità a se stante…

Intervento: è essenziale intendere per quale motivo si è formato questo concetto…

Per una sorta di omertà, da sempre nella malattia per il fatto che a ciascuno serve per venire certificato, per essere qualcuno, riconosciuto essere qualcuno o qualcosa dal prossimo quindi esistente almeno, almeno esiste in quanto malato…

Intervento: la malattia legittima il terapeuta, lo stesso politico si pone come terapeuta, lei prima parlava della soddisfazione, di come si impara la soddisfazione, da come si impone la soddisfazione già da “piccolo”, deve essere soddisfatto il bambino perché non può accudire se stesso è la storia, è la realtà che ci dice questo, è così che è costruito il discorso occidentale, i piccoli non possono vivere da soli, non possono vivere se non gli dai da mangiare muoiono…

C’è un addestramento ben preciso, l’infante è soggetto a continue richieste sempre più pressanti e sempre più elaborate, più articolate, sempre più difficili da soddisfare, esattamente come avviene nella scuola, si incomincia con le aste e si arriva fino a dove si vuole, quindi sì certo ha bisogno dell’altro ma per soddisfare la richiesta dell’altro soprattutto, è a questo punto sorge il problema, all’inizio non si pone nessun problema, sì certo noi diciamo che se la madre o chi per lei non lo nutre lui muore, va bene, muore, che problema c’è? Di per sé nessuno, invece il problema sorge quando è in condizioni di recepire una richiesta e di pensare di doverla soddisfare, solo a questo può sorgere il problema.