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2.RECURSIONE

 

 Con recursione intendiamo l’impossibile uscita dal linguaggio poiché, essendo ciascun elemento linguistico tale perché inserito nella combinatoria linguistica, è necessariamente connesso con un altro elemento linguistico. La recursione è una procedura linguistica? Si, è una procedura linguistica, e sono procedure linguistiche tutte quelle operazioni che il linguaggio non può non produrre, e il linguaggio può produrre operazioni di qualsivoglia genere perché strutturalmente ricorsivo.

I tre principi aristotelici, sono ricorsivi? Non potrebbero non esserlo, poiché in quel caso nulla potrebbe ripetersi. La ripetizione non è dell’identico né del differente, la ripetizione è una procedura linguistica, e la indichiamo con la recursione. Dire che la ripetizione è oppure non è dell’identico pone la questione come se si trattasse di stabilire la sostanza della ripetizione, allora la ripetizione sarebbe oppure non sarebbe una certa cosa. Ma in quanto procedura linguistica la ripetizione non può essere altro che se stessa, e cioè una procedura linguistica. La questione ci interessa perché riguarda ciascun elemento linguistico. Se in effetti affermiamo che la ripetizione è dell’identico, che cosa stiamo intendendo esattamente con ripetizione? Qualcosa che è nella parola ovviamente, e quindi qualcosa che è tale in quanto è nella parola. Pertanto la domanda che chiede se la ripetizione sia dell’identico oppure no non ha alcun senso se non si precisa che cosa si intenda con ripetizione. Se si intende con ripetizione la ripetizione dell’identico allora la ripetizione sarà ripetizione dell’identico, se si intende con ripetizione la ripetizione di ciò che non è mai stato, allora la ripetizione sarà ripetizione di ciò che non è mai stato. La recursione, come ciascuna procedura linguistica, funziona in questo modo, dice che ciascun elemento è quello che è, e in questo utilizzabile dal discorso, al fine di fare esistere il discorso. Più propriamente potremmo dire che il linguaggio è ciò che di volta in volta "stabilisce" di essere. Soltanto pensando religiosamente è possibile credere che la ripetizione debba essere necessariamente dell’identico o del differente. Resta da considerare se questa questione riguardi ciascun elemento linguistico oppure no. Se riguarda ciascun elemento linguistico allora non c’è modo, nessun modo, per potere stabilire che cosa necessariamente qualcosa debba essere, ma soltanto rilevare in quale gioco stia intervenendo, sempre tenendo conto che il senso di ciascun elemento linguistico è dato dal suo uso, cioè dal gioco linguistico in cui è inserito.

Un gioco linguistico è fatto dalle procedure e dalle regole, le procedure fanno proseguire il discorso, le regole indicano la direzione, il senso. Che io "decida" che la ripetizione sia ripetizione dell’identico è una regola, non una procedura, è una direzione del discorso e non una condizione del discorso. Perché se io decido che la ripetizione sia ripetizione dell’identico allora, per questo stesso decidere, il discorso è già in atto.

Considerare questa questione porta ad affrontare il discorso come l’attuarsi del linguaggio come fine a se stesso, come dire che qualunque "finalità" possa apparire o possa pensarsi nel linguaggio, questa segue inevitabilmente il fatto che il linguaggio si stia attuando, cioè stia già funzionando. La recursione è allora proprio questo funzionamento del linguaggio, questo che chiamavamo il porsi in atto delle procedure, porsi in atto che è già sempre e necessariamente in atto.

Se io penso che ciò che sto pensando, o dicendo, o facendo, abbia un certo senso o una certa portata, tutto questo che penso non è altro che una regola per giocare il gioco che si fa, pensando che ciò che faccio, dico o penso abbia un certo senso o una certa portata. Tenere conto di questo può non essere indifferente, poiché impone al discorso quella recursione che lo conduce inevitabilmente alle constatazione delle regole del gioco che si sta giocando, indicando che il senso del discorso che si sta facendo è esattamente la sua direzione.

Tutto questo ci conduce sempre più lontani dal discorso religioso, dalla sua stessa possibilità, e quindi anche dal discorso occidentale. Può sorgere una difficoltà di fronte all’idea di abbandonare il discorso religioso, difficoltà che si può enunciare come il timore di potere perdere il valore delle cose, la loro stessa esistenza o cose del genere. A quali condizioni può sorgere tale timore? Dalle regole del gioco che prevede che si temano di perdere tali cose, evidentemente. Dunque ancora un altro gioco.

Non c’è, né può esserci uscita da una tale posizione dove ciascun elemento che interviene è considerato con il gioco in cui è inserito. Uscire da tale posizione comporta credere che il gioco non ci sia, e pertanto trovarsi a giocare il gioco che prevede che il gioco non ci sia. È possibile non accorgersi del gioco che è in atto in ciò che si dice? La sola cosa che possiamo dire è che questo accade, e questo accadere è ciò che indichiamo come discorso religioso. Potrebbe essere di un certo interesse intendere come questo possa accadere, e cioè che cosa impedisce di abbandonare il discorso religioso, di dissolverlo. Ma questo riguarda quelle cose che comunemente sono chiamate fantasie, e cioè il timore di essere abbandonati, di dovere rinunciare a forti sensazioni, o a un senso della vita o qualunque altra cosa del genere. In effetti non si tratta affatto di distruggere il discorso religioso a vantaggio di un altro, qualunque esso sia. Chi vuole incamminarsi lungo un’altra via può farlo, chi vuole procede lungo la via del discorso religioso può farlo. Sono soltanto giochi linguistici che prevedono regole differenti per giocare, tutto qui. Enunciare di non potere cambiare la via che si sta percorrendo, allora non è altro che giocare un gioco che prevede che non si possa cambiare la via che si sta percorrendo. E poi c’è un gioco che prevede che si sappia che si sta giocando un gioco linguistico, e un altro che prevede che non si possa sapere che si sta giocando un gioco linguistico, e poi un altro ancora che prevede che si sappia che si sappia che si sta giocando un gioco linguistico, e così via. Una persona che lamenti per esempio la sua condizione, sta giocando quel gioco linguistico, che lo sappia oppure no, non ha nessuna importanza. Il fatto che lo sappia comporta soltanto che giochi un altro gioco, che non lo sappia un altro ancora.

Il "e così via" di cui si è detto poc’anzi è possibile proprio per via della recursione, della possibilità cioè del linguaggio di giocare. Potrebbe darsi una procedura senza un gioco in cui tale procedura funzioni? La domanda è senza senso, se si considerano le cose dette precedentemente, cioè senza direzione, fino al momento in cui il gioco che si sta giocando non abbia una direzione, solo a questa condizione possiamo rispondere a quella domanda, cioè solo a questa condizione quella domanda ha un senso.

Ciò che stiamo facendo non è altro che radicalizzare quanto detto e avanzato precedentemente, portandolo alle estreme conseguenze. Così facendo ci atteniamo al criterio da cui siamo partiti: accogliere soltanto quelle proposizioni che non possono non essere accolte. Potrebbe darsi un gioco più radicale? Questo non lo sappiamo, occorrerebbe stabilire regole differenti da quelle a cui ci stiamo attenendo, oppure reperire altri elementi che non possono non essere accolti se si vuole continuare a giocare questo gioco.

Rimane ancora da considerare la questione del gioco linguistico in termini più precisi e più estremi. Che cosa dobbiamo dire del gioco più propriamente, perché definirlo linguistico risulta pleonastico, in quanto elemento linguistico il gioco è necessariamente linguistico. Intanto, è possibile definire il gioco fuori da un gioco, o anche solo parlarne? Che cosa ci stiamo chiedendo con questo? Rispetto al gioco che stiamo facendo parrebbe di no, fuori dalle regole attraverso cui si parla non c’è possibile discorso che possa farsi, e quindi definiamo il gioco all’interno del gioco che stiamo giocando. Necessariamente.

Dunque, per il gioco che stiamo giocando, che cosa il gioco non può non essere? Il gioco è una procedura nel senso che non può non essere nel discorso? Ma in questo caso dovremmo giungere ad affermare che anche la regola del gioco è una procedura perché il gioco non può darsi se non esiste una regola. Diciamo allora che il gioco è dato da una procedura più una regola. La procedura e la regola costituiscono il gioco linguistico. Della procedura abbiamo detto, della regola possiamo dire per il momento soltanto che attribuisce alla procedura una misura. Una misura stabilisce e fissa dei limiti entro cui può svolgersi il gioco. Un gioco è tale perché esclude delle operazioni, non tutte le operazioni sono concesse per giocare un gioco. Ciò che non può non dirsi di un gioco, di un qualsiasi gioco, è che deve essere regolato, misurato.

Introducendo la nozione di misura, intendiamo considerare l’impossibilità che un elemento, un qualunque elemento, possa affermare e negare simultaneamente se stesso. Non può cioè porsi e non porsi, e con questo resta annotato che una regola non può darsi senza una procedura. Ciascuna cosa allora è necessariamente un gioco linguistico. Anche questa affermazione, ovviamente, e pertanto questa affermazione non può affermare nulla che sia fuori dalla parola, ma soltanto la sua correttezza, vale a dire l’adeguamento alle regole del gioco che sta giocando. La correttezza può essere stabilita solo ricorsivamente, cioè soltanto considerando le regole per cui il gioco linguistico che è in atto è tale, è cioè "questo" gioco linguistico perché le regole di cui è fatto lo fanno essere tale. Parlare di "realtà" delle cose, per esempio, è compiere un gioco linguistico che ha delle regole precise, tali per cui diventa pensabile che le cose esistano di per sé, oppure che debba esserci qualcosa fuori dalla parola o qualunque altra cosa che le regole di cui si diceva rendano possibile pensare.

La domanda circa il "da dove venga un gioco linguistico" è un altro gioco linguistico le cui regole prevedono, e pertanto rendono pensabile, tale domanda. Definendo ciascun atto linguistico come gioco linguistico, potrebbe apparire che parlando di "gioco" possa darsi l’eventualità che qualcosa possa essere un non gioco, e potrebbe effettivamente darsi questa possibilità semplicemente giocando un gioco che preveda questa regola, questa possibilità. Il discorso religioso, per esempio, non soltanto prevede questa possibilità, ma prevede una regola che vieta di pensare che ciascuna cosa, cioè ciascun atto, sia un gioco linguistico.

In questi termini, come detto precedentemente, ciascun evento, ciascun accadimento si pone come un atto linguistico, ma tutto ciò è, appunto, giocare questo particolare gioco linguistico per cui ciascuna cosa che accade è un atto linguistico. Un gioco linguistico può prevedere una regola che vieti di considerare se stesso un gioco linguistico, cioè è un gioco linguistico che nega se stesso, che prevede quindi una regola che vieta di considerare ciò che accade come un gioco linguistico. La questione è che c’è l’eventualità che ciascun gioco linguistico, così strutturato, che neghi cioè di se stesso di essere un gioco linguistico, si trovi a negare ciò stesso che lo fa esistere. Ma allora il fatto che ciascun atto linguistico sia un gioco linguistico non sarebbe più un gioco linguistico ma qualcosa di necessario, non più inserito in un gioco linguistico, sarebbe cioè un non gioco.

Considerare l’esistenza delle procedure linguistiche è un gioco linguistico? Parrebbe, poiché in caso contrario, in assenza di procedure linguistiche, non potrebbe darsi alcun gioco linguistico. Ma anche questa affermazione non può non essere un gioco linguistico. Dunque per potere affermare che ciascun atto linguistico è un gioco linguistico, occorre necessariamente un gioco linguistico. Anche questa affermazione è un gioco linguistico, e lo possiamo dire per recursione. La procedura di cui è fatto il linguaggio comporta che ciascun elemento possa ripetersi, potremmo dire che questa è esattamente la procedura che chiamiamo recursione. Potremmo dire ancora che la procedura è l’invariante nel gioco linguistico e del gioco linguistico. Ma di nuovo, affermare che si dia un’invariante è un gioco linguistico? Si, sempre per via della procedura della recursione.

Ciò che stiamo considerando è un altro modo per rilevare l’impossibilità di uscire dal linguaggio. Ma anche questa affermazione è ancora un gioco linguistico. È esattamente questo dunque che intendiamo con recursione, ciò che abbiamo posto in atto in queste proposizioni. Potremmo allora definire la recursione come quella procedura che assegna a ciascun elemento linguistico la proprietà di essere un "elemento linguistico", di essere cioè utilizzabile. Intendiamo infatti con "utilizzabile" la proprietà di un elemento linguistico di essere un "elemento linguistico". La scrittura "elemento linguistico" posta tra virgolette, evidenzia una procedura, e cioè l’assegnazione di questa proprietà a qualcosa che, in assenza di tale assegnazione è nulla, non è cioè né dicibile né pensabile; è, pertanto, non "utilizzabile", nell’accezione indicata più sopra. Potremmo dire che la procedura "recursione", assegna a ciascun elemento linguistico x, la proprietà di essere "elemento linguistico". Cioè per tutte le x, se x è un elemento linguistico allora x è un "elemento linguistico". Intendiamo dire che se un elemento è un "elemento linguistico", allora è un gioco linguistico. Ma ciascun elemento è "un elemento linguistico", dunque ciascun elemento è un gioco linguistico.

Abbiamo detto che ciascun elemento è necessariamente un gioco linguistico per recursione, e cioè che perché accada che un elemento sia tale occorre che questo elemento sia un "elemento linguistico", gli sia cioè assegnata questa proprietà. Ma se lo stiamo considerando, allora questa operazione è già in atto, e cioè gli elementi di cui diciamo sono già, necessariamente, "elementi linguistici". Allora diciamo che la recursione non può non essere una procedura linguistica.