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AMORE E SOLITUDINE

 

25 febbraio 1997

 

"Amore e la solitudine" è un bel titolo. La nozione di amore come sapete è complessa ed è stato detto di tutto a questo riguardo, qualunque cosa. Rimane forse la cosa migliore intorno a questa questione quanto scrisse Platone nel Convivio, in particolare il discorso che Socrate riporta come ascoltato da una donna, Diotima. Invece il corrispettivo opposto è il testo scritto da Sade, "La filosofia nel Boudoir". Ciò che abbiamo detto la volta scorsa, e anche l’anno scorso, ci indurrebbe a parlare dell’amore in un modo particolare, cosa che in parte faremo, però tenendo conto anche di ciò che comunemente se ne dice e ciò che comunemente se ne dice è che si tratta di un’attrazione verso qualcosa, o qualcuno, forte, il più delle volte irresistibile, anzi, direi che questa irresistibilità è uno degli elementi precipui della nozione di amore. Si tratta di incominciare dal luogo comune, come comunemente ciascuno avverte e intende l’amore. Definirlo? Non ci porterebbe molto lontani, anche perché qualunque definizione risulterebbe in ogni caso molto parziale, inadeguata, come accade a tutti questi grandi temi come il bene, il giusto, il vero, ecc., temi che risultano sempre molto ardui a definirsi. Ciò nonostante possiamo indicare qualcosa, intanto che l’amore è qualche cosa che ciascuno ha provato, in genere almeno una volta in vita sua per qualcuno, generalmente accorgendosene, però anche questo non è una legge, può accadere che delle persone non sappiano se amano oppure no un’altra persona. Poi non è un caso neanche così insolito, e ovviamente la domanda viene posta utilizzando come parametro una nozione di amore e una definizione di amore che si possiedono, per quanto imprecisa o inadeguata possano risultare, e allora qualcuno si accorge che ama quando è irresistibilmente attratto da una persona, cioè non può stare senza quella persona e se quella persona non c’è ne avverte immediatamente la mancanza. Dunque la nozione di mancanza sembra essere fortemente connessa con la nozione di amore, in vari modi, si tratta di verificare se, per esempio, sia proprio questa sensazione di mancanza a produrlo, oppure il contrario, cioè la nozione di amore a produrre la sensazione di mancanza, o se entrambe siano la faccia della stessa questione, c’è anche questa eventualità. Generalmente si immagina che ci si innamori di qualcuno proprio per colmare questa sensazione di mancanza e allora ecco, la persona, il partner interviene come ciò che colma tale mancanza, e generalmente in effetti si pensa così. A torto o a ragione questo è un altro discorso, ma se uno pensa così, generalmente ha ragione. La questione che riguarda la mancanza però è interessante perché mostra anche altri aspetti. Dicevamo forse la volta scorsa che accade molto spesso di avvertire una sensazione di inadeguatezza, come di insufficienza, che generalmente si esprime in questo modo: non ci si sente utili, oppure (però sono forse aspetti di una stessa questione) uno non si sente amato o non ha nessuno da amare, cosa che può accadere. Enunciazioni che per altro dicono qualcosa di molto importante, e cioè che qualcosa comunque non soddisfa. Posta in questi termini sembra essere questa sensazione di mancanza non tanto a produrre l’amore, quanto a disporre verso questa sensazione, ma ciò di cui si tratta più propriamente è questo: che cosa avviene nel momento in cui accade di innamorarsi di qualcuno? Che cosa muove a provare questa sensazione? Una canzonetta recita che l’amore è una cosa meravigliosa, può anche essere che abbia ragione, poi che le pene d’amore siano quelle più dolci... c’è tutta una serie di canzonette che da sempre vanno in questa direzione. Molto curiosamente accostano l’amore alla sofferenza al punto che in alcuni casi si suppone che se l’amore non è accompagnato da una certa sofferenza, per qualunque motivo, non sia vero amore. Luogo comune questo, lo sapete da sempre, ed è in effetti opinione di molte persone, come se la sofferenza desse maggiore valore all’amore. Proviamo a vedere perché si pensa una cosa del genere, intanto una persona che ama, che ama fortemente, teme altrettanto fortemente che l’oggetto del suo amore possa andarsene, possa abbandonarlo in un modo o nell’altro, e quindi teme di perderlo e questo provoca una sensazione molto violenta, molto forte che in alcuni casi può volgere in gelosia o in altre cose, però il timore generalmente è quello di perdere ciò che produce una sensazione di benessere e curiosamente avviene questo, che per paura di perdere una cosa che produce benessere si stia malissimo, e quindi questa cosa diventa fonte non più di benessere ma di malessere. Succede anche (questo che può apparire un paradosso) di abbandonare, di lasciare una persona perché si teme per esempio di soffrire troppo, e anche questo è un luogo comune, non è frequentissimo però accade. Adesso vi sto elencando dei luoghi comuni intorno a questo e forse, tutto sommato, è il modo migliore per definirli. Dunque, ciò che avviene perlopiù quando si ama molto è una sensazione molto forte, in alcuni casi molto violenta, di sofferenza indotta dall’idea di potere perdere l’oggetto, in questo caso una persona, e quindi avviene che ancor più paradossalmente la sensazione che produce questo forte innamoramento sia una sensazione di perdita, anche se eventuale, cioè uno più ama una persona più teme di perderla. Adesso non sto enunciando delle leggi universali, ovviamente, ma delle fantasie, al punto che potremmo dire che al colmo dell’amore vi sia una sorta di solitudine che procede dall’idea che se questa persona viene perduta allora la solitudine sarà totale assoluta e irreversibile. Per questo motivo che, a fianco all’amore più forte, c’è una sensazione non meno forte di solitudine, nonostante che in molti casi si dica di innamorarsi proprio per non essere soli, anche se poi di fatto risulta sempre arduo stabilire perché esattamente una persona si sia innamorata di un altra. Può anche riflettere, e allora comincia a fare una lista: per gli occhi? Sì va bene, begli occhi, però ne ho visti anche di meglio; per il viso? Sì, delizioso carino, non è l’unica. Perché proprio quella? Ché sì, presa a pezzi, composta e riassemblata magari non soddisfa e invece... non è individuabile in un elemento fisico cosiddetto e nemmeno un aspetto del carattere propriamente, se uno si mettesse a considerarlo proprio in modo preciso si troverebbe a considerare che anche il carattere, sì in alcuni casi è gradevole, ma per un altri versi ha un caratteraccio, per cui se ci fosse solo quell’aspetto, invece ci sono anche gli altri aspetti che però sono così talmente evanescenti, talmente difficili da individuarsi che tutto sommato la ricerca del motivo esatto per cui una persona si innamori di un’altra risulta straordinariamente arduo a stabilirsi, ciò non di meno questo non impedisce affatto di innamorarsi, proprio per nulla, anzi generalmente chi si trova in questa situazione difficilmente fa un’operazione del genere, anzi il più delle volte la riterrebbe quasi sacrilega. In genere non ne vuole sapere, va bene così. Dunque questo avviene perlopiù e molti dei cosiddetti problemi che riguardano alcune persone sono connessi con questo aspetto, l’idea di non amare, non amare a sufficienza, di amare troppo, di amare male, di non essere riamati, di non sapere se si ama oppure no ecc. ecc. ciascuno poi trova l’aspetto che gli è più congeniale. Ma i luoghi comuni hanno un’altra virtù, che è quella di indicare comunque, in modo più o meno preciso, una sorta di disagio, o una sensazione di inadeguatezza connessa con l’amore. E questa inadeguatezza, questa insoddisfazione spesso è connessa con una insoddisfazione che è fortemente radicata in ciascuno. La volta scorsa abbiamo appena accennato alla questione, però non so neanche se ci interessa più di tanto, questa sera voglio parlare dei luoghi comuni. I luoghi comuni sono ciò di cui ciascuno grosso modo è fatto, costituiscono perlopiù l’impianto che consente a ciascuno di pensare quello che pensa, credere a ciò che crede, le cose in cui crede sono buona parte luoghi comuni e i luoghi comuni sono, come già Aristotele insegnava, strutture di discorso, che sono fatte apposta per rispondere a delle domande che non hanno nessuna risposta, in nessun modo, e quelli sono lì, risposte pronte per l’uso che vanno bene per tutti, perché sono condivise da ciascuno e il fatto di essere condivise fornisce una sorta di credibilità e soprattutto esenta dal doverle eventualmente mettere in gioco. Dicevamo della connessione molto stretta tra l’amore (l’amore in qualunque accezione lo si voglia intendere) e la sofferenza, quindi la mancanza. Mancanza che talvolta assume anche proporzioni drammatiche, al punto di costringere qualcuno a cercare di innamorarsi a tutti i costi pur di fare tacere questa sensazione, che poi ci riesca oppure no questo è un altro discorso, però il tentativo è questo, finalmente trovare qualcuno che, questo recita la canzonetta, costituisca l’altra metà per ci si completa, finalmente siamo completi. Difficilmente si verifica una cosa del genere, però può verificarsi, per tutt’altri motivi, ma può verificarsi. Freud aveva esplorata questa eventualità, però l’idea di togliere la mancanza, togliere questo qualcosa che inquieta, che interroga, che mette a disagio l’avevamo indicata come uno dei motori (non l’unico però sicuramente uno dei più potenti) perché è vero che avevamo detto che è molto difficile stabilire esattamente perché ci si innamori di una persona, tuttavia se uno volesse farlo potrebbe saperne qualcosa, potrebbe cioè ricondurre un tratto, un elemento che lui ovviamente (o lei a seconda dei casi) vede in quella persona, ricondurlo a qualche cosa che lo attrae fortissimamente, come dire che è fortissimamente attratto da questo tratto, da questo elemento, che per una serie di circostanze (in un alcuni casi possono anche essere fortuite) può ravvisare in un’altra persona. Prendete il colpo di fulmine, è la situazione in cui una persona si sente come rapita, letteralmente rapita da quell’altra, in una sorta di assoluta impossibilità a sottrarsi al fascino che questa persona esercita, questa attrazione si configura immediatamente come assolutamente irresistibile e allora ecco che l’altra persona diventa immediatamente l’unico oggetto possibile, pensabile. Non è causale che Freud accostò l’innamoramento al suicidio, come due aspetti in cui è come se perdesse totalmente il narcisismo (così lo chiamava lui) abbandonando totalmente l’io, così diceva Freud, a vantaggio di qualche altra cosa. E in effetti l’impossibilità di sottrarsi di fronte all’altra persona produce anche la sensazione di... chiamiamola così, di fragilità, perché c’è una totale dipendenza da quella persona, è sufficiente che manchi per un istante che manca il fiato, che manca il respiro, manca tutto e allora occorre che sia sempre vicina, però ovviamente questo instaura una forma molto potente di dipendenza che mette questa persona fortemente innamorata in una situazione molto delicata, molto fragile, come se fosse nelle mani dell’altra o dell’altro. Una delle fantasie più frequenti che si ascoltano connesse all’innamoramento è quella del pericolo di trovarsi totalmente in balia di quest’altra persona, sensazione che viene enunciata come pericolo ma che produce anche sensazioni molto piacevoli (se no per altro non si troverebbe in questi frangenti). Tutto questo produce ovviamente delle sensazioni molto forti, straordinariamente forti, anzi si ritiene che l’amore sia una delle istanze che producono sensazioni fra le più forti, così come il gioco. C’era Nietzsche che diceva nello Zarathustra, da qualche parte, "due cose vuole l’uomo, il pericolo e il gioco. Per questo vuole la donna, come il giocattolo più pericoloso". Così diceva, anche lui ovviamente basandosi tutto sommato sul luogo comune, che dalla Bibbia in poi descrive una relazione di questo tipo come pericolosa, è sempre stata posta come pericolosa e molto spesso una fanciulla è lusingata dall’essere un pericolo per qualcuno. Può succedere. Difficilmente accade il contrario, però... sarebbero anche interessanti da esplorare le fantasmatiche che intervengono in un uomo o in una donna, per alcuni versi simili per altri invece straordinariamente differenti, al punto che risulta molto difficile per una donna riuscire a intendere che cosa voglia un uomo e viceversa, perché muovono da principi, da assiomi che difficilmente collimano. Però non è escluso che possa avvenire.

Dopo questa carrellata di luoghi comuni, proviamo a considerare la questione in termini più precisi, partendo dalla nozione di mancanza di cui abbiamo detto. Da dove viene questa sensazione? Perché gli umani per esempio (questo è un altro luogo comune) da sempre avvertono questa sensazione di mancanza? Perché cercano di monopolizzarla? Perché cercano di dare a questa tale mancanza un senso fino alla costruzione di strutture religiose sofisticatissime? Tutta la filosofia non è altro che un tentativo di rispondere tutto sommato a qualcosa che sfugge, di fermarlo, di dire che cos’è. Ora voi potete riflettere ovviamente sulla mancanza provando a portare la cosa fino alle estreme conseguenze, ciò che vi ritroverete ad un certo punto di fronte è molto poco, però potrebbe essere un punto di partenza. È molto poco in quanto dopo avere sfrondato questa nozione di tutto ciò che risulta assolutamente arbitrario e gratuito attribuirgli, vi trovate di fronte al fatto che parlare di mancanza già allude a qualche cosa che deve essere definito, e allora provate a definire l’assenza, allora provate a definire la nozione di esistenza e così via all’infinito. Insomma non troverete qualche cosa che vi consenta di arrestarvi da qualche parte o di attestarvi da qualche parte in modo da potere indicare in modo definitivo e duraturo che cosa si debba necessariamente intendere con mancanza, pur essendo qualcosa che ciascuno avverte più o meno continuamente. Dalla mancanza che l’innamorato avverte nei confronti della sua amata alla mancanza che il ricercatore avverte nei confronti di una ricerca che sta compiendo tutto sommato la struttura non è lontana, non è molto differente. Ecco, dicevo sfrondato questo elemento da tutto ciò che risulta assolutamente arbitrario vi trovate di fronte a questo significante che ormai sembra svuotato eppure continua a interrogare, e allora c’è l’eventualità che ci si ponga questa questione, e cioè l’impossibilità di rispondere e di chiudere la domanda. Non sarà questo che da sempre gli umani hanno avvertito, ciò a cui hanno dato il nome di mancanza? C’è questa eventualità, come dire che in un certo senso la domanda, una qualunque domanda è strutturalmente senza risposta, perché? Perché o stabiliamo un criterio per potere arrestarci ad un certo punto oppure non ci arresteremo mai, ma se stabiliamo il criterio ci troviamo al punto di partenza, perché dovremmo trovare un qualche cosa che ci garantisca del criterio. Tutte queste cose non sono certo nuove, però forse si tratta di considerare con maggiore attenzione l’aspetto connesso con la domanda, potete intenderla come una qualunque cosa che questiona in vario modo e a vario titolo e per qualunque motivo. Per esempio il disagio è qualcosa che questiona, cioè che non fare stare tranquilli, costringe a fare in un modo o nell’altro, in una direzione o nell’altra, come dire che c’è qualcosa che domanda (adesso usiamo questo significante domanda in modo molto ampio), e domandando cosa fa? Sembra costringere a rispondere, uno potrebbe considerare che se strutturalmente non c’è domanda a cui possa darsi una risposta, perché una domanda dovrebbe inquietare? La domanda rimarrebbe lì tale e quale, cosa che generalmente non avviene e allora perché inquieta la domanda? Sì, certo, perché si cerca la risposta ma inquieta finché non so la risposta, trovata la risposta questa risposta a sua volta si strutturerà come un’altra domanda e così via, così funziona il discorso da quando esistono gli umani. Allora di nuovo si tratta di portare la questione alle estreme conseguenze e di considerare cosa avviene esattamente, cosa fa una domanda e cosa dovrebbe fare una risposta. Intanto allude ad uno spostamento, se c’è una domanda la risposta sarà qualche cosa che muove in una certa direzione, allude comunque ad un movimento, la domanda come rinvio. Ora in che cosa consiste questo rinvio, cosa possiamo dire di questo rinvio in modo che ciò che diciamo non risulti negabile, occorre un sofisma. Un sofisma non è altro che una proposizione che afferma qualcosa che non è negabile perché ha la sua stessa struttura. Qual è il sofisma in questo caso? Questo: prendete un elemento linguistico, è tale in quanto inserito all’interno del linguaggio, se fosse fuori dal linguaggio non sarebbe un elemento linguistico, non essendo un elemento linguistico non potrebbe dirsi, perché se può dirsi è perché è un elemento linguistico. Ora possiamo dire che ciascun elemento è un elemento linguistico in quanto inserito nel linguaggio e quindi in quanto connesso con ciascun altro elemento linguistico, dunque non può darsi un elemento linguistico isolato da ciascun altro elemento linguistico, ciascun elemento rinvierà necessariamente ad un altro, eccovi il rinvio che non può essere negato. Certo la questione può sembrare curiosa, bizzarra, tuttavia risulta ineludibile, ma cosa ha a che fare tutto questo con l’amore? Apparentemente molto, però se voi vi chiedete come mai avviene un fenomeno del genere, mi riferisco all’innamoramento, e se avete abbastanza tempo e pazienza di inseguire tutte le varie connessioni, vi troverete ad un certo punto di fronte a queste considerazioni. Questo non vi impedirà di innamorarvi ma potrà consentirvi di trarre dall’amore forse cose migliori, perché migliori? Perché (adesso la diciamo così, poi vedremo di illustrare queste affermazioni) c’è l’eventualità che il modo migliore, più soddisfacente per amare sia quello di amare senza avere bisogno dell’altro. Può sembrare paradossale, ma intendo questo: senza credere che l’altro costituisca necessariamente ciò che mi manca, posso pensarlo, posso giocare con queste cose, esattamente così come gioco con una figura retorica. Se qualcuno mi dice che Roberto ha un cuore di leone io intendo che cosa mi si sta dicendo, e non credo che dentro il petto di Roberto batta il cuore di un mammifero a quattro zampe, provvisto di criniera ecc. ecc. La intendo come una figura retorica, allo stesso modo potete pensare una cosa del genere, e allora dire a qualcuno quelle cose che si dicono generalmente alle persone che si amano, possono dirsi, ma senza essere credute, nel senso che ci si accorge che il motivo per cui si dicono non è tanto per comunicare all’altra persona una affermazione (quando si dice "ti amo" non è propriamente soltanto un’informazione, una comunicazione di servizio), non è solo questo, il più delle volte non è affatto questo, lo si dice perché il dirlo produce un’emozione. In prima istanza per la persona che lo dice, poi eventualmente se ricambiata anche per l’altra. Allora dire senza credere, cioè senza pensare che le cose siano esattamente così, cioè che senza questa persona io cessi di esistere oppure che sia questo il motivo della mia esistenza, non perché questo sia il male ovviamente, non è questa la questione, ma perché questo è come se mettesse in mostra una struttura di pensiero che si definisce e si indica e dice di sé di essere molto religiosa, e allora succede che la stessa struttura poi compaia pari pari in moltissime altre circostanze, dove si continuerà a pensare che le cose che si credono corrispondano a un qualche cosa, secondo la nozione antica, che la verità sia una sorta di adæquatio rei et intellectus. Ora lo si può anche pensare ma come un gioco, ecco perché sottolineavamo già da tempo la nozione di gioco. L’amore come un gioco linguistico, come un gioco retorico, d’altra parte forse è il modo migliore per approcciarlo. Qualcuno potrebbe temere che in questo modo possano perdersi le cosiddette pene d’amore che sono sempre strettamente connesse e che producono sensazioni molto forti e molto violente, difficilmente rinunciabili, anche se poi si dice che si vorrebbe evitarle però poi le si vanno a cercare in genere, con molta determinazione. Difficile dire, c’è l’eventualità che tutta questa operazione possa perdere un aspetto di drammaticità, e c’è anche l’eventualità di dovere trovarsi a pensare di imparare ad amare, perché no?, in un modo meno drammatico, meno religioso, perché il pensare in modo religioso, in modo drammatico, ha degli effetti che il più delle volte risultano devastanti, anche per la stessa relazione. Può avvenire che una persona che è spaventata all’idea di essere abbandonata dall’amata, continui a ripeterle "tu non mi ami più" e c’è l’eventualità che questa fanciulla alla fine ci creda. Si creano poi situazioni bizzarre, si sa che una qualunque cosa ripetuta un numero sufficiente di volte viene creduta vera, e qualche volta funziona proprio così, per cui se insisto più di tanto... Senza contare poi l’aspetto fantasmatico connesso con il motivo per cui mi trovo a dire delle cose del genere, cioè a ripetere continuamente di non essere amato a sufficienza, evidentemente c’è un aspetto che mi induce a fare sì che io disponga le cose perché ciò che maggiormente temo si verifichi. È possibile una cosa del genere? Ebbene sì, e avviene abbastanza frequentemente che senza volere uno disponga le cose perché ciò che teme si verifichi prima o poi, e tanto ci insiste che alla fine ci riesce. Ci riesce perché si impegna moltissimo in questa operazione e quindi riesce a ottenere ciò che voleva e cioè la catastrofe finale per esempio in questo caso, l’abbandono. Però visto che questa sera parliamo di un argomento così ameno sarebbe interessante che ci fossero interventi da parte vostra che confutino tutto quello che ho detto....

- Intervento: riguardo all’attrazione dell’amore, il ruolo della volontà e della decisione. Vale a dire uno può decidere di innamorarsi di una persona oppure avviene contro la sua volontà?

Entrambe le cose, nel senso che può intervenire un aspetto decisionale, però generalmente in seconda battuta, perlopiù lo si incontra come una sorta di "lasciarsi andare" a qualche cosa che già si avverte: questa persona tutto sommato va bene, corrisponde grosso modo... perché no? E allora può avvenire anche che si innamori. Decidere di smettere? Questa è più dura, se c’è innamoramento ovviamente, se no non si pone la questione, perché ciò a cui in questo caso si fa fatica a rinunciare non è tanto la persona in quanto tale ma un’idea che è connessa con questa persona. Poi l’idea dell’abbandono, dicevo prima, produce una sensazione molto forte per cui cessare di essere innamorati comporterebbe immediatamente la cessazione stessa della sofferenza, e per quanto spesso si enunci di volersene sbarazzare non è sempre esattamente così. Molto spesso è una compagna più soddisfacente della precedente per cui non è così semplice che uno decida una cosa per un verso o per l’altro. Roberto?

- Intervento: ...

In un certo senso, intanto la questione che Lei pone: "come convivere con una domanda che non ha risposta?" Non si tratta tanto di convivere quanto di trovarsi in una condizione tale per cui qualunque risposta che eventualmente possa darsi a una domanda risulta non soddisfacente, non soddisfacente in termini rigorosi, si può accogliere sì come una figura retorica, come qualcosa di piacevole, di bello, di divertente, però un conto è accogliere un elemento come figura retorica altro è accogliere un elemento come se, in termini logici, questo elemento dovesse rispondere cioè porsi come l’ultimo elemento che chiude la catena definitivamente, come ciascuna dottrina, anche scientista cerca di fare, ecco allora avviene l’impatto con l’impossibilità di stabilire una cosa del genere. Mi è accaduto di sentire persone che per esempio considerano me come una persona assolutamente logica e razionale. Sono tutt’altro che logico e razionale, sono completamente illogico e irrazionale, a meno che non giochi con la logica e allora utilizzo quelle regole, così come quando gioco a poker con gli amici mi attengo alle regole del poker, allo stesso modo, ma non credo affatto che le regole della logica, della logica predicativa, siano quelle che mi conducono alla realtà delle cose, proprio per nulla, semplicemente mi conducono a delle conclusioni che non sono altro che l’applicazione corretta di un sistema inferenziale deduttivo e induttivo, niente più di questo. In effetti se si porta la logica alle estreme conseguenze risulta assolutamente non necessaria e la si può anche abbandonare, non serve. Invece pensate alla seconda parte della questione e cioè come ci si fa ad accontentare, rispetto all’innamoramento, di un aspetto che riguarderebbe soltanto il gioco linguistico. Ma la questione può porsi al contrario: potrebbe essere altro? E se sì, come? Questo è un capovolgimento banalissimo, bieco della sua questione... Non si tratta di capovolgere la frittata, ma solo per dire la questione in altro modo, ovviamente si tratta di due registri differenti, in effetti lei è come se ponesse la questione in termini retorici e io gliela ribalto in termini logici, è molto scorretto da parte mia, mentre rimane interessante la questione, come accontentarsi di qualche cosa di cui si sa che è soltanto un gioco linguistico? Ma forse non è che ci si accontenti, ma se non è più possibile attribuire a questo innamoramento qualche cosa di, come vuole la tradizione, di divino, che innalza verso dio, un po’ come lo definiva Socrate, qualcosa che fa gli umani simili agli dei, ora se si crede fortemente e fermamente a una cosa simile allora sì, risulta assolutamente sacrilega l’affermazione che dice che l’amore è un gioco linguistico, un gioco retorico, però se non si teme più il sacro o il profano lo si può affermare, e considerare che il porlo come gioco linguistico o gioco retorico non sia svilire qualche cosa ma semplicemente enunciare che nell’amore sono in gioco degli elementi e che questo gioco segue le regole che sono quelle retoriche di accostamento di elementi, di trasformazione... adesso pensavo per esempio all’arte, alla seduzione, c’è il saggio di Kierkegaard "Diario del seduttore" che è un manuale di seduzione, forse uno dei più acuti, dove c’è una connessione molto stretta tra la seduzione e la persuasione, in effetti si dice che un bravo oratore seduca il suo pubblico. Parleremo fra quindici giorni della seduzione e della persuasione...

- Intervento:...

Lui (Kierkegaard) cercava la risposta e lì la questione è posta in modo molto evidente, la questione di cui parlavo prima, cioè dell’innamoramento, come di un tentativo di rispondere a un’inquietudine, lui non trova la risposta né lì né altrove, ma di fatto l’arte della seduzione così come l’arte della persuasione, cioè l’arte di fare innamorare altri, muove propriamente da questo, cioè dall’avvolgere l’altro con le parole. Quali parole? Quelle che si aspetta, quelle che vuole sentirsi dire. D’altra parte la pubblicità lavora su questo, cioè dice (o cerca di farlo) esattamente ciò che l’altro vuole sentirsi dire, farlo gioire al momento opportuno, farlo soffrire al momento opportuno, è una tecnica che molti hanno elaborata. Nel caso di Kierkegaard si tratta di una costruzione, come se fosse una seduzione costruita a tavolino e questo è interessante perché indica esattamente quali sono gli elementi che servono, cioè che cosa occorre dire, quali questioni occorre sollevare per produrre dell’innamoramento. Forse i pubblicitari dovrebbero andarselo a rileggere, avrebbero molte più indicazioni che dai loro manualetti che non dicono assolutamente niente. Perché l’idea dell’amore come aspetto retorico dovrebbe svilire l’amore? Tutt’altro invece, c’è l’eventualità che lo nobiliti, perché no? Che lo renda anche migliore. Talvolta si pensa che per il solo fatto di amare qualcuno si possa pretendere dal partner qualunque cosa, il che non è, proprio per nulla. Se uno parte così parte male, e poi succedono catastrofi terribili perché di fatto non ha nessun diritto, né l’altro gli concede alcun diritto, anzi se mai il contrario. Però sentiamo altri, preferivo sentire interventi di vario genere...

- Intervento: La questione della fedeltà come primo scoglio…

La questione della fedeltà è questione antica, è una costruzione ovviamente e bisognerebbe valutare caso per caso, diventa difficile stabilire una legge generale per cui una persona dia o pretenda fedeltà. La fedeltà generalmente si intende come non andare con un altra, si intende così generalmente, qualcosa di simile. Ecco allora sì, la questione è connessa con il possesso totale e assoluto della persona, poi intervengono per ciascuno fantasmatiche personali, ma grosso modo si tratta del controllo sull’oggetto del desiderio, perché altri non lo portino via, non lo sottraggano anche se in molti casi si fa di tutto perché avvenga. Freud ha riflettuto sulla questione della gelosia in un saggio intorno alla paranoia, di un certo interesse, intorno a Schreber dove parla anche della gelosia, di questi rovesciamenti... Non è che Freud descriva come stanno le cose, illustra una fantasia che ha incontrato poi può essere più o meno diffusa ma rimane una fantasia... (...) Ah! Lei ha inteso come un invito al più sfrenato libertinaggio... né lo suggerisco né lo sconsiglio, ciascuno fa quello che ritiene più opportuno, sto solo facendo delle considerazioni. Sì, la tesi di Sade non è meno religiosa di molte altre, l’idea che gli umani essendo figli della natura qualunque cosa facciano questa sarà necessariamente un elemento della natura, perché non possono uscire dalla natura, sono fatti della natura e allora siccome la natura vuole che ciascuno soddisfi il proprio desiderio, ed è la natura che vuole perché questo desiderio viene dalla natura, nessuno glielo ha imposto, allora se è la natura che vuole quello allora ciascuno ha il diritto di soddisfare il proprio desiderio, che l’altro sia o no consenziente. La natura impone, e lì la natura ha una portata ovviamente molto religiosa perché messa al posto di dio. In effetti l’accostamento tra Diotima e Dolmancé (sarebbe l’educatore sessuale di cui parla Sade nella Filosofia nel Boudoire) l’ha già fatto Lacan in "Kant avec Sade", tanti anni fa. Diotima e Dolmancé, i due educatori, due forme di educazione sessuale. L’una l’amore spirituale che pone in prima istanza l’aspetto intellettuale, che poi non esclude affatto l’amore sessuale (parlare di amore platonico non ha nulla a che fare con ciò che faceva Platone), ma come porre il prima istanza l’aspetto intellettuale, poi quello erotico, che sono due aspetti della stessa questione, però in Platone è sempre presente l’aspetto intellettuale. Infatti Alcibiade si innamora di Socrate, per la sua intelligenza, non sicuramente per la sua bellezza, Socrate era orribile, mentre in Sade l’aspetto intellettuale prende posto in seconda battuta, cioè è l’educazione erotica che conduce alla liberazione... (....) Lui segue un assioma, un sillogismo molto semplice: l’uomo è fatto dalla natura, la natura vuole questo, non ci possiamo opporre alla natura e quindi...

- Intervento: E allora per fortuna che c’è la religione, che ...

Sì? Allora siamo fortunati, bene. (...) La gente farebbe quello che vuole? C’è l’eventualità che lo faccia lo stesso, poi la religione in effetti si è appropriata della sessualità dicendo a che cosa serve e perché c’è e proibendone alcuni aspetti l’ha fortemente erotizzata. Non c’è niente di più erotico di una proibizione, innesta immediatamente una sorta di eccitamento violentissimo e in questo ha avuto un merito in effetti, di avere incrementato l’erotismo. Sì?

- Intervento: Il fatto che una persona non sia particolarmente gelosa, vuol dire che non ha interesse per quell’altra persona oppure può essere un modo per sfuggire a quel bisogno...

Può essere qualunque cosa, è un luogo comune che se una persona non è almeno un po’ gelosa non ami a sufficienza. Perché spesso per una fanciulla chi mostra una assoluta mancanza di gelosia nei suoi confronti questo vuole dire che non la si ama: se non è geloso è perché non gli importa niente di me. Potrebbe anche essere ovviamente, però potrebbe anche non essere. Di fatto di per sé non significa assolutamente nulla, si tratta di verificare in ciascun caso. Non ho nulla contro la gelosia né nulla a favore, come dicevo prima ciascuno può muoversi come preferisce, può essere gelosissimo, non esserlo... però è difficile porre la questione in questi termini, se uno è geloso oppure non è geloso allora vuol dire questo. Non vuol dire niente a meno che questa persona non trovi il modo di interrogare questo aspetto che evidentemente lo questiona e potere venirne a sapere qualcosa di più. Diciamo che non significa necessariamente disinteresse, può significare qualunque cosa, anche questo fra gli infiniti altri...

- Intervento: C’è un tipo diverso di amore, l’amore filiale, l’amore platonico. Quale aspetto li accomuna nell’amore, quale differenza?

Io ho fatto l’esempio dell’amore fra due partner perché in genere è l’aspetto più emblematico, più macroscopico. Cos’hanno in comune? Intanto, muovendo da una premessa che ho fatto all’inizio occorre prima mettersi d’accordo su che cosa si debba intendere con amore e poi una volta fatto questo tutto il resto diviene facile. Che cos’hanno in comune i sentimenti nei confronti del figlio o nei confronti di una persona che si ama? Infinite cose, quasi tutte, generalmente si evita il rapporto sessuale, ma questo avviene per un divieto perché se non ci fosse questo divieto non ci sarebbe questo impedimento, però non lo sappiamo in effetti, diciamo che ciò che li distingue è soprattutto una sorta di regolamentazione. Chi vuole chiudere in bellezza?

- Intervento: ...Schopenhauer e la questione sessuale come salvaguardia della specie...

La salvaguardia della specie... anche questa tesi si può smontare, non è molto sostenibile, cioè è assolutamente arbitrario sostenere una cosa del genere. Cioè dire che l’amore non è altro che una manifestazione della specie che deve riprodurre se stessa non è più sostenibile del dire che è data da dio per il piacer suo, tutto sommato, cosa cambia?

- Intervento: Qual è la verità?

Quella che lei crede tale. E con questo chiudiamo in bellezza. Grazie a tutti e buona notte.