INDIETRO

 

 

17-4-2014

 

Biblioteca Bonhoeffer

 

LA PSICANALISI E LA SCIENZA DELLA PAROLA – primo intervento

 

Luciano Faioni

 

L’intento questa sera è di raccontarvi una esperienza straordinaria, che continua ancora oggi. Un racconto mi pare forse il modo migliore per approcciare la questione. Il tema è Dalla psicanalisi alla scienza della parola, e inizierò dalla formazione, inizio che è avvenuto dalla metà degli anni settanta. La partenza della formazione era dal testo di Freud, dalla teoria di Freud, una teoria che in quegli anni incominciava ad avere un certo successo, non che si conoscesse solo da quegli anni ovviamente però negli anni sessanta, settanta la psicanalisi ebbe una certa fortuna in Italia, ma anche nel resto dell’Europa soprattutto in Francia, in Spagna per una serie di motivi che magari verranno fuori tra poco. Il mio interesse allora era ovviamente per la teoria di Freud, cioè per il modo in cui Freud aveva incominciato a intendere come gli umani pensano e perché pensano le cose che pensano. Freud era partito come sapete dalla clinica, dal trovarsi ad ascoltare delle persone che accusavano sintomi che la medicina non era in condizioni di affrontare, e allora insieme con un altro medico, un certo Breuer, si accorse che questi sintomi che alcune persone accusavano forse andavano ascoltati perché probabilmente c’era nel racconto di queste persone, nel racconto che facevano dei loro sintomi, più di quanto dicessero. Ed è in fondo così che nacque la psicanalisi, come l’aveva ribattezzata Anna O, una cura con la parola “talking cure”. Accade in quegli anni in cui Freud stava inventando la psicanalisi qualcosa di straordinario, che non era mai accaduto prima: per la prima volta nella storia dell’umanità qualcuno incominciava ad ascoltare un discorso senza tradurlo in un’altra cosa, senza fornire un consiglio, senza precipitarsi a interpretarlo in qualche cosa ma semplicemente lo lasciava scorrere, fluire. Fu da parte di Freud sicuramente un colpo di genio, perché utilizzando questo modo incominciò a verificare che ciò che le persone raccontavano a partire dal loro sintomo, perché era questo ciò che lamentavano, a partire da questo incominciava a snodarsi una storia molto complessa che coinvolgeva molti aspetti, che apparentemente con quel sintomo non avevano nulla a che fare, apparentemente, ma poi si accorse che non era proprio così; ciò di cui si trattava allora era di accogliere questo “in più” che il racconto della persona proponeva come qualcosa di importante, e non da scartare come qualcosa di inutile o indifferente rispetto al sintomo. A questo punto Freud incominciò effettivamente ad inventare la psicanalisi. Stava inventando la psicanalisi perché incominciava prestare orecchio, a dare importanza a ciò che le persone raccontavano di sé, in genere non si dà importanza a queste cose anzi, si tendeva a scartare tutto ciò che non fosse direttamente connesso con quel sintomo, a eliminarlo perché si credeva irrilevante, così facevano i medici, così fanno ancora in effetti a tutt’oggi, non tutti ma buona parte. Dire che nel discorso di una persona c’è di più di quanto la persona stessa immagini è importante perché ciò che le persone che andavano da Freud si trovavano a raccontare era qualcosa che li riguardava ovviamente, era la loro vita ma in particolare erano le loro fantasie, le cose che pensavano, che credevano, che immaginavano, insomma tutte quelle cose che componevano la loro vita, pilotavano le loro decisioni e davano loro un senso all’esistenza. Vi faccio un esempio: una donna va da Freud e racconta che teme di essere tradita dal marito, e fin qui niente di strano, però la cosa comportava grossi problemi, è vero siamo a cavallo fra l’ottocento e il novecento quindi la morale era un po’ differente, però non sono certo cose così strane, dicevo, comportava dei grossi problemi per la signora, ansia, paura, attacchi di panico eccetera, che in teoria non sarebbero dovuti esserci; Freud lasciò che questa donna incominciasse a parlare, a raccontare e ciò che mano a mano è affiorato è che questa donna che temeva che il marito la tradisse aveva elaborato una sorta di paura di innamorarsi, lei, di qualcun altro, la paura di innamorarsi di qualcuno, come poi accadde: si innamorò di uno più giovane di lei, però anche questo creava dei problemi grandissimi, perché? Perché connesso con questo intervenivano delle fantasie, fantasie che costringono la persona a immaginare, per esempio, che se fa una certa cosa che accadano delle cose terribili, oppure che una certa persona la tradirà sicuramente oppure che le cose andranno malissimo inesorabilmente, tutte queste cose, che non hanno apparentemente nulla di razionale invece hanno per la persona una potenza notevole, tanto da essere assolutamente reali, non è un’ipotesi il più delle volte, ma è una certezza e questa certezza procede dalle fantasie. Cosa sono le fantasie? Sono delle scene, degli scenari che si costruiscono là dove delle questioni, delle proposizioni, delle sequenze si connettono fra loro a formare altre scene, altre sequenze. Vi faccio un esempio: la fantasia di abbandono, ecco, tutte queste connessioni non sono né presenti né consapevoli, e Freud dice anche per quale motivo non sono consapevoli; lungo la sua teoria ha considerato che tutto ciò che per la persona costituisce un forte desiderio ma simultaneamente comporta una impossibilità totale e assoluta di mettere in atto questo desiderio, questa cosa viene rimossa, una volta rimossa diventa inconscia. Ma la cosa interessante in tutto ciò è che incominciava a intendere il modo in cui funziona il pensiero degli umani, il modo in cui si articola e soprattutto che gli umani parlando dicono molto più di quanto immaginano di dire, che è una bella questione, anche perché essendo ciò che una persona dice un frammento di questa chiamiamola “galassia di fantasie” che interviene mentre parla, immagina che le cose che sta dicendo vogliano dire soltanto quello che stanno dicendo, e invece sta dicendo molto di più senza accorgersene. Il compito di Freud era porre le condizioni perché una persona avesse l’occasione, attraverso un percorso analitico ovviamente, di accorgersi di tutte queste cose in più, che tra l’altro sono quelle che costruiscono le cose che dice, costruiscono le cose in cui la persona crede, quelle che desidera, quelle che detesta, quelle che spera, quelle che immagina, tutto ciò di cui è fatta la sua vita in definitiva. In quegli anni, mentre Freud incominciava a occuparsi del funzionamento del pensiero e quindi del linguaggio, perché il pensiero è fatto di parole, anche quando una persona si dice delle cose fra sé e sé fa un discorso, in quegli anni dicevo cioè agli inizi del ‘900, altri in altri paesi incominciavano ad occuparsi anche loro del linguaggio, cioè proprio in quegli anni, all’inizio del secolo scorso, ci fu l’avvio di una ricerca e di una attenzione al linguaggio che poi è proseguita e prosegue tutt’ora in parte, intendo la linguistica, la semiotica, la filosofia del linguaggio, la logica stessa, tutte discipline che, ciascuna a modo suo, incominciavano ad occuparsi del linguaggio perché avevano avuto la consapevolezza di quanto il linguaggio fosse importante per gli umani, non fosse soltanto, come si riteneva e ancora oggi qualcuno lo ritiene, uno strumento per dire i pensieri o dire le cose, ma molto più di questo, e meritava di essere considerato molto più attentamente. Cosa che Freud fa sempre quando scrive quella che per alcuni è una sorta di trilogia linguistica, e cioè il Motto di spirito, la Psicopatologia della vita quotidiana e l’Interpretazione dei sogni, dove la sua attenzione punta sul modo in cui certe parole, certe sequenze, si connettono con altre a formarne altre ancora e il modo in cui avvengono queste connessioni, come se gli umani fossero in un certo senso fatti delle cose che dicono, quindi delle cose che pensano. Fu una questione di straordinaria importanza che avviò una serie di ricerche molto precise che in alcuni casi affiancarono, anche se Freud non ne sapeva assolutamente nulla, affiancavano il suo lavoro. A Ginevra un linguista, un tale De Saussure, che si ritiene il fondatore della semiotica moderna incominciò ad occuparsi in modo preciso del linguaggio e del segno linguistico, del modo in cui i segni linguistici funzionano nel linguaggio e si connettono fra loro. Faceva l’esempio dell’albero, quando parlo di albero ho un concetto di albero, poi c’è la parola “albero” cioè l’immagine acustica, il suono, e infine c’è l’alberello in quanto tale che sarebbe il referente, cioè ciò a cui la parola si riferisce. A questo riguardo sorsero dei problemi, perché “quale alberello” esattamente? Cioè si incominciava a considerare più attentamente la questione della realtà, e cioè cosa fosse esattamente questa cosa che chiamiamo “realtà”. E proprio in quegli anni, cercando di intendere come funziona il linguaggio, la questione connessa con la realtà incominciò a creare dei grossi problemi, ma vedremo fra poco quali, ma torniamo a Freud e alla teoria che stava costruendo. Freud giunse a considerare che ci sono dei desideri, delle pulsioni, che gli umani hanno verso un qualche cosa, però di questi desideri e di queste pulsioni non tutte possono raggiungere l’obiettivo, raggiungere la meta, alcune sono impedite, ma impedite da che cosa? Da quella che lui stesso chiamava la morale sessuale civile, e cioè da quella serie di norme e di criteri, imposizioni dettate dalla civiltà e dalla società che rendono alcuni desideri assolutamente impensabili, non solo inattuabili ma assolutamente impensabili, al punto che questi desideri devono in qualche modo essere cancellati. È quella cosa che Freud chiamava rimozione, ma una volta rimossi, questi elementi non è che scompaiano, ma si trasformano in un’altra cosa per poter essere presenti comunque perché non si riesce a cancellarli del tutto, qualcosa rimane e allora dice lui c’è una trasformazione, si trasformano in qualche cos’altro, questo processo lui lo chiamava “sublimazione”. Per esempio l’amore verso qualcuno, amore che non è concesso dalla morale sessuale civile deve andare da un’altra parte, deve trasformarsi in qualche altra cosa, così come una forte passione, anche questa non accettabile dalla morale, si sublima in altro, si trasforma in tenerezza, in affetto. Freud diceva che tutto questo è stato, questa rimozione cioè questa eliminazione di parte delle pulsioni e dei desideri degli umani è stato il prezzo da pagare per la civiltà così come la conosciamo noi, un prezzo molto alto, perché comporta nevrosi, psicosi, comporta disagi di ogni sorta e alla fine del suo percorso Freud era abbastanza scettico sulla possibilità di porre rimedio a una cosa del genere, dopo tutto, finché permane una morale sessuale civile così come è strutturata oggi certi desideri, certe pulsioni, in nessun modo possono manifestarsi e quindi verranno rimosse e quindi produrranno delle formazioni di compromesso, dei compromessi. Tutto questo ha naturalmente anche una portata sociale e civile etica non indifferente, come dire che gli umani sono quello che sono perché hanno dovuto cancellare una buona parte dei loro desideri e delle loro pulsioni. Da dove vengono questi desideri e queste pulsioni? Per Freud era una questione naturale, “ci sono”, c’è la pulsione, c’è il desiderio, fa parte della natura degli umani, una sorta di innatismo in un certo senso, che teoricamente potrebbe anche non essere del tutto soddisfacente. A questo riguardo altre discipline sono intervenute a fianco al lavoro che stava facendo Freud proprio in quegli anni, anche se si ignoravano completamente, la linguistica in particolare e la semiotica, lo studio dei segni, potremmo dire dei segni linguistici, ma c’è l’eventualità che qualunque segno sia un segno linguistico, dunque in che direzione è andata la semiotica? La semiotica si occupa di reperire quali sono le condizioni per la produzione del significato, del senso, processo che è noto come semiosi, come si produce il significato in un racconto, in una storia, in un discorso, in una qualunque cosa? Come avviene che si produca un significato anziché prodursi niente? Questo significato si produce dall’accostamento di parole, che accostate producono un terzo elemento, una terza parola. Vi faccio l’esempio più banale che riprende Greimas: considera due contrari, due opposti, “maschio-femmina” che cosa si produce fra maschio-femmina? La sessualità, che è un terzo elemento, l’accostamento di questi due termini “maschio” “femmina” ha come effetto una semiosi, cioè la produzione di un senso che è quello della “sessualità”. Cosa ha a che fare questo con Freud? Ha molto a che fare, perché in effetti Freud stava riflettendo sul fatto che una persona, parlando, si trova a negare qualche cosa ma negandola non è che la cancella, questa cosa negata permane e accostandosi con un’altra produce altre cose. È esattamente la stessa, cosa anche se la diceva in altri termini, usando altre parole, Freud faceva l’esempio di quel tizio che dice in un’analisi “ho sognato una donna ma non era mia madre”, va bene, se uno si fosse attenuto semplicemente al detto avrebbe concluso “va bene, non è sua madre”. Ma il fatto di dire che non fosse sua madre non veniva cancellato dalla negazione. La negazione qualche volta cancella ma non sempre, basta pensare alla dialettica hegeliana, ma adesso non è di questo che dobbiamo occuparci, dunque dicevo la negazione non cancella questo elemento, questo significante “madre” ma lo mantiene in quanto negato, e allora Freud si domanda perché mai una persona debba porre un elemento negandolo anziché non porlo, per esempio, che sarebbe la via più breve tecnicamente, ma invece è come se questa affermazione si fosse dovuta dire, ma per dirla occorresse negarla. Per dirla in altri termini ancora, non posso non dire che questa persona è mia madre, ma non posso dirlo perché dicendolo questo avrebbe delle implicazioni, perché se questa donna che ho sognato, in quel sogno particolare, in quella situazione eccetera fosse stata effettivamente mia madre, ecco che forse sarebbe intervenuto qualche problema nell’eventualità per esempio che si trattasse di un sogno erotico, fare sesso con la propria madre è una delle cosa che la civiltà civile considera da non farsi, almeno in generale. Dunque degli elementi si contrappongono ma permangono, permane questa opposizione, da questa opposizione si produce quale altra cosa. Prima ho citato Hegel, è ovvio il riferimento alla dialettica hegeliana: tesi, antitesi e sintesi, dove l’antitesi non nega la tesi, cioè la parola che ha davanti il segno “non” non nega la precedente, non la cancella. La logica classica lo fa, cancella una delle due, tra a e non a una delle due è vera, se una è vera l’altra è falsa, non c’è alternativa. Freud e altri insieme con lui hanno incominciato a pensare che forse non è forse esattamente così, sì, anche in alcuni casi certo, ma non sempre, in alcuni casi invece questa negazione permane e non può togliersi perché ciò che è negato è ciò che è desiderato ma non può dirsi. Questa è stata la trovata di Freud: la negazione enuncia un qualche cosa che non può dirsi, ma può dirsi se utilizzo questo strattagemma, cioè se lo nego. Da qui l’attenzione di Freud per qualunque cosa una persona dica, come diceva all’inizio di un’analisi alla persona: dire qualunque cosa passi per la mente senza alcuna censura, che è una cosa molto difficile da mettere in atto, è molto difficile perché la censura protegge dal giudizio altrui, giudizio nefasto naturalmente, lo protegge nel senso che io non dico tutte quelle cose che per un motivo o per l’altro potrebbero dispiacere all’altra persona, e quindi le taccio. Invece Freud invitava a dire qualunque cosa senza appunto nessuna censura, perché ogni cosa che la persona dice è importante, anche se per la persona può apparire, mentre la dice, una cosa banale, ma invece questa cosa può essere di straordinaria importanza, può rivelarsi tale nel prosieguo del racconto. È come se in effetti un’analisi non scartasse nulla, tutto ciò che si dice è importante, può agganciarsi a un altro discorso mostrando delle connessioni assolutamente inattese. Come dire che Freud stava considerando che il modo in cui gli umani pensano è come una rete di connessioni, una rete di connessioni fra elementi connessi tutti fra loro, Lo strutturalismo ha detto una cosa straordinariamente simile a questa, prima pensando al sistema in accezione di De Saussure e cioè come una rete di connessione fra elementi dove ciascun elemento è connesso in qualche modo con tutti gli altri, e poi la nozione di strutturalismo che aggiunge un elemento, non solo ciascun elemento è connesso con tutti gli altri, ma se si modifica un elemento, tutti gli altri si modificano, cioè si riassetta tutto il sistema. La questione a questo punto si apre su questa rete di connessioni di cui a questo punto potremmo dire la persona è fatta, una sterminata rete di connessioni, che poi in parte è anche il funzionamento del cervello riprodotto dai computer, reti di connessioni combinate da regole di connessione. Quando duemila e cinquecento anni fa Aristotele inventò la logica in realtà ha semplicemente considerato quali sono le regole di combinazione del pensiero, in quale modo certe cose possono combinarsi fra loro e in quale modo no. Ora pensate a una persona che è fatta di questa sterminata rete di connessioni, da dove vengono queste connessioni? Freud esplora questo aspetto considerando che degli elementi si agganciano ad altri elementi sempre per un qualche motivo, per una similitudine, per una prossimità, per una somiglianza di significato, ci sono vari motivi per cui questi elementi si connettono fra loro, ci sono connessioni più forti, altre meno forti, quelle più forti sono quelle più utili, diciamola così in modo un po’ rozzo, più utili a proseguire il discorso, più utili a proseguire a pensare, più utili, per esempio, a sapere come stanno le cose, nessuno di voi per esempio ricorda tutti i visi, di tutte le persone che ha incontrato venendo qui, perché? Tecnicamente potrebbe farlo ma non lo fa perché non gliene importa niente, cioè queste cose non hanno un rilievo, non hanno peso e quindi vengono eliminate. Ma perché qualcosa è importante? Perché ha molti agganci. Una delle cose più importanti per gli umani sono le vicende sentimentali per esempio, perché? Perché hanno infinite possibilità di aggancio quindi di pensiero, di parola, di riflessione, offrono cioè una quantità sterminata di occasioni per pensare, per dire, e gli umani non possono non dire, non parlare, non pensare anzi il pensiero è quella attività che funziona ventiquattrore su ventiquattro senza sosta. Questa rete di connessioni che è ciò di cui la persona è fatta, mostra anche il modo in cui la persona pensa, e di conseguenza il modo in cui agisce, perché ciò che si pensa o più propriamente ciò che si crede vero determina il modo di agire, anzi molto spesso si vuole sapere che cosa è vero per sapere che cosa fare. Vi dicevo prima che Freud considera alcuni aspetti fondamentali come il desiderio, la pulsione, come qualcosa di naturale, come direbbero i filosofi “non enti di ragione ma enti di natura”, la linguistica invece è andata più a fondo alla cosa e ha considerato in modo più forte, più attento la struttura del linguaggio che a Freud praticamente serviva soltanto per dimostrare la sua teoria, per dare un appoggio alla sua teoria ma i linguisti, i semiotici, i filosofi del linguaggio, i logici non avevano questa ambizione quindi si sono dedicati unicamente al funzionamento del linguaggio, e hanno trovato delle cose sorprendenti, che sono molto simili a quelle che stava proponendo Freud in quegli anni. Gli umani agiscono in base a ciò che credono, ciò che sanno, ma ciò che credono, ciò che sanno corrisponde alla realtà? Oppure la questione è più complessa? Freud a proposito della realtà usava due termini che il tedesco gli consentiva, Wirklichkeit sarebbe la realtà psichica, l’altra la Realität sarebbe la realtà oggettiva, la realtà delle cose. La realtà psichica è quella realtà che una persona considera a partire dalle sue fantasie, da ciò che crede, è il mondo che la persona stessa in un certo senso si costruisce, tant’è che ciascuno vede le cose in un modo un altro in un altro, e per chi vede le cose in un certo modo le cose sono in quel modo, non in un altro, sono assolutamente in quel modo. Per Freud è come se la persona scambiasse la realtà psichica per la realtà oggettiva, uno scambio non indifferente per le implicazioni che comporta, perché un conto se credo una certa cosa, altro è se invece sono assolutamente sicuro che le cose stiano così, nel primo caso sarò più cauto nel muovermi in quella direzione, nel secondo non avrò alcuna incertezza. Freud non si è mai occupato direttamente della cosiddetta realtà oggettiva, si è occupato della realtà psichica e del modo in cui gli umani vedono le cose, nel modo in cui vengono a sapere delle cose, altri invece si sono occupati di questo aspetto e cioè della realtà. Vi dicevo ciò che una persona sa, crede essere vero è ciò che pilota il suo agire, il suo fare, le sue decisioni, le sue scelte, le direzioni che farà prendere alla sua vita stessa, tutto questo era mosso per Freud da quella cosa che chiamava Wirklichkeit cioè dalla realtà psichica, non dalla realtà oggettiva. Anche questo è quasi un luogo comune prendete per esempio una persona che è sicura di non essere desiderabile e di essere di conseguenza sempre abbandonata da chiunque, non ci saranno argomentazioni razionali in condizioni di far recedere da questa certezza quella persona, perché per quella persona questo fatto, e cioè essere indesiderabile e quindi abbandonata dal mondo intero è la realtà dei fatti, è il modo in cui le cose stanno. Freud avverte che non è proprio così. Magari tutte le persone che sono intorno a questa di cui dicevo si accorgono che non è affatto così, la persona è amabilissima, desiderabilissima e nessuno la vuole abbandonare, ma questo non scalfisce minimamente ciò che la persona pensa di sé, e Freud si chiede come mai, e cioè contro ogni dimostrazione, chiamiamola obiettiva, reale, la persona continua a pensare a modo suo, continua a pensare che la realtà sia quella in cui lei è indesiderabile eccetera. Sembra sorprendente perché si suppone che se qualcuno mostra a qualcun altro che le cose stanno in un certo modo, se lui pensa che stanno in un altro e vede come stanno realmente cambi opinione, questo si pensa generalmente delle persone più o meno razionali che avvenga così cioè “non è così come pensi tu e ti mostro perché” questa persona vede perché e accoglie questa nuova posizione. Per quanto riguarda le fantasie le cose non vanno affatto così, la persona non si muove di un millimetro e allora torno a dire, Freud si chiese perché, perché è così fortemente, saldamente incrollabilmente vincolata a questa fantasia che invece crede essere la realtà? Perché ha un tornaconto, questa fu la risposta di Freud alla domanda, e cioè il pensare di essere, sempre la persona di prima, indesiderabile e quindi abbandonata, a quella persona tutto ciò serve a qualcosa, ha un utilizzo, ma quale utilizzo? Possono essere vari, ma solo un percorso di questo tipo può mostrare quali sono quegli utilizzi e porre fine alla necessità di mantenere questi utilizzi, perché se una cosa non serve più, solo a questo punto si abbandona, si può abbandonare cioè se non mi serve più pensarmi abbandonato e reietto dal mondo intero, se questo non mi serve a niente non lo penso. Buona parte del lavoro che ha fatto Freud, soprattutto nella seconda parte del suo lavoro, è consistito nell’intendere perché le persone credono e quindi pensano le cose che pensano, perché? Perché certe volte si fissano su certe cose in modo incrollabile? Nessuno prima di lui aveva posto la questione in termini così precisi e così radicali, e soprattutto prima di lui nessuno aveva tentato di dare delle risposte soddisfacenti che andassero oltre “è così, succede così. Il passo successivo fu intendere che queste cose come il desiderio, la pulsione, non sono propriamente fatti naturali, e questo accadde intorno alla metà del secolo scorso ad opera di uno psicanalista francese Jaques Lacan, il quale si accorse che c’era nel lavoro della linguistica molto più di quanto i linguisti stessi immaginassero e fece una cosa straordinaria, rilesse Freud utilizzando la linguistica e in particolare il testo di De Saussure, cioè i Corsi di Linguistica generale. Ciò che produsse un lavoro del genere fu un passo importante, il linguaggio a questo punto divenne sempre più prioritario nell’elaborazione psicanalitica che fino a quegli anni era tenuto in scarsissima considerazione, la psicanalisi era diventata una produzione scarna e poco interessante del pensiero di Freud e il lavoro della rimozione, dell’inconscio eccetera si era trasformato quasi in una sorta di macchinismo che veniva ripetuto all’infinito ma senza intendere nulla di ciò che Freud già aveva posto. Dunque incomincia a porsi la priorità del linguaggio, si incomincia a considerare in modo molto attento e accorto che gli umani sono fatti di linguaggio, e si incomincia a pensare che c’è l’eventualità che non ci sia altro al di fuori di questo, questo non tanto la psicanalisi quanto la linguistica e la semiotica in particolare, perché uno potrebbe obbiettare “ma ci sono i sentimenti” è ovvio, non è che nessuno ci abbia pensato a una cosa del genere ma i sentimenti di cosa sono fatti? Perché un sentimento sia tale occorre che una certa cosa per una certa persona abbia un valore, se non ha nessun valore non suscita nessun sentimento, e se ha un valore questo valore è stato attribuito in seguito a una serie di considerazioni più o meno consapevoli, ma sempre considerazioni sono, che ha portato taluni a considerare che è il linguaggio che produce le emozioni, cioè, anche le emozioni, non solo ovviamente. A questo punto si tratta di dire qualcosa di più di questo linguaggio, potremmo dirla così, in modo molto leggero, dicendo semplicemente che il linguaggio è ciò che consente agli umani di dirsi tali per esempio. Dire che gli umani sono fatti di linguaggio ha delle implicazioni notevolissime, per alcuni versi cambia radicalmente il modo di pensare gli umani stessi. Vi dicevo che gli umani sono fatti di questa rete di connessioni tra parole, significanti, proposizioni, racconti, storie eccetera, dire che gli umani sono fatti di linguaggio in effetti radicalizza solo la cosa ma non aggiunge niente di più, per il momento ci basti considerare il linguaggio come un sistema, un sistema che costruisce proposizioni in base a certe regole che fanno parte del linguaggio stesso, per cosa? Per niente, semplicemente per continuare a costruire proposizioni. Le proposizioni sono ciò di cui gli umani vivono perché queste proposizioni si agganciano ad altre formano scene, si configurano in infiniti modi, qui interverrebbe la questione della realtà a questo punto che sarebbe da affrontare, però preferisco sentire se magari c’è qualche questione intanto prima di proseguire…

Intervento: se ho compreso bene lei ha usato “desiderio” “pulsione” come parole interscambiabili?

No, infatti dicevo pulsione e desiderio

Intervento: ok. Allora vorrei che si potesse focalizzare che cos’è il desiderio secondo Freud e cos’è la pulsione…

Per Freud la pulsione è qualche cosa di naturale, il termine tedesco è Trieb è stato tradotto malamente in italiano con istinto, ma non è istinto perché il termine “istinto” in tedesco c’è si dice “Instinkt” mentre lui usa “Trieb” è una pulsione che muove, che spinge in una direzione, quale direzione? Quella del suo soddisfacimento, infatti nella pulsione individua l’oggetto, la fonte, la spinta, la meta e cioè i vari elementi di cui è composta. Il desiderio, per Freud, non è che la manifestazione più evidente della pulsione: quando la pulsione individua un oggetto con cui soddisfarsi e allora ecco “desidero questo”, però per Freud questo desiderio in effetti procede da una pulsione, ha la pulsione come fondamento, è qualche cosa che spinge gli umani comunque in qualche direzione, non importa quale però c’è comunque una spinta verso un qualche cosa, di fatti nella prima topica le chiamava “pulsioni sessuali” che spingono gli umani a unirsi e a produrre altri esseri umani…

Intervento: quindi il desiderio è la manifestazione di questa pulsione…

Il modo in cui la pulsione si configura di volta in volta, certo. Qui naturalmente molti si sono sbizzarriti su questi termini perché un altro aspetto interessante, posto proprio dai linguisti, è il problema della definizione, perché definiamo una certa cosa in un modo anziché in un altro?  Non è sempre facile rispondere a questa domanda, però è sicuro che una volta definita una cosa in un certo modo questo comporterà una serie notevole di implicazioni e di inferenze, perché ciò che deriverò da queste particolari definizioni sarà una certa cosa, ciò che invece concluderò se avrò definito altrimenti sarà altro. Per Lacan per esempio il desiderio è qualcosa di più strutturale di quanto appare nel testo di Freud, e soprattutto, questa è l’innovazione nel testo di Lacan, una delle innovazioni, l’oggetto è indifferente alla pulsione, e di conseguenza anche il desiderio non ha un oggetto in quanto tale. Ma a questo punto Lacan è costretto a introdurre un’altra differenza tra desiderio e volontà, ciò che voglio non è ciò che desidero, posso volere questo aggeggio ma il mio desiderio non sarà mai soddisfatto né da questo aggeggio né da qualunque altra cosa, perché il desiderio non è soddisfacibile, tant’è che parla del “desiderio è dell’Altro” scrivendolo con la A maiuscola come faceva Hegel per indicare ciò che è radicalmente e strutturalmente altro, cioè mai identico, se è Altro che desidera è ovvio che non potrà mai essere soddisfatto. Che è un po’ ciò che il discorso isterico a modo suo rappresenta e cioè la non soddisfazione: qualunque cosa si offra per il discorso isterico non è mai comunque quello, continua a chiedere continuamente cose, ma non sono mai quelle, ed è per questo motivo che Lacan ebbe una particolare attenzione verso il discorso isterico che considerò abbastanza prossimo a quello dell’analista…

Intervento: volevo chiedere a proposito dell’esempio della persona che pensava di non essere desiderabile, la conclusione era che lo pensava perché gli era utile, l’utilità in che cosa può consistere?

Sì. Faccio un esempio molto semplice: supponiamo che questa sia una fanciulla e che questa fanciulla sia stata o abbia sempre pensato di non essere apprezzata dal papà, capita, anche se magari non è assolutamente vero, però può pensarlo, allora a un certo punto si trova di fronte a un bivio o “io sono apprezzabile, desiderabile eccetera, eccetera e quindi mio papà ha torto e quindi mio papà non sa, non capisce niente” oppure “ha ragione mio papà, e se lui ha ragione allora io non sono desiderabile”. È come se a un certo punto della sua esistenza si trovasse di fronte a un bivio, anche se non è avvertito così, come se dovesse scegliere tra dare ragione al papà oppure dargli contro, a seguito di questa decisione la sua vita prenderà una piega oppure un’altra. Ecco perché ha un’utilità, così come avviene per un bambino che desidera la marmellata, vuole la marmellata però vuole anche l’affetto della mamma e la mamma gli dice che se mangia la marmellata allora non gli vuole più bene o cose del genere, e allora si trova di fronte anche lì a un bivio, a un dilemma, che fare? Se mangio la marmellata la mamma non mi vuole più bene, se rinuncio alla marmellata la mamma mi vuole bene però rinuncio alla marmellata, e allora si inventa una storia, non è più la mamma che minaccia ma è un’altra persona, è l’uomo nero per esempio, e incomincia ad avere paura dell’uomo nero, e così la mamma è salva non deve più odiarla per esempio, adesso uso termini un po’ eccessivi, però ha salvato una situazione cioè ha costruito quello che Freud ha chiamato una formazione di compromesso, ha trovato una via d’uscita. È ciò che fa il pensiero di ciascuno molto spesso, trovare vie d’uscita a situazioni che deve risolvere ma che sono, come dicevano i semiotici negli anni settanta, incompossibili, cioè non possono stare insieme, o l’una o l’altra, e allora si mantiene l’una, ma l’altra non può essere eliminata e allora la si modifica, la si cambia. Questo per Freud era in buona parte l’origine dei così detti sintomi. Gli si può dire che non c’è nessun uomo nero, certo che non c’è, però lui ha dovuto costruire e credere all’uomo nero per salvare il suo amore per la mamma.  È un esempio banalissimo, le cose in genere sono più complicate, però giusto per fare intendere la questione del tornaconto che è importante in Freud. Ecco è un po’ la questione da cui sono partito, rinunciare alla sessualità, a certe pulsioni sessuali è stato il prezzo da pagare per tenere in piedi la civiltà così come funziona, un prezzo da pagare che per Freud è molto alto, ma sia come sia la civiltà è quello che è. Ciò che ho detto apre a ciò di cui parleremo la prossima volta e cioè la questione della realtà, non soltanto ma anche, perché questa differenza che fa Freud tra realtà psichica e realtà oggettiva è di straordinaria importanza anche per ciò che ne è seguito negli anni successivi in altre discipline che si sono fortemente interrogate su questo: che cos’è esattamente la realtà? È ciò che i miei sensi percepiscono? No, questo è soltanto un criterio per stabilire che cosa intendo per realtà, non è la realtà, la realtà è già un’altra cosa, ma che cosa esattamente? E si può fare ancora di meglio e cioè chiedersi che cosa si sta facendo chiedendosi una cosa del genere. Adesso appaiono questioni molto complicate e in parte lo sono, ma giovedì prossimo vedrò di rendervele molto semplici…

Intervento: io avrei da chiedere una cosa, non vuole essere provocatoria…

Se vuole può provocare non è proibito.

Intervento: “non è mia madre” diceva nell’esempio prima, carina questa cosa qua mi piace, ascoltando una conferenza di conferenza di Galimberti sono stata colpita e il quesito lo pongo a lei, sono stata colpita dalla domanda che questo filosofo si pone e cioè il senso, il valore della psicanalisi ai giorni nostri in una società che non è più una società edipica ma è una società narcisista. Che valore ha la psicanalisi secondo lei? Cioè non siamo più una società che ha dei limiti, dei freni sembra anzi che, ascoltando Recalcati, anche i giovani non hanno più limiti, delle norme rigide quindi come si configura la psicanalisi in un contesto culturale e storico così diverso? Ha senso continuare un percorso di quel tipo? Non so se sono stata chiara?

La psicanalisi si pone come un’interrogazione intorno al modo in cui una persona pensa, perché pensa le cose che pensa. Questo indipendentemente dall’educazione che ha ricevuto, di quanto sia frustrata la sua esistenza, del fatto che pensi di poter fare tutto oppure sia convinto di non potere fare niente, tutto ciò è irrilevante per la psicanalisi. Ora, dire che non c’è più la legge paterna, riprendendo Lacan, questo lascia il tempo che trova anche perché per Lacan non era proprio così, la legge del padre non viene dal padre in quanto tale, ma dal simbolico, cioè dal linguaggio, sono i limiti che impone il linguaggio non qualcuno. La questione è un po’ più complicata e poi come dicevo prima quando si parla di senso di qualche cosa occorrerebbe già prima avere chiarito che cosa si intende con “senso”. Le questioni quando si affrontano in termini teorici possono diventare straordinariamente complicate, come sanno per esempio i logici, i filosofi del linguaggio, ci si avventura in una rete di complessità tale in cui può risultare molto difficile venire fuori, certo basta dare a questo termine “psicanalisi” una certa accezione e allora si può concludere che oggi la psicanalisi non ha più ragione di esistere, si può fornire a questo termine “psicanalisi” tutt’altra accezione e allora si conclude che non solo la psicanalisi ha ragione di esistere ma è indispensabile. Basta modificare la definizione. È possibile modificare la definizione? Certo, ma questa è una questione abbastanza complicata di cui ci occuperemo giovedì prossimo se voi avrete la bontà di venirmi ad ascoltarmi ancora…

Intervento: lei prima ha detto che l’oggetto è indifferente alla pulsione (sì questo diceva Lacan, sì) il desiderio non ha un oggetto?

A questo punto no, non è soddisfatto da nessun oggetto, immagina che ci sia l’oggetto che la soddisfa ma quando lo trova non è mai quello, è come se fosse sempre spostato…

Intervento: perché a me adesso veniva in mente la famosa domanda “qual è l’oggetto del tuo desiderio?” “che cos’è? Se il desiderio non ha un oggetto a cui fare riferimento allora è inconscio? È qualche cos’altro?

Per Lacan era un simulacro, in effetti anzi lui usa il termine agalma per indicare un qualche cosa che è vuoto all’interno: si immagina che sia quello, di volere fortissimamente questa cosa, ma non è mai quella. Ciascun oggetto risulta essere un oggetto vuoto…

Intervento: mi viene in mente di dire con che cosa lo riempio? Con la fantasia?

Si suppone all’inizio che sia pieno di cose straordinarie però è come se ogni volta deludesse, che è esattamente quello che dice l’isteria. Il discorso isterico di fronte alla risposta è sempre deluso dalla risposta, non lo soddisfa mai, per cui continua a domandare. Lacan ha posto l’oggetto come “oggetto causa del desiderio”, causa del desiderio non oggetto del desiderio (quindi non la meta) no, la meta non si raggiunge, per Lacan, mai, ma anche per Freud era abbastanza improbabile raggiungere la meta o comunque una volta raggiunta questa si sposta e questo è strettamente connesso, e poi vedremo giovedì prossimo perché, con il funzionamento del linguaggio.

Grazie a voi che siete venuti qui questa sera e mi avete ascoltato.