INDIETRO

 

1-6-2004

 

Libreria LegoLibri - Torino

 

Luciano Faioni

 

Dalla noia alla depressione

 

Fra la noia e la depressione spesso c’è un passaggio, prima ci si annoia, ci si annoia a lungo e poi ci si deprime, potremmo distinguere rapidamente la noia dalla depressione: nella noia c’è la speranza che le cose cambino, pur notando un’assenza di interesse generale, cionondimeno ci si aspetta che qualcosa si modifichi, qualcosa cambi, nella depressione no, questa speranza non c’è più, c’è la certezza che le cose saranno sempre esattamente così, cioè nel modo peggiore. Questa certezza fa del depresso una persona fondamentalmente sicura di sé, perché sa esattamente come stanno le cose, magari gli altri non le vedono, non se ne accorgono, ma il depresso sa che le cose stanno malissimo e talvolta ritiene anche di essere l’unico ad avere questa consapevolezza, cosa che in alcune circostanze lo rende anche arrogante, dal suo punto di vista, legittimamente, poiché in fondo è l’unico che sa come stanno le cose, gli altri non lo sanno. È l’unico che ha visto, che sa, che è perfettamente consapevole che le cose non hanno più alcun senso e, di conseguenza, nessun interesse, ciò che il depresso lamenta in effetti, qualunque depresso da che mondo è mondo, è che appunto non c’è più interesse per le cose, nulla lo muove, nulla lo stimola, nulla lo interessa. Ora si tratta di intendere come avviene che, mentre prima alcune cose si mostrano interessanti, magari anche divertenti, ad un certo punto invece cessano di avere qualunque interesse. Che è successo? Quand’è che ci si annoia in genere? Come ciascuno sa, quando non ci sono stimoli, quando le cose si ripetono sempre allo stesso modo e non c’è nulla che dia da fare, da pensare, da considerare, perché si ritiene di avere già considerato e quindi tutto ciò che c’è è già visto, già sentito, già fatto. Vero o no che sia in ogni caso è questo che si pensa, quindi la condizione per potere annoiarsi è supporre che le cose che lo circondano non siano in condizioni di dare uno stimolo, di muovere verso qualcosa, questo è ciò che si pensa generalmente, come se dovessero essere le cose a stimolare, a muovere, a interessare. È una posizione bizzarra se ci pensate bene, le cose di per sé non fanno niente, non si muovono, stanno lì, non dicono niente, sono io che mi muovo e che dico, che penso. Ora si tratta di intendere che ciò che produce la noia in realtà è qualcosa che io sto producendo, cioè io sto considerando che le cose che mi circondano non mi interessano, non che le cose non siano interessanti, come dicevo le cose di per sé sono assolutamente niente, ma per me non sono più interessanti, e allora a questo punto c’è l’eventualità che possa chiedermi perché. In genere sono due le situazioni che si verificano con maggiore frequenza: la prima è che mi trovo a pensare che c’è una sola cosa che mi importa veramente e se non ottengo quella tutte le altre non mi interessano, questa cosa diventa prioritaria su tutto, è quella che manca generalmente e diventa, sempre nel pensiero, la condizione della felicità per esempio, e si continua a supporre che in assenza di questa cosa la felicità non potrà essere raggiunta e quindi qualunque altra cosa è assolutamente irrilevante, e questo è un caso; l’altro invece riguarda più semplicemente la posizione in cui spesso ci si trova che è quella cui accennavo prima, e cioè attendere che qualcuno o qualcosa venga da me, mi prenda per mano e mi conduca da qualche parte dove c’è un grande divertimento, e io rimango lì in attesa che qualcosa succeda. Non succede niente generalmente, però accade di rimanere lì in attesa, come se da soli si fosse totalmente incapaci di trovare un qualunque interesse. Così accade, però può accadere anche, come dicevo, che da questa condizione di noia si possa fare il passo successivo, quello che conduce alla cosiddetta depressione che è una condizione psichica nota da sempre, ne parla persino Aristotele, una volta si chiamava accidia ed era considerata uno dei vizi capitali. L’accidia dunque: l’impossibilità di trovare un qualunque interesse per qualche cosa, ormai è come se fosse troppo tardi, come se tutto fosse già avvenuto, ma che cosa è avvenuto esattamente? È avvenuta una perdita di senso. Una delle principali questioni che pone il depresso è la perdita di senso, le cose non hanno senso, la mia vita non ha senso, la vita in generale, il pianeta intero non ha senso. Lo si può pensare, certo, generalmente in questi casi si sorvola proprio sulla questione centrale, cioè il senso, e non ci si chiede mai, assolutamente mai, che cosa sia esattamente questo senso che è così importante. Ma sia come sia, in ogni caso come dicevo prima la catastrofe è già avvenuta, e non c’è più rimedio, ma a questo punto occorre porre la questione più importante, adesso ho fatto solo una descrizione molto semplice dei tratti più evidenti, anche perché accade che una persona che ritiene di sé di essere depressa si rivolga ad un analista, per esempio, chiedendogli di liberarlo della sua depressione, succede, e a questo punto occorre fare una considerazione che è fondamentale, quella che riguarda la struttura stessa della depressione; proviamo a riconsiderare i brevi tratti cui ho accennato per descrivere la depressione, per esempio l’assenza di senso, uno dei pilastri del depresso, com’è che prima c’era il senso e adesso non c’è più? E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, perché dovrebbe essercene uno? Ammesso che si sappia di che cosa si sta parlando esattamente quando si parla di senso, ho detto ammesso perché non è così automatico, questa sorta di lutto per la perdita del senso delle cose non è in realtà nient’altro che la perdita dell’interesse, come dire che le cose hanno un senso se interessano, se no, no, come per lo più accade per altro, che cosa occorre intendere per prima cosa nella depressione? La prima cosa che è fondamentale cogliere è che è una condizione che non è necessaria, nessuno obbliga ad essere depressi ,può apparire una considerazione assolutamente banale, ma c’è l’eventualità che non lo sia. Se questa depressione non è necessaria né è stata veicolata da un virus o da un microbo della depressione, allora questa depressione non è altro che la conclusione di una serie di pensieri che la persona ha fatti, la quale conclusione giunge inesorabilmente a fare affermare che le cose non hanno più nessun senso. Ma ci si arriva attraverso un’argomentazione, attraverso dei pensieri, non è sorta così dal nulla e questi pensieri da dove arrivano? Per giungere a una conclusione come questa occorre supporre che le premesse da cui si muove siano assolutamente vere, come dire che le cose stanno proprio così come dico io e non altrimenti. È un modo di pensare questo abbastanza diffuso, anche se non porta il più delle volte la depressione, però la supposizione di sapere come stanno le cose, che è una formulazione alquanto bizzarra, muove appunto da alcune premesse che sono date come assolutamente acquisite, evidenti, e queste premesse così evidenti sono quelle che consentono di giungere a quella conclusione che si chiama depressione, ma se quelle premesse da cui muove non fossero così evidenti e così certe? C’è anche questa possibilità, tanto più che infinite altre persone non le considerano affatto così certe ed evidenti, contrariamente a lui o a lei a seconda dei casi, e allora? E allora si inizia, lungo un percorso, a considerare l’eventualità che questa costruzione in realtà sia una costruzione assolutamente gratuita e non necessaria, cosa che per altro tutti quanti quelli intorno al depresso gli fanno notare, mentre per il depresso è assolutamente necessaria. A noi interessa intendere da dove il depresso trae la necessità, sapete da dove la trae? Dall’argomentazione, come chiunque, considerazioni della forma “se questo, allora quest’altro, ma quest’altro e quindi quest’altro ancora”. Gli umani pensano così, non è che abbiano molti altri strumenti e anche nel caso della depressione la struttura, il funzionamento, è lo stesso: una serie di ragionamenti che conduce a quella conclusione: “quindi le cose non hanno nessun senso”. Certo, è una conclusione, ma anziché avere la possibilità di considerare che è una possibile conclusione date quelle premesse, immagina che sia l’unica, ineluttabile e irreversibile conclusione, e in effetti chiunque se posto in una condizione del genere, cioè di fronte alla certezza assoluta che le cose sono in quel modo e che saranno sempre all’infinito in quel modo, beh, un po’ si deprime e anche se è di buon umore gli passa, perché è chiaro che ha di fronte l’eventualità di una noia mortale. Ma se, come stiamo dicendo, la depressione non è altro che la conclusione di una serie di argomentazioni, di ragionamenti che la persona si trova a fare, allora così come li ha costruiti può anche demolirli, allo stesso modo, in fondo l’unico elemento che lo tiene agganciato così fermamente è sì, anche la conclusione certo, ma la conclusione è ciò che segue inesorabilmente a delle premesse, e se le cose stanno così allora non c’è salvezza. Sarebbe dunque sufficiente modificare le premesse, cosa che è possibile fare, la difficoltà non sta nel modificare le premesse o nell’alterare il corso della sequenza inferenziale, cioè della sequenza di ragionamenti, la difficoltà sta nel fare abbandonare al depresso la sua posizione che non vuole abbandonare per nulla al mondo, nonostante possa dirvi anche di volerlo fare, però questa condizione gli offre una serie di vantaggi che dopo considereremo per cui, di fatto, è come se non volesse per nulla abbandonare la sua posizione. Questo è ciò che rende tutto il percorso complicato, cionondimeno questo percorso può compiersi mostrando alla persona l’interesse che ha, in questo caso per la depressione, per i vantaggi che ne offre, in modo da fargli notare che se mantiene questa posizione è per una sorta di decisione. Può apparire strano usare questi termini nel caso della depressione, tuttavia è una considerazione cui si giunge appena ci si sofferma sul fatto che questa persona ha costruito una certa argomentazione e quindi è giunto a una certa conclusione attraverso i suoi pensieri, nessuno l’ha costretta. Mi rendo conto che generalmente si pensa in un modo che, per quanto risulti assolutamente normale, tuttavia è singolare: è come se i pensieri, le cose, avvenissero magicamente, perlopiù nessuno sa da dove vengono i pensieri, né perché proprio quelli, ma si suppone che accada così. Forse non è proprio esattamente così, c’è l’eventualità che questi pensieri seguano logicamente ad altri pensieri e che, per esempio, ciò che il depresso rileva sia una costruzione che è stata fatta da lui perché, come dicevo, nessuno lo ha obbligato. Dunque il depresso esibisce una certezza, una certezza nel sapere come stanno le cose, che è fondamentale: ciascuno ci tiene a supporre o a pensare di sé che sa come stanno le cose, poi magari vedremo anche perché, e poi il fatto di essere comunque o di diventare una persona importante, interessante, una persona depressa tendenzialmente fa parlare di sé, muove altri a chiedergli delle cose, a darsi da fare per lui, ed è un altro vantaggio, e in alcuni casi c’è anche un ulteriore vantaggio che quello di avere una buona giustificazione per lasciarsi andare, per non fare, per esempio, ciò che dovrebbe fare. La prima cosa, dunque, che importa in tutto questo percorso è condurre la persona, in questo caso depressa, a quello che potremmo chiamare tranquillamente responsabilità, la responsabilità del proprio discorso: cioè ciò che io affermo, penso, immagino suppongo, sogno, costruisco è qualcosa che mi appartiene, di cui sono responsabile perché questi pensieri vengono da me in ogni caso, anche se qualcuno me li avesse indotti, ché è ovvio che ciascuno segue una formazione, acquisisce durante la sua vita una quantità enorme di informazioni, di esperienze, ma in ogni caso sta sempre a lui la decisione di accoglierli oppure no, quante informazioni voi subite quotidianamente? Non per questo le fate vostre tutte quante, alcune sì e altre no, in base a quale criterio? Ecco dunque la responsabilità, questione fondamentale, accorgersi di essere responsabili di ciò che si dice, di ciò che si pensa e quindi di ciò che si costruisce, di ciò che i miei pensieri costruiscono compresa la depressione, che non ne è esente, ma cosa comporta essere responsabili di una cosa del genere? Per esempio della depressione? Innanzi tutto il non potere più non considerare che le conclusioni a cui giungo, qualunque esse siano, sono prodotte dal mio discorso, ineluttabilmente, e se il mio discorso le produce ha dei buoni motivi per farlo e, all’occorrenza, posso anche chiedermi quali ma in ogni caso a questo punto risulta molto più difficile continuare a pensare che sia qualche cosa che mi è capitata tra capo e collo e di cui non sono assolutamente responsabile, e a questo punto il discorso cambia e si fa più interessante, perché a questo punto se io ho costruito una cosa del genere intanto ho avuto dei buoni motivi per farlo, e se l’ho fatto è perché va bene così. Può apparire strana detta in questa maniera, tuttavia già ai suoi tempi Freud si era accorto che le persone ad un certo punto facevano di tutto, lungo questo percorso, per non abbandonare quelli che lui chiamava i sintomi, e si chiedeva come mai le persone andassero da lui proprio per questo e ad un certo punto invece si opponevano al procedere del percorso che stavano facendo, come se la persona avesse qualche remora ad abbandonare i suoi sintomi. E così è in effetti. Questa questione costituisce l’aspetto più complicato di una analisi ed è in molti casi il motivo per cui dura così tanto: la persona non ha nessuna intenzione di abbandonare i suoi sintomi nonostante faccia la domanda proprio per questo, ma al pari della depressione anche molte altre cose hanno un tornaconto, ed è questo tornaconto ciò che è difficile da abbandonare. Accogliere la responsabilità di ciò che fa il proprio discorso è il primo passo, poi ne seguono altri ovviamente, accorgersi che è il proprio discorso che costruisce tutta una serie di cose incomincia a fare supporre al depresso che non soltanto la depressione, ma anche altre cose seguano lo stesso andamento, convinzioni, pensieri, credenze, qualunque cosa. In effetti qualunque cosa gli umani pensano, credono, lo fanno perché sono giunti a una certa considerazione, e da qui a una conclusione, qualunque essa sia non ha importanza, non importa il percorso che è stato fatto, può essere un percorso logico oppure perché l’ha detto qualcuno che si ritiene importante, oppure perché l’ha detto la mamma e la mamma è saggia, oppure per sentito dire perché l’ha detto una persona importante, è una figura retorica, quella che si chiamava l’auctoritas: “ipse dixit”, e quindi è così, ci sono tante vie per giungere a credere qualcosa ma a questo punto il nostro amico depresso che cosa fa? Incomincia a pensare in un modo diverso: così come si è accorto che la sua depressione è stata prodotta dai suoi pensieri in modo assolutamente arbitrario, e cioè non era necessario giungere a quella conclusione cui è giunto, allo stesso modo c’è l’eventualità che cominci a domandarsi se anche altre conclusioni cui giunge, che sono le cose di cui vive, siano altrettanto arbitrarie oppure no, perché cambia tutto, se sono arbitrarie oppure no, perché se è arbitrario allora che io ci creda oppure no è un fatto puramente estetico, come dire che mi piace pensare così, se invece è necessario no, non è che mi piace pensare così, è così e non posso fare altrimenti. È completamente diverso, ed è totalmente diversa la mia condotta di fronte a cose del genere. Però a questo punto il nostro amico può fare ancora un altro passo: cominciare a chiedersi “ma se io stesso ho costruito questa serie di pensieri che mi hanno condotto alla conclusione tale per cui mi sono depresso, accorgendomi che tutto questo percorso conduce a una conclusione assolutamente arbitraria e gratuita e quindi non ha nulla di necessario, allora magari posso cominciare a considerare se c’è qualcosa di necessario, e se è una persona che mostra una certa onestà intellettuale, chiedersi anche che cos’è il “necessario” e dopo che lo ha fatto chiedersi come lo sa. Qui entriamo in un campo un po’ più complicato, che però merita almeno di essere accennato, visto che abbiamo imboccata questa direzione. Lui sa, il nostro amico depresso, che tutto ciò di cui dispone è il suo discorso cioè i suoi pensieri le cose in cui crede, il suo vissuto, le cose che immagina e tutto quanto, tutto ciò di cui è fatto che in realtà non è altro che il suo discorso in definitiva, voi toglietegli il suo discorso, toglietegli la possibilità di parlare, toglietegli il linguaggio e questa persona cessa di esistere, da quel momento cessa di pensare per esempio, se voi togliete il linguaggio non potete più pensare, né trarre nessuna conclusione, né formulare nessun giudizio, né avere nessun sentimento. Considerare che il proprio discorso è ciò di cui ciascuno vive, ciò di cui ciascuno è fatto, può essere di qualche interesse, anche perché ha delle implicazioni notevoli, a questo punto il nostro amico depresso… ex depresso, a questo punto non è più depresso perché incomincia ad essere interessato a altre cose, si chiede di cosa è fatto il suo discorso visto che è così potente, così forte da averlo condotto sull’orlo, sul baratro del suicidio con la depressione, ed è lo stesso discorso che può portarlo invece a momenti di gioia infinita. Tutto questo fa il discorso? C’è questa eventualità, ma come fa a fare tutte queste cose? Come accade che ad un certo punto io sia felice e un momento dopo tristissimo, poi depresso, poi invece euforico, come mai? Il nostro amico intanto nel frattempo ha smesso di credere alla magia e incominciato a pensare che forse le cose non è che avvengono per magia, magari il discorso è fatto in un modo tale per cui è perfettamente comprensibile come avvengano certi fenomeni, e allora ecco che incomincia a interrogarsi su come è fatto il suo discorso e come funziona, visto che è la condizione della sua stessa esistenza e, legittimamente, vuole sapere di cosa è fatto, come funziona. È un desiderio legittimo visto che è l’unica ricchezza che ha, non ne ha altre se non il suo discorso, il suo pensiero. Il suo pensiero, il suo discorso sono le cose per esempio che gli consentono di pensare, credere, di supporre di essere qualcosa anziché nulla, di esistere per esempio, di essere un umano e di conseguenza tutta una serie infinita di altre cose. Dunque incomincia a prendere sul serio tutta la questione che riguarda il discorso e interrogandosi su come funziona viene a scoprirne delle belle, cosa a cui non aveva mai pensato e cioè che, per esempio, mentre parla accade qualcosa, accade qualcosa che non controlla, che non gestisce, il suo discorso procede, va avanti, dice cose, si accorge per esempio di fare discorsi dove ci mette dentro parole che ignora, di cui ignora il significato e allora incomincia a chiedersi: ma come è possibile una cosa del genere? Cosa succede esattamente mentre sto parlando? E di cose ne succedono di belle, di bruttissime, insomma infinite cose. Già, che cosa succede esattamente? Intanto considera che si tratta di una sequenza di proposizioni, intanto questo, coerenti tra loro o almeno ci prova, e poi, cosa stranissima, queste proposizioni, questo ragionamento deve concludere in un modo che a lui risulti vero. È una cosa incredibile questo fatto, perché mai questo suo discorso deve essere vero? Sia che parli con la sua fidanzata, che chiacchieri con gli amici o che stia elaborando questioni teoriche, che stia lavorando sulla bomba atomica, in ogni caso quello che pensa e che afferma per lui occorre che abbia questa straordinaria caratteristica, e cioè che sia vero. Generalmente non ci si pensa a una cosa del genere, cionondimeno è fondamentale per ciascuno sempre e comunque e anzi, se qualcuno gli da torto se ne ha subito a male, poi dipende da quanto è permaloso ma in ogni caso è considerata cosa particolarmente sgradevole l’essere contraddetti o, per esempio, che altri non diano ragione, vi siete mai chiesti perché? In fondo che gliene importa di avere ragione? Anche se ha torto, che cambia? E invece no, gli umani ci tengono in un modo straordinario a questa cosa, alla verità, detto altrimenti “all’avere ragione”, e ciascuno in cuor suo suppone di avere ragione, Bin Laden ha assolutamente ragione, Bush ha assolutamente ragione… d’altra parte nessuno dei due farebbe le cose che fa se fosse assolutamente convinto di essere nel torto. Dunque ciascuno pensa di avere ragione, sempre, e cerca di imporla la sua ragione in vari modi, il modo più onesto è quello razionale, quello più subdolo quello persuasivo e, in infine, quello più pesante della la forza: “sono più forte e quindi ho ragione io”. Le guerre in genere funzionano così. Ma venendo a scoprire questa cosa straordinaria e cioè che gli umani da quando esistono praticamente non fanno altro che cercare di avere ragione su qualcosa o su qualcuno, a questo punto il nostro amico si sente autorizzato a chiedersi perché, e non è una cosettina da niente, in effetti è ciò di cui gli umani vivono da sempre, costruire cose che devono assolutamente essere vere, poi pensate anche alla ricerca intorno alla verità che dura da tremila anni circa, da quando c’è traccia degli umani, con notevoli difficoltà, anche perché se devo cercare la verità occorre pure che, semmai dovessi trovarla possano riconoscerla, per riconoscerla occorre un criterio, questo criterio occorre che sia vero, come so se è vero se ancora non so che cos’è la verità? È una considerazione legittima. Il nostro depresso a questo punto ha abbandonato la depressione perché ha cose più importanti di cui occuparsi, e cioè sapere come funziona questa incredibile cosa che è il suo discorso e che lo ha condotto alla depressione, così come in altri momenti lo ha condotto alla felicità più sfrenata o alla tragedia più nera o alla leggerezza più bella. Come funziona dunque tutto questo apparato? Che come vi dicevo, e torno a dirvi, è tutta la ricchezza di cui dispone e non ha nient’altro che questo, voi potete offrirgli qualunque cosa ma se lui non avesse questo suo discorso, questa possibilità di pensare e quindi di giudicare, tutta questa ricchezza non potrebbe valutarla, giudicarla e quindi sarebbe niente, e a questo punto si trova di fronte, sempre questo nostro amico, alla questione più ardua, quella della verità, che è una bella questione e della quale vi accennerò soltanto, poi potremo riprenderla in altre occasioni. Vi dico soltanto questo: visto che a questo punto qualunque cosa appare assolutamente arbitraria e cioè costruita dal discorso in base a premesse arbitrarie, allora che cosa può risultare assolutamente vero? Intanto mi occorre un criterio per potere compiere un’operazione del genere, e questo criterio occorre che sia vero se no vado poco lontano, e qual è l’unica cosa che può offrirmi tale criterio? Quella stessa cosa che mi consente di pensarlo, di costruirlo, e inventarlo e che cos’è che mi consente di fare questo? Quella struttura che comunemente chiamiamo linguaggio, il discorso di ciascuno, il proprio pensiero. So che non è semplicissimo intendere il linguaggio come una struttura anziché come un mezzo per esprimere cose che linguaggio non sono, è difficile, però provate per un momento a pensare al linguaggio come una struttura, quella che consente, o meglio, di cui è fatto il vostro pensiero, quella cosa attraverso cui potete giudicare, valutare, concludere, considerare qualunque cosa. A questo punto il linguaggio appare come l’unica cosa in condizione di costituire un criterio, visto che è la condizione di qualunque criterio, e allora non si tratta più di una scelta ma di una costrizione logica, non posso fare altrimenti, non ho altri strumenti: cosa posso utilizzare se non il mio pensiero per pensare? Dunque occorre trarre dal linguaggio il criterio stesso per stabilire che cosa è vero poiché, qualunque cosa io avrò stabilita essere vera, comunque l’avrò stabilita attraverso questo sistema, questo linguaggio, solo lui mi avrà consentito di dire che cos’è il vero e quindi di giudicare, di valutare, nient’altro al mondo, e allora il nostro amico che ormai non è più depresso ma di ottimo umore giunge a considerare che la verità non è nient’altro che l’affermare che qualunque cosa è un elemento linguistico, che fa parte del linguaggio, fa parte del discorso, del pensiero di ciascuno e che non c’è uscita dal linguaggio. Considerato questo naturalmente verifica tutto questo, e magari cerca anche di confutarlo e cioè di costruire una dimostrazione tale che provi che questa affermazione è falsa, ma adesso non più con gli strumenti che aveva quando era depresso, e cioè che qualunque cosa va bene, eh no, i suoi strumenti adesso sono ben altri e molto più raffinati, è meno ingenuo, meno ingenuo soprattutto rispetto ai propri pensieri. In fondo la depressione non è altro che un caso di ingenuità. Essendo meno ingenuo è meglio addestrato a pensare e incomincia a considerare che in qualunque modo tenterà di confutare una cosa del genere in ogni caso dovrà utilizzare ciò stesso che deve confutare, e cioè il linguaggio, e quindi costruirà un paradosso, come dire che questa proposizione: “qualunque cosa è un elemento linguistico”, sarà falsa e quindi confutata se e soltanto se sarà vera, poiché per confutarla dovrà utilizzare necessariamente elementi linguistici. A questo punto è come se fosse arrivato a fine corsa, ha raggiunto il limite del pensiero che è quello per cui non può uscire da se stesso, cioè il linguaggio non può uscire da se stesso e allora non gli resta che fare un lavoro straordinario, e cioè coglierne tutte le implicazioni e soprattutto porre le condizioni per poterlo praticare in ciascun istante. Non potere non sapere ciò che sta accadendo in lui mentre parla, in qualunque momento, che può essere molto utile come dicevo prima, almeno per essere meno ingenui e poi tante altre cose. In questo modo non si va soltanto aldilà della depressione, ma di qualunque cosa, la depressione è un caso, è un caso in cui si crede fortissimamente una certa cosa, la si crede con talmente tanta forza da arrivare persino a morire per questo, in fondo perché un depresso può giungere ad uccidersi? A che scopo? A che scopo immolare la propria vita? Su quale altare? Quello dell’assenza di senso? Si può fare certo, ci si può immolare anche per Allah o per qualunque altra cosa, però per farlo è necessario che questa persona sia assolutamente convinta di quello che sta facendo, di quello che sta pensando, di ciò in cui crede, se incominciasse dubitarne… credete che un fondamentalista islamico imbottito di dinamite si farebbe saltare in aria se avesse qualche dubbio circa la validità di ciò che afferma Allah? Penso proprio di no, si dedicherebbe ad altro. Per immolare la propria esistenza, così come talvolta fa il depresso, occorre avere una fede enorme e allora sì, si può morire o uccidere a seconda dei casi, con l’assoluta certezza di fare il bene, lo si può pensare certo, in effetti moltissime persone lo pensano o l’hanno pensato o lo penseranno, però seguendo questo percorso ecco che una cosa del genere risulta impraticabile…

Intervento: Lei ha parlato del depresso come se il depresso fosse responsabile della propria depressione..la depressione è provocata sia dal mondo interno e sia dal mondo esterno non è possibile… è un po’ colpevolizzare il depresso

No, nessuna colpa, ciascuno è libero di fare ciò che ritiene più opportuno. Talvolta si trova, in ciò che circonda, un pretesto, qualche cosa che serve alla persona per costruire la depressione e allora può essere un elemento esterno, ma è un pretesto, in effetti questo elemento esterno a lui fa venire la depressione a un altro no, per esempio, un altro la considera una cosa assolutamente banale, mentre per il depresso è importante, per lui, cioè ciò che significa per lui e quindi il significato che lui gli attribuisce. In alcuni casi addirittura non c’è nessun pretesto, nessun elemento esterno ma è una serie di pensieri, oppure si va a cercare negli anni passati, qualunque cosa può essere utile, il fatto per esempio che ci siano tutte le guerre nel mondo, che ci siano tanti morti, è un pretesto che va sempre bene, guerre ce ne sono sempre state da quando esistono gli umani quindi si è sempre a posto. Qualunque cosa dunque può essere utilizzata poi certo se c’è un evento clamoroso allora meglio ancora, ma non è necessario, non è necessario per costruire la depressione…

Intervento: io parlo del depresso che non si vuole sentire depresso…

Io mi sto chiedendo se esiste un depresso che sia tale senza volerlo essere, visto che nessuno lo costringe, diciamo non glielo ha ordinato il medico come si suole dire, e le cose che lui deprimono magari ad un altro fanno sorridere per cui è il modo, come dicevo prima, in cui lui considera, e cioè il significato che lui attribuisce alle cose, ma se lui attribuisce quel significato questo dipende da lui, dal suo pensiero e non da altro. Mi rendo conto dell’equivoco che può sorgere quando parlo di lui, di questo signore, in realtà sto parlando del discorso, del suo discorso, è il suo discorso che costruisce tutto questo. Ciascuno non è altro che il discorso che fa, le cose che pensa, che crede, che immagina, che suppone, che sogna, è fatto di questo, togliete questo diventa una pianta. Ma c’è un motivo per cui il depresso, così come la persona che lamenta vari malanni, deve assolutamente non attribuire a sé la responsabilità di una cosa del genere, perché fino al momento in cui può non attribuirla a sé ma considerarla qualcosa che gli è capitata tra capo è collo, allora può continuare, nel momento stesso in cui pensa o ha soltanto il sospetto di essere lui a costruire una cosa del genere non lo può più fare, cessa d’incanto, già, e quindi la condizione per potere continuare ad essere depressi è continuare a pensare di non esserne responsabili, è la “condicio sine qua non”…

Intervento: mettiamo il caso marito e moglie, uno dei due è un tradito… è difficile pensare che in un certo senso si sia costruito il tradimento dell’altro… questo conseguentemente può portare alla depressione…

Può portare tante cose, questa è una situazione molto complessa, questa che lei adesso pone, in effetti intervengono moltissimi elementi, ci sono casi in cui una persona, accorgendosene oppure no, fa in modo che l’altro lo tradisca, per esempio, altre persone che cercano il tradimento come fonte di eccitazione sessuale, altre persone che lo considerano una cosa sgradevole ma tutto sommato assolutamente comprensibile, altre che invece estraggono la lupara e fanno fuoco, adesso per fare i casi limite, per cui è complicato ciò che lei ha posto e in ogni caso la reazione che avrà quella persona che è stata tradita dipenderà sempre e comunque da ciò che pensa rispetto alla fedeltà, rispetto all’altra persona, e tutta una quantità enorme di informazioni che ha acquisite e che vanno a costruire la conclusione cui giungerà, se tirare fuori la lupara oppure fare altro. Insomma occorre insistere su questo aspetto: la responsabilità di ciò che si dice, ed è forse la cosa più difficile, più complicata accorgersi che in realtà non si è nient’altro che il proprio discorso, che i propri pensieri, che ciascuno è fatto di questo perché non ha nient’altro. Si può giungere a questo facendo il percorso inverso: uno si immagina l’assenza del linguaggio, non c’è più, quindi non si pensa, non si considera, non si costruisce niente, non c’è più niente. È una condizione piuttosto sgradevole. E tutto ciò che ciascuno fa, la sua vita stessa è costruita a partire da giudizi che dà sulle cose, i cosiddetti valori sono conclusioni di argomentazioni, e queste sono consentite dall’esistenza del linguaggio…

Intervento: io ho sentito dire che la depressione è una malattia e come tale da curare…

Qual è il problema?

Intervento: lei invece diceva il contrario… non capisco perché colpevolizzare il depresso

Non è una colpa, viene deresponsabilizzato, ma non ho detto inizialmente che la depressione in effetti è un business miliardario, le multinazionali farmaceutiche ci guadagnano parecchio per cui se è considerata una malattia allora c’è un farmaco e ci guadagnano miliardi se no, no, ma chiamarla malattia non significa assolutamente niente, in realtà potrebbe considerarla un’opinione, taluni considerano la depressione una malattia, va bene e allora io posso considerarla una forma di possessione demoniaca, e allora che differenza fa? La mia opinione contro la sua, lei può provare che la depressione è una malattia? È straordinariamente arduo, infatti non lo provano affatto, lo dicono e tanto basta. Adesso c’è la tendenza a considerare qualunque cosa una malattia, proprio in questa sede tempo fa parlavamo di come, già in America, ma arriverà anche qui, che un qualunque bimbetto che è agitato debba essere curato con psicofarmaci… io da piccolo ero vivacissimo per esempio, scalmanato e, grazie a dio e alle case farmaceutiche che ancora non avevano inventato questo farmaco, non ho preso nulla… vede, fare diventare qualunque cosa una malattia ha un unico scopo, un’unica direzione, la vendita degli psicofarmaci, o pensa veramente che gli psicofarmaci guariscano le cosiddette malattie mentali? Producono invece una quantità notevole di suicidi. Lei si poneva questa domanda perché ha letto che qualcuno dice che la depressione è una malattia. E allora? Come le diceva prima: e se io dicessi che è un caso di possessione demoniaca? Un’affermazione può essere provata, ma per provarla occorre un criterio piuttosto solido e in ambito teoretico non è semplicissimo fare una cosa del genere, oppure si utilizzano altri criteri, per esempio l’utilità, la facilità, ma tutto questo non ha nulla a che fare con il vero, assolutamente niente, appunto posso dire che è perché ha commesso un peccato e allora adesso è punito con la malinconia, o qualunque altra cosa o perché è passato un gatto nero…

Intervento: e quindi come se ne esce? Con l’analisi?

L’analisi è per il momento il modo più efficace, nonostante sia lungo e talvolta faticoso però non ci sono…

Intervento: sono trent’anni che mi occupo di depressione e adesso mi hanno anche nominato direttore scientifico di “Esprimersi” e devo dire che è una lotta terribile all’interno di ogni associazione che si occupa di depressione quella di contrastare oramai la visione della depressione e quindi dello psicofarmaco che è oramai la soluzione per tutti, l’analisi non esiste più neanche nei centri specifici ecc. anche gli Junghiani, non solo… però io volevo porre una questione all’interno della questione che lei poneva perché ho trovato assolutamente lineare e di assoluto rilievo, interessante, purtroppo sempre più solitario nel senso che purtroppo… però se la questione come diceva la signora non riguarda la causa esterna, se non possiamo mettere nulla al di fuori del linguaggio io mi chiedevo siccome l’ottanta per cento delle diagnosi che vengono fatte oramai nel campo delle così dette malattie psichiche riguarda appunto la diagnosi di depressione allora bisogna supporre che vi sia qualcosa a livello del discorso, io faccio un discorso un pochino sociologico. Per tentare di capirci, occorre che ci sia qualche tendenza, qualche clinamen all’interno del discorso per cui il discorso viene a volgere in una certa direzione, diciamo così catastrofica se vogliamo, allora di qui ne discende se vogliamo anche la definizione di depressione che io mi sento di dare e che ho sempre dato che è a dire la depressione è semplicemente un fatto che non è possibile… che la parola viene interrotta, ci sono dei meccanismi, delle situazioni e la tecnica è una di queste per esempio, pensiamo alla televisione, all’immaginario che domina e fa sì che in realtà non ci sia più bisogno di pensare, pensare significa parlare, parlare significa pensare e quindi come dire quella che è la vita, la vita della parola quella che fa sì che io possa proseguire subisce un’interruzione. Questo mi porterebbe nell’ambito delle questioni che lei pone la questione della depressione e lei ha studiato bene come alla fine (ciò che si crede ) è tutto al contrario, alla fine qualsiasi posizione depressiva o altro non dipende che dal modo in cui io lo penso, e dal modo come lo costruisco. La depressione però è esattamente il fatto che io non posso costruire alcunché… perché il depresso io che ne ho esperienza… qualsiasi cosa gli si dica è come se già avesse sperimentato a fondo. E qui anche la questione del tempo sarebbe da indagare perché siamo sempre nel campo degli enunciati, dell’enunciazione cioè tutto è già avvenuto, tutto è già dato, la situazione è sempre questa… ad A segue B e chiusa la faccenda. Allora se sei un pochino d’accordo sul fatto che si tratta di questo nella depressione?

Sì, non c’è la possibilità di articolare oltre questo punto di arrivo, è come se lì effettivamente la parola dovesse arrestarsi, non si arresta di fatto, però la sensazione di impossibilità a proseguire viene da lì, se non c’è più parola non c’è possibilità di andare da nessuna parte, certo. Come se ne esce, chiedeva la signora, appunto con la parola, con questa cosa miracolosa che è la parola che tutto fa e tutto distrugge…

Intervento: uguale analisi!

Si, occorre qualcuno che inizialmente, quanto meno, ponga alcune questioni in modo deciso altrimenti rischia di girare in tondo, però se è in condizioni di farlo da sé va bene, è arduo, è arduo perché ciò da cui desidera uscire è fatto della stesso materiale di ciò che gli impedisce di uscirne, che sono sempre suoi pensieri, per questo dicevo che rischia di girare in tondo senza venirne fuori. Perché una persona diventa depressa e un’altra no, perché una persona diventa schizofrenica e un’altra paranoica, un’altra isterica, un’altra ossessiva? È una bella domanda, tecnicamente c’è la possibilità di rispondere a una cosa del genere, però è straordinariamente difficile e clinicamente anche poco rilevante in effetti, che cosa è accaduto? Magari niente, o qualche cosa che per altri non significa assolutamente niente ma per quella persona si, come dire che  la direzione in cui si trova in quel momento qualcosa si aggancia a quell’altro elemento e diventa una sorta di attrazione irresistibile, è un po’ come nell’innamoramento: perché ci si innamora di uno e non di un altro? La stessa cosa…

Intervento: come il tumore…

Basta chiedersi perché a uno viene il raffreddore e a un altro no, senza chiedersi cosacce tremende…

Intervento: stavamo parlando di depressione…

La medicina ha dei palliativi, risolve dei problemi ovviamente ma non sa assolutamente nulla sul perché accadano certi fenomeni, li cura una volta che ci sono, sa che è possibile curarli cioè è possibile con un certo farmaco impedire la morte, con un altro darla, a seconda dei casi…

Intervento: io parto sempre dal presupposto di un linguaggio e di una razionalità e dalla percezione… secondo me molte cose vengono percepite e non vengono analizzate e quando poi la persona analizza che blocca poi la percezione e quindi poi si va in depressione… è una mancanza di parlare se ci pensiamo bene e quindi di sensazioni e di emozioni che si bloccano… ma secondo me di pende dall’esterno arriva poi all’interno quando poi per non arrivare alla sofferenza si arriva…

Sì, è una questione molto complessa perché in effetti molti pensano così, quello che lei afferma lo si può pensare…

Intervento: i greci pensavano già che ci fosse il corpo e l’anima erano già…

Altri hanno pensato diversamente, ecco sta qui proprio il nocciolo della questione, e cioè il fatto che io posso pensare che c’è una distinzione tra il corpo e l’anima, tra la psiche e il soma, posso pensare che non c’è, posso pensare qualunque cosa e il suo contrario, e quindi a questo punto cosa me ne faccio di questa informazione. Una persona può venire a dire che c’era prima la percezione e poi la mente elabora la percezione, se questa cosa mi piace esteticamente la accolgo, ma non ho nessun motivo per farlo, è una sua opinione, di questo signore, sono affari suoi, perché dovrei accoglierla. Saprebbe provare questo signore una cosa del genere? No. E quindi che succede? Che non sono affatto tenuto a crederci, la considero un’opinione al pari di qualunque altra e questo comporta che vale quanto la sua contraria, questo in ambito teorico comporta un problema perché a questo punto non si va più da nessuna parte, viene azzerato tutto, come dicevano gli antichi “ex falso quodlibet” dal falso si può dedurre qualsiasi cosa e il suo contrario, in questo caso l’indimostrabile, e allora ecco che subentra il credere, uno ci crede o non ci crede, sono affari suoi ma, dicevo prima, uno fa ciò che ritiene più opportuno ma in ambito teorico no, se compie delle affermazioni dalle quali affermazioni seguono altre proposizioni allora deve provare ciò che afferma, e una cosa del genere non è provabile in nessun modo e quindi rimane a discrezione della persona: se gli piace ci crede, se non gli piace non ci crede, ma non cambia niente…

Intervento: non è possibile che una persona non abbia delle sensazioni… poi sinceramente sono le persone meno appariscenti che si suicidano…

Non saprei…

Intervento: ne ho conosciuti due erano persone molto giovani… ti lascia perplessa la cosa perché non hai potuto capire che in effetti avrebbero avuto bisogno di una mano… per valutare e magari per stare vicino…

Sì certamente sì, perché una persona può decidere di togliersi la vita, è un suo diritto se lo vuole fare, perché no? Si può anche vietare certo, si vieta tutto, però in fondo la vita è sua, fa ciò che ritiene più opportuno in base alle sue considerazioni, alle cose che pensa, che immagina, che crede, che sa etc.

Intervento: sfugge alle proprie responsabilità…

Se vuole sfuggire sfugge, che problema c’è?

Intervento: determina poi l’anarchia o comunque se tutti avessimo un pensiero di questo genere, saremmo innanzi tutto da soli con gente che si butta giù di qua e di là…

Lei crede? Lei pensa che la gente non si uccide per questo motivo, perché è proibito? No, l’unica idea che è possibile avere è quella che si cessa di parlare, di pensare, di avere sensazioni, quindi cose belle, brutte, qualunque cosa, tutto ciò di cui una persona è fatta, l’idea è che morendo cessa tutto questo, e questo secca, ecco perché generalmente non lo si fa, non si ritiene utile anche perché uno può non essere interessato alla vita ma non per questo essere interessato alla morte. La sensazione lei diceva? Lei immagina che potrebbero esistere delle sensazioni comunque se non esistesse il linguaggio?

Intervento: lei diceva che il pensiero e il linguaggio sono due cose diverse…

È una possibilità, oppure il linguaggio è quell’elemento, quella condizione che consente per esempio di sapere di provare delle sensazioni, di organizzarle e dare un senso, un significato è un po’ come la questione dell’esistenza “le cose esisterebbero lo stesso, senza linguaggio?” ora una domanda del genere ha un senso oppure no? Cosa significa che le cose esisterebbero in assenza di linguaggio? È una cosa che io posso credere, posso affermare certo, ma che cosa significa esattamente? È un atto di fede, perché il linguaggio è l’unica cosa che mi consente di pensare all’esistenza, di creare questo concetto quindi di utilizzarne il significato, senza linguaggio non c’è esistenza cioè non c’è nessun concetto di esistenza, si potrebbe dire “sì ma l’esistenza esiste lo stesso” va bene, in base a che cosa? Perché lo credo? Perché lo penso? Non è sufficiente, e torniamo sulla questione di prima, se si crede, se si incomincia a credere una certa cosa poi si incomincia a crederne altre e a questo punto si può credere a qualsiasi cosa e al suo contrario, mentre ciò che io sto proponendo è di considerare con maggiore attenzione certe affermazioni, non perché siano brutte e cattive, non importa assolutamente niente, ma perché vengono scambiate per necessarie delle affermazioni che sono arbitrarie, cioè che valgono esattamente quanto la contraria. La questione è che ciascuno suppone di dire una certa cosa e che questa cosa sia vera, il problema in alcuni casi è che finisce per crederci, magari è una cosa assolutamente innocua certo, ma in altri casi no, ecco perché è preferibile valutare con attenzione una affermazione prima di accoglierla, e considerarla molto attentamente, come dico in alcuni casi non ha nessun valore però è emblematico il modo in cui si pensa generalmente “io credo che le cose stiano così” va bene, e allora? Certo, torno a dire, in alcuni casi non comporta assolutamente niente in altri invece può costruire la propria esistenza fino ad arrivare a considerare una cosa con una tale certezza da immolare la propria esistenza o quella altrui per difenderla. Capita, non sempre fortunatamente. Martedì prossimo vi annuncio la conferenza dal titolo: “La depressione e il suo rimedio”, di Beatrice Dall’ara, proseguiremo la conversazione di questa sera praticamente, quindi tutte le domande, le questioni rimaste in sospeso potranno porsi martedì prossimo. Ringrazio ciascuno di voi e vi auguro buona notte.